Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6773 del 07/04/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 6773 Anno 2016
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: AMENDOLA FABRIZIO

SENTENZA
sul ricorso 14342-2013 proposto da:
MACALUSO GISELLA C.F.MCLGLL70L44E044T, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA BERENGARIO 10 INT 18, presso
lo studio dell’avvocato ELIA CURSARO, rappresentata e
difesa dagli avvocati CONCETTA LEONE, GIUSEPPE
AGRESTA, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2016

contro

269

REGIONE CALABRIA ;
– intimata –

avverso la sentenza n. 654/2012 della CORTE D’APPELLO

Data pubblicazione: 07/04/2016

di REGGIO CALABRIA, depositata il 22/05/2012 R.G.N.
1421/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 21/01/2016 dal Consigliere Dott. FABRIZIO
AMENDOLA;

Generale Dott. RITA SANLORENZO che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

R.G. n. 14342/2013

Svolgimento del processo

1.— Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Reggio Calabria, in
riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto, tra le altre, la domanda
proposta da Gisella Macaluso, impegnata in progetti di pubblica utilità presso

il

corrisposto nell’anno 2000, perché la Regione Calabria convenuta in giudizio non
era il soggetto che aveva “utilizzato” l’attività della lavoratrice ma solo il soggetto
che aveva corrisposto agli “enti utilizzatori” le risorse finanziarie ai sensi del d.
Igs. n. 81 del 2000.
In sintesi – secondo i giudici d’appello – l’assegno in controversia, che fino al
1999 era stato corrisposto dall’INPS, dal 2000 doveva essere corrisposto dagli
enti utilizzatori, finanziati dalle regioni, tra le quali erano state ripartite le risorse
del Fondo per l’occupazione, destinate alle attività di lavori socialmente utili, per
l’anno 2000, in forza di apposite convenzioni da sottoscrivere entro il 31 luglio
2000 tra il Ministero del Lavoro e le regioni interessate.
Una volta deliberato il finanziamento dalla Regione Calabria in favore degli
enti utilizzatori al fine di corrispondere l’assegno ai lavoratori ed erogate le
risorse agli enti medesimi, per la Corte territoriale destinatari della domanda di
adeguamento dell’assegno avrebbero dovuto essere proprio gli enti utilizzatori
che, oltre a pagare direttamente e in proprio l’assegno ai lavoratori, avevano
realizzato i progetti ed utilizzato le prestazioni lavorative, in virtù di competenza
propria, esercitando propri poteri, e non in rappresentanza dell’ente finanziatore.

2.— Per la cassazione di tale sentenza Gisella Macaluso ha proposto ricorso
affidato a tre motivi. Non ha svolto attività difensiva la Regione Calabria.

Motivi della decisione

3.— Con il primo motivo di ricorso si deduce omessa pronuncia e valutazione
dei motivi prospettati dai resistenti in merito all’inammissibilità del ricorso in
appello proposto dalla Regione Calabria in quanto non sufficientemente
specificate le ragioni del gravame, anche sotto forma del vizio di ultrapetizione.
La doglianza, così come formulata, non è accoglibile.

Comune di Gioiosa Ionica, avente ad oggetto l’adeguamento dell’assegno mensile

R.G. n. 14342/2013

Occorre premettere che parte ricorrente denuncia un vizio che attiene alla
corretta applicazione di norme da cui è disciplinato il processo che ha condotto
alla decisione dei giudici di merito. Trattasi, in generale, non di errore di giudizio
che attenga al rapporto sostanziale dedotto in lite (come vorrebbe il riferimento
contenuto nella rubrica del motivo in esame all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c..), bensì

possa averne inficiato l’esito. Poiché in tali casi il vizio della sentenza impugnata
discende direttamente dal modo in cui il processo si è svolto, ossia dai fatti
processuali che quel vizio possono aver procurato, si spiega il consolidato
orientamento di legittimità secondo il quale, in caso di denuncia di errores in
procedendo del giudice di merito, la Corte di cassazione è anche giudice del fatto,
inteso, ovviamente, come fatto processuale (tra le tante: Cass. n. 14098 del
2009; Cass. n. 11039 del 2006; Cass. n. 15859 del 2002; Cass. n. 6526 del
2002).
Tuttavia le Sezioni Unite, con la sentenza n. 8077 del 2012, hanno precisato
che, in ogni caso, la proposizione del motivo di censura resta soggetta alle regole
di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, nel senso che la parte
ha l’onere di rispettare il principio di autosufficienza del ricorso e le condizioni di
procedibilità di esso (in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366, co. 1, n.
6 e 369, co. 2, n. 4, c.p.c.), “sicché l’esame diretto degli atti che la Corte è
chiamato a compiere è pur sempre circoscritto a quegli atti ed a quei documenti
che la parte abbia specificamente indicato ed allegato”.
La parte ricorrente è tenuta ad indicare gli elementi individuanti e
caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame, affinché il
corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di
autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a
individuare la dedotta violazione processuale (cfr. Cass. n. 6225 del 2005; Cass.
n. 9734 del 2004).
In particolare, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per
difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso,
le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e
sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice,
e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto
nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità (da ultimo Cass. n.
18 del 2015; cfr. Cass. n. 12664 del 2012; Cass. n. 86 del 2012; Cass. n. 20405

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di errore di attività che, essendosi verificato nel corso del processo, si assume

R.G. n. 14342/2013

del 2006; Cass. n. 6225 del 2005; Cass. n. 9734 del 2004; con riferimento alla
falsa applicazione del principio tantum devolutum quantum appellatum ai sensi
dell’art. 437 c.p.c. v. Cass. n. 23420 del 2011).
Tanto non è accaduto nella specie laddove nel corpo del motivo non sono
indicati i contenuti dell’atto di appello della Regione in modo tale da individuare il

4.— Con il secondo motivo si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione della sentenza impugnata per avere negato la legittimazione passiva
della Regione Calabria, nonostante una serie di atti, non adeguatamente valutati
dalla Corte territoriale, dimostrassero che l’ente utilizzatore era un semplice
delegato al pagamento, tenuto conto che il sussidio era predeterminato dalla
Regione nella misura di lire 800.000, senza possibilità per l’ente utilizzatore di
modificarne l’importo; aggiunge che l’ente aveva l’obbligo di rendicontare e ove
fossero residuate somme, per qualsiasi ragione, aveva l’obbligo di restituzione;
eccepisce che a carico dell’utilizzatore gravavano solo gli oneri relativi
all’assicurazione obbligatoria presso l’Inali e per la responsabilità civile verso
terzi.
Con il terzo mezzo si denuncia falsa applicazione di norme di diritto,
deducendo che, con il d. lgs. n. 469 del 1997 e con il successivo d. Igs. n. 81 del
2000, la Regione, in virtù dei poteri acquisiti con l’autonomia in materia di
politiche del lavoro, ha sostituito se stessa all’Inps quale ente gestore delle
somme erogate ai lavoratori socialmente utili, divenendo così il soggetto tenuto
al pagamento degli assegni che dovevano essere, secondo le previsioni di legge e
gli stanziamenti statali, comprensivi della rivalutazione Istat. Si sottolinea, in
particolare, che l’ente utilizzatore in alcun modo avrebbe potuto rideterminare
l’ammontare del sussidio senza un ordine della Regione, né il singolo lavoratore
di pubblica utilità avrebbe potuto pretendere la rivalutazione sulla base del
rapporto con l’ente utilizzatore, su cui possono gravare esclusivamente gli oneri
relativi all’assicurazione obbligatoria presso l’Inali e per la responsabilità civile
verso terzi.
Il Collegio reputa tali motivi di ricorso, da trattarsi congiuntamente per
reciproca connessione, meritevoli di accoglimento.
4.1.— Questa Corte, a Sezioni Unite (v. Cass. SS.UU. n. 22276 del 2004;
n.3508 del 2005; n. 11346 del 2005; n. 3 del 2007), ha delineato il quadro di

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dedotto vizio processuale.

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riferimento dell’assegnazione a lavori socialmente utili collocando l’istituto a valle
dei c.d. ammortizzatori sociali quale strumento innovativo per fronteggiare la
disoccupazione soprattutto (anche se non esclusivamente) giovanile, con una
connotazione marcatamente previdenziale-assistenziale: la tutela sociale al
disoccupato costituisce un diritto condizionato ad una prestazione di lavoro “fuori

personalmente per uscire dall’assistenza.
Tali attività di utilità sociale possono essere svolte sulla base di progetti
promossi da enti pubblici ed affidabili per la loro realizzazione ad altri enti denominati “enti utilizzatori” – attraverso il coinvolgimento di soggetti
disoccupati, cui vengono riconosciuti alcuni emolumenti (condizionati alla
prestazione di attività lavorative) espressamente regolati dalla legge non in
quanto oggetto di un contratto di lavoro subordinato ma come obblighi della
parte pubblica scaturenti da un rapporto giuridico di carattere previdenziale che
trova fondamento nell’art. 38 Cost. perché diretto alla soddisfazione di un
interesse sociale, quale quello della tutela contro la disoccupazione.
In particolare il trattamento economico consiste in un emolumento che, non
commisurato ex art. 36 Cost. alla quantità e qualità del lavoro prestato,
originariamente era pari alla prestazione previdenziale in godimento per i titolari
di trattamento straordinario di integrazione salariale o di indennità di mobilità,
mentre per i disoccupati che non godevano di alcuna prestazione previdenziale
era predeterminato in maniera fissa, dapprima, in una indennità oraria (lire 7.500
poi elevate ad 8.000) e di poi in una prestazione mensile (non superiore a lire
800.000, successivamente elevate, con la possibilità di un importo integrativo di
questo trattamento per le giornate di effettiva esecuzione della prestazione). Il
finanziamento dei lavori socialmente utili è stato posto sin dall’inizio a carico del
Fondo per l’occupazione di cui al d. I. n. 148 del 1993, art. 1, co. 7, conv. in I. n.
23 del 1993. Il sussidio viene erogato dall’INPS e per esso trovano applicazione le
disposizioni in materia di mobilità e di indennità di mobilità (art. 1, co. 3, di. n.
510 del 1996, conv. in I. n. 608 del 1996, che ha sostituito il co. 4 dell’art. 14 d.l.
n. 299 del 1994, conv. con modificazioni dalla I. n. 451 del 1994).
L’instaurazione di un rapporto giuridico previdenziale, che viene disciplinato
da una legislazione volta a garantire al lavoratore diritti che trovano il loro
fondamento nel disposto dell’art. 38 Cost., impedisce al suddetto lavoratore,
impegnato in attività presso le amministrazioni pubbliche, la rivendicazione nei

4

mercato” in attività socialmente utili, oltre che ad un dovere di attivarsi

R.G. n. 14342/2013

confronti di dette amministrazioni di un rapporto di lavoro subordinato, e dei suoi
consequenziali diritti. In altri termini il lavoratore socialmente utile, svolgendo la
sua attività per la realizzazione di un interesse di carattere generale, ha diritto ad
emolumenti, cui non può riconoscersi natura retributiva, ma come si è già detto
natura previdenziale.

la giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla domanda con la quale il
lavoratore socialmente utile rivendica il trattamento economico riconosciutogli,
considerando poi che detta pretesa si configura come un diritto soggettivo, per la
mancanza nell’ente pubblico di qualsiasi discrezionalità sull’an e sul

quantum

dell’ammontare di detto trattamento.
Solo nel caso in cui l’occupazione in lavori socialmente utili si discosti da
quella dovuta in base al programma originario e venga resa in contrasto con
norme poste a tutela del lavoratore può trovare applicazione la disciplina sul
diritto alla retribuzione, in relazione al lavoro effettivamente svolto, prevista
dall’art. 2126 c.c. (Cass. n. 15071 dei 2015; nn.. 22287 e 21311 del 2014
nonché n. 11248 del 2012 e n. 10759 del 2009).
4.2.— Tanto premesso in via generale, ai fini della controversia in esame,
occorre poi rammentare che la L. 24 giugno 1997, n. 196, recante norme in
materia di promozione dell’occupazione, conferì, con gli artt. 22 e 26, le deleghe
al Governo, rispettivamente, per la revisione della disciplina sui lavori
socialmente utili e per la definizione di un piano straordinario di lavori di pubblica
utilità e di borse di studio a favore di giovani inoccupati del Mezzogiorno.
Le deleghe sono state attuate con l’emanazione di due successivi decreti
legislativi: il d. Igs. 7 agosto 1997, n. 280, recante norme in materia di interventi
a favore di giovani inoccupati nel Mezzogiorno; il d. Igs. 1 dicembre 1997, n. 468,
recante la revisione della disciplina sui lavori socialmente utili.
Questa Corte ha più volte espresso il principio (v. Cass. n. 1461 del 2011; n.
8540 del 2011; Cass. n. 8003 del 2014) che il d. Igs. n. 468 del 1997, art. 1,
fornisce una definizione di portata generale dei lavori socialmente utili (LSU),
comprensiva delle varie attività che hanno per oggetto la realizzazione di opere e
la fornitura di servizi di utilità collettiva, nonché dei lavori di pubblica utilità (LPU)
mirati alla creazione di occupazione in particolari bacini d’impiego, in conformità
all’intento demandato dalla legge delega n. 196 del 1997 e in

vista

di una

configurazione unitaria di tutte le attività ivi descritte che ha, successivamente,

5

Da tali inquadramento le Sezioni Unite di questa Corte hanno fatto discendere

R.G.

n.

14342/2013

trovato consolidamento nella nuova disciplina dettata in materia dal d. igs. n. 81
del 2000, con la conseguenza che il rapporto tra il disposto di cui al d. Igs. n. 468
del 1997, art. 2 (che delinea i settori di attività per i “progetti di lavoro di
pubblica utilità”) e quello di cui al d. Igs. n. 280 del 1997, art. 3 (diretto ad
individuare i “lavori di pubblica utilità” in funzione della “creazione di

specificazione di intenti generali in ambiti territoriali determinati, all’interno di
una medesima tipologia di attività e di una medesima finalità del legislatore,
connessa ad obiettivi di tutela dalla disoccupazione e di inserimento dal lavoro.
La sostanziale omogeneità dei lavori di pubblica utilità previsti nei due decreti
legislativi citati ha dunque consentito di affermare che l’incremento e la
rivalutazione dell’assegno – nella misura e nei termini determinati dalla I. n. 144
del 1999, art. 45, comma 9 e dal d. Igs. n. 468 del 1997, art. 8, co. 8 – trovano
applicazione anche per i lavori di pubblica utilità previsti dal d. Igs. n. 280 del
1997.
In particolare, per quel che riguarda i soggetti impegnati in lavori di pubblica
utilità nella Regione Calabria (come quelli cui si riferisce il presente giudizio) va
tenuto presente che la suddetta assimilazione ha trovato conferma nel dl. n. 159
del 2007, art. 27, co. 1, conv. con modificazioni nella I. n. 222 del 2007, che, sia
pure ai fini della stabilizzazione ivi disposta, ha espressamente sancito
l’equiparazione nella suindicata Regione dei lavoratori impegnati in lavori di

pubblica utilità (ai sensi della I. n. 280 del 1997) e quelli inseriti in progetti di
lavori sgd@h-nente t:Mb (ai sensi del d. Igs. n. 01 del 2000) (cfr. Ca. o. MAY
del 2015).
4.3.— Ciò posto, la I. n. 144 del 1999 poc’anzi citata, all’art. 45, comma 6, ha
stabilito che “fino all’attuazione della riforma degli incentivi all’occupazione e degli
ammortizzatori sociali possono essere approvati o prorogati progetti di lavori
socialmente utili che utilizzano esclusivamente soggetti che abbiano maturato o
che possano maturare dodici mesi in tale tipo di attività nel periodo compreso tra
il 10 gennaio 1998 ed il 31 dicembre 1999. A tali soggetti si applicano le
disposizioni di cui all’articolo 12 del decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468.
Le risorse dei Fondo per l’occupazione di cui all’articolo 1, comma 7, del decretolegge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio
1993, n. 236. destinate alle attività progettuali di lavori socialmente utili e non
utilizzate per tale finalità rimangono comunque destinate all’attuazione di quanto

6

occupazione” in uno specifico bacino di impiego) si configura in termini di

R.G. n. 14342/2013

espressamente previsto nelle disposizioni che riformano gli incentivi
all’occupazione e gli ammortizzatori sociali. Fino all’attuazione della riforma degli
incentivi all’occupazione e degli ammortizzatori sociali le Commissioni regionali
per l’impiego potranno deliberare, sulla base di apposite convenzioni stipulate dal
Ministero del lavoro e della previdenza sociale con le singole regioni, di destinare

alla realizzazione di misure di politica attiva dell’impiego in armonia on le
previsioni della normativa comunitaria”.
Risulta dalla sentenza impugnata ed è sostanzialmente incontroverso tra le
parti che, sulla base di tale disposizione, in data 29 febbraio 2000 la Regione
Calabria ha stipulato con il Ministero del Lavoro una convenzione con cui le
veniva assegnato l’importo complessivo di 29 miliardi e 500 milioni di lire dal
Fondo per l’occupazione quale trasferimento di fondi statali vincolati alla
realizzazione delle misure di politica attiva dell’impiego ai sensi dell’art. 45, co. 6,
I. n. 144 del 1999. In attuazione della convenzione con lo Stato la Giunta
regionale, con delibera n. 733/2000, al fine di consentire la continuità lavorativa,
a tutto il 31 gennaio 2001, dei giovani disoccupati che alla data del 31 ottobre
2000 risultavano utilizzati presso gli enti attuatori della convenzione suddetta e
per assicurare la possibilità di inserimento a quelli che non avevano potuto
maturare i 12 mesi a carico del Fondo per l’occupazione, ha stabilito di
corrispondere agli enti utilizzatori il sussidio mensile di 800.000 lire per ciascuno
dei soggetti utilizzati fino alla data del 31 gennaio 2001.
Orbene, una volta che, sulla base di detta convenzione, il rapporto giuridico si
è instaurato tra Regione, ente utilizzatore e soggetto utilizzato in lavori di
pubblica utilità, il trasferimento delle risorse dal Fondo per l’occupazione – da cui
l’Inps attingeva per l’erogazione del sussidio – alla Regione Calabria, che ha
determinato l’ammontare dell’assegno ed ha ricevuto per esso il finanziamento
vincolato dallo Stato, impone di ritenere che sia proprio l’amministrazione
regionale la destinataria della pretesa creditoria del lavoratore il quale ritenga che
l’emolumento a lui spettante sia stato quantificato in misura difforme da quanto
previsto dalla legge, e ciò naturalmente a prescindere dalla fondatezza della
domanda sottoposta a successiva delibazione (sull’attinenza al merito della causa
della questione della titolarità del rapporto obbligatorio dal lato attivo e passivo
v., da ultimo, Cass. SS.UU. n. 2951 del 2016).

7

eventualmente le risorse non impegnabili per progetti di lavori socialmente utili

R.G. n. 14342/2013

In particolare, nell’ambito del rapporto giuridico previdenziale in materia di
lavori socialmente utili, sull’ente utilizzatore non gravano gli oneri per il
pagamento dell’assegno, al di fuori di quelli relativi all’assicurazione obbligatoria
presso l’Inail e per la responsabilità civile verso terzi nonché di quelli attinenti
all’importo integrativo per le ore eccedenti rispetto a quelle remunerate con la

Così pure nella specie, ove il rapporto giuridico plurilaterale è strutturalmente
conforme ad un qualunque rapporto realizzato nell’ambito dei lavori di pubblica
utilità, applicandosi i relativi principi comuni, l’ente utilizzatore non è il soggetto
debitore dell’eventuale onere aggiuntivo gravante sull’assegno rivendicato da
parte ricorrente, rimanendo esso estraneo alla determinazione dell’ammontare
dell’emolumento nonché alla ripartizione della relativa fonte di finanziamento,
deliberazioni invece di pertinenza regionale.
Destituito di fondamento è, infine, l’argomento speso dalla Corte territoriale
secondo cui l’ente utilizzatore dovrebbe pagare per avere realizzato i progetti ed
utilizzato le prestazioni lavorative, atteso che, per quanto detto in premessa, in
tema di lavori socialmente utili la parte essenziale del compenso per l’opera
prestata è a carico dello Stato, per il tramite del Fondo per l’occupazione, in vista
di una tutela contro la disoccupazione realizzata mediante l’espletamento di
servizi di utilità collettiva, per cui, non essendo configurabile un rapporto di
lavoro subordinato, neppure di fatto, non è prevista dalla legge una
controprestazione economica a carico del soggetto beneficiario (cfr. Cass. n. 9811
del 2011), il quale, anche se eroga materialmente l’emolumento, è qualificabile
come un mero delegato al pagamento (v. Cass. n. 290 del 2005), con obblighi di
rendiconto e di restituzione.

5.

Conclusivamente, respinto il primo motivo, vanno accolti gli altri, con

cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte indicata in dispositivo, la
quale deciderà la controversia uniformandosi agli esposti principi enunciati in
diritto. Nulla per le spese del giudizio di cassazione in difetto di attività difensiva
della Regione intimata.

P.Q.M.

8

prestazione a carico dell’Inps (v. Cass. n. 6670 dei 2012).

R.G. n. 14342/2013

La Corte rigetta il primo motivo, accoglie gli altri, cassa la sentenza
impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Catanzaro.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21 gennaio 2016

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li

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