Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6771 del 10/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 10/03/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 10/03/2021), n.6771

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19474-2019 proposto da:

R.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VAL DI

LANZA 79, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE IACONO QUARANTINO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICO AGUGLIA;

– ricorrente –

contro

G.A.G., in proprio e quale rappresentante pro

tempore della ” G.A. E C. SNC”, elettivamente domiciliato

presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR,

ROMA, rappresentato e difeso dall’Avvocato VINCENZA SCARDINA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2601/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 27/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. SCOTTI

UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte, rilevato che:

con sentenza del 11/6/2013 il Tribunale di Palermo, sezione distaccata di Bagheria, ha rigettato, con aggravio di spese, l’opposizione proposta da R.G. avverso l’atto di precetto notificatogli da G.A.G., in proprio e quale legale rappresentante della G.A. & c. s.n.c. per l’importo di Euro 79.846,94, dovuti in forza di sentenza del Tribunale di Palermo n. 207/2008, ritenendo il G. legittimato all’azione quale unico socio superstite e successore della società, estintasi prima della formazione del titolo giudiziale, senza preventiva fase di liquidazione, ritenuta meramente facoltativa;

con sentenza del 27/12/2018 la Corte di appello di Palermo ha accolto parzialmente l’appello proposto dal R., ha annullato parzialmente il precetto opposto, dichiarando la debenza degli interessi solo dalla domanda giudiziale sino al saldo, compensando parzialmente le spese processuali nella misura del 50% di primo e di secondo grado e ponendo il residuo 50% a carico dell’opponente e confermando nel resto la sentenza impugnata;

avverso la predetta sentenza, non notificata, ha proposto ricorso per cassazione R.G. con atto notificato il 17/6/2019, svolgendo due motivi, a cui ha resistito G.A.G. con controricorso notificato il 26/7/2019, chiedendone l’inammissibilità o il rigetto;

è stata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. la trattazione in camera di consiglio non partecipata;

ritenuto che:

con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 100 c.p.c., e agli artt. 2311,2312,2495 e 2697 c.c. nonchè dei principi dell’ordinamento in tema di cancellazione dal registro delle imprese ed estinzione della società;

il ricorrente lamenta altresì omesso esame di fatto decisivo con riferimento al fatto che la società era stata cancellata il 2/10/2007 nel corso del giudizio di primo grado relativo all’accertamento del diritto di credito in questione che si era concluso un anno dopo il 29/10/2008 e sottolinea che dallo stesso atto di precetto notificatogli ad opera del G. risultava la pendenza del giudizio di appello dinanzi alla Corte di appello di Palermo;

il motivo appare doppiamente inammissibile;

da un lato, in tema di opposizione all’esecuzione promossa in base a titolo esecutivo di formazione giudiziale, non possono essere dedotti fatti estintivi, impeditivi o modificativi verificatisi prima della maturazione delle preclusioni processuali, ad essi relative, nel giudizio di cognizione che ha portato alla formazione di tale titolo (Sez. 6, 14/02/2020, n. 3716; Sez. 1, 27/06/2018, n. 16983; Sez.3, 24/7/2012 n. 12911);

il motivo appare inammissibile anche ex art. 360 bis c.p.c., n. 1, perchè il provvedimento impugnato ha deciso la questione di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte di Cassazione (SS.UU. 6070 del 12/3/2013; SS.UU.25974 del 24/12/2015; 232269 del 15/11/2016, 13017 del 10/6/2014, 1183 del 21/1/2014, 15637 del 11/6/2019, 17492 del 4/7/2018);

come è noto, dopo la riforma di cui al D.Lgs. n. 6 del 2003, con l’introduzione del nuovo art. 2495 c.c. la giurisprudenza di questa Corte si è orientata a ritenere che le società di capitali si estinguano immediatamente per effetto della cancellazione dal registro delle imprese, così abbandonando il precedente orientamento che, al fine di razionalizzare la situazione esistente in presenza di sopravvenienze attive o passive, reputava la società sempre in vita, purchè esistessero ancora “rapporti pendenti”;

la sentenza delle Sezioni Unite n. 4060 del 22/02/2010, Rv. 612084- 01, ha affermato che in tema di società, una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2495 c.c., comma 2, come modificato dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, art. 4, nella parte in cui ricollega alla cancellazione dal registro delle imprese l’estinzione immediata delle società di capitali, imponeva un ripensamento anche della disciplina relativa alle società commerciali di persone, in virtù del quale la cancellazione, pur avendo natura dichiarativa, consente di presumere il venir meno della loro capacità e soggettività limitata, negli stessi termini in cui analogo effetto si produce per le società di capitali, rendendo opponibile ai terzi tale evento, contestualmente alla pubblicità nell’ipotesi in cui essa sia stata effettuata successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 6 del 2003, e con decorrenza dal 1/1/2004 nel caso in cui abbia avuto luogo in data anteriore;

successivamente con le sentenze n. 6070 e 6071 del 12/03/2013 le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che dopo la riforma del diritto societario, attuata dal D.Lgs. n. 6 del 2003, qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorchè azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo; inoltre la cancellazione della società dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società cancellata, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio (con la sola eccezione della fictio iuris contemplata dalla L. Fall., art. 10); pertanto, qualora l’estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo, disciplinato dagli artt. 299 c.p.c. e ss., con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell’art. 110 c.p.c.; qualora l’evento non sia stato fatto constare nei modi di legge o si sia verificato quando non sarebbe più stato possibile il farlo constare in tali modi, l’impugnazione della sentenza, pronunciata nei riguardi della società, deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci, atteso che la stabilizzazione processuale di un soggetto estinto non può eccedere il grado di giudizio nel quale l’evento estintivo è occorso;

tuttavia tali principi devono essere contemperati con la regola dell’ultrattività del mandato professionale alla lite in capo al difensore per effetto della stabilizzazione della posizione giuridica della parte colpita dall’evento, enunciata nella successiva pronuncia delle Sezioni Unite n. 15295 del 04/07/2014 che ha significativamente temperato la portata e le conseguenze del precedente arresto;

in forza di tale principio, la morte o la perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, dallo stesso non dichiarate in udienza o notificate alle altre parti, comportano, giusta la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, che il medesimo procuratore, qualora originariamente munito di procura alla lite valida per gli ulteriori gradi del processo, sia legittimato a rappresentare la parte come se l’evento stesso non si fosse verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale, nonchè in quelle successive di sua quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla proposizione dell’impugnazione;

tale posizione è suscettibile di modificazione qualora, nella fase di impugnazione, si costituiscano gli eredi della parte defunta o il rappresentante legale di quella divenuta incapace, ovvero se il suo procuratore, già munito di procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, dichiari in udienza, o notifichi alle altre parti, l’evento, o se, rimasta la medesima parte contumace, esso sia documentato dall’altra parte o notificato o certificato dall’ufficiale giudiziario ex art. 300 c.p.c., comma 4.

nel caso in esame la sentenza oggetto dell’atto di precetto è stata resa nei confronti di un soggetto estinto, eppur validamente rappresentato dal suo procuratore costituito, che ha scelto di non dichiarare l’evento interruttivo;

appare inammissibile l’invocazione del principio, espresso – solo incidentalmente – dalla sentenza 6070/2013 delle Sezioni Unite (e poi applicato in alcune pronunce delle sezioni semplici: Sez. 5, n. 30341 del 23/11/2018, Rv. 651560 – 01; Sez. 5, n. 15177 del 22/07/2016, Rv. 640969 – 01; Sez. 3, n. 23141 del 31/10/2014, Rv. 633443 – 01), secondo cui la successione dei soci nei rapporti attivi pendenti alla data della cancellazione della società riguarda esclusivamente i diritti già certi in via definitiva e non opera con riferimento ai crediti oggetto di mera pretesa, che al momento della cancellazione erano ancora controversi e incerti, per cui opererebbe la presunzione di rinuncia a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo;

il tema della sorte di un credito controverso, esistente al momento della cancellazione volontaria della società dal registro delle imprese sulla base di uno spunto offerto dalla sentenza 16/7/2010, n. 16758 (che riguardava la mera pretesa di accertamento della simulazione di un negozio risolutivo) è stato così ripreso – peraltro con un obiter dictum – dalla decisione delle Sezioni unite del 12/3/2013, n. 6070;

in essa si legge che è ben possibile che la scelta della società di cancellarsi dal registro delle imprese, nonostante una “pendenza non ancora definita”, ma ad essa nota, sia da intendere come “tacita manifestazione di volontà di rinunciare alla relativa pretesa”, potendo ciò “postularsi agevolmente” quando si tratti di “mere pretese, ancorchè azionate o azionabili in giudizio, cui ancora non corrisponda la possibilità d’individuare con sicurezza nel patrimonio sociale un diritto o un bene definito, onde un tal diritto o un tal bene non avrebbero neppure perciò potuto ragionevolmente essere iscritti nell’attivo del bilancio finale di liquidazione”, salvo aggiungere l’ulteriore precisazione “Ma quando, invece, si tratta di un bene o di un diritto che, se fossero stati conosciuti o comunque non trascurati al tempo della liquidazione, in quel bilancio avrebbero dovuto senz’altro figurare, e che sarebbero perciò stati suscettibili di ripartizione tra i soci (al netto dei debiti), un’interpretazione abdicativa della cancellazione appare meno giustificata, e dunque non ci si può esimere dall’interrogarsi sul regime di quei residui o di quelle sopravvenienze attive”;

in particolare, quanto alla presunzione di remissione tacita delle “mere pretese” in caso di cancellazione della società dal registro delle imprese senza previa redazione del bilancio di liquidazione, invocata da parte del ricorrente, questa Corte si è recentemente pronunciata con la sentenza della Sez.1 n. 9464 del 22/05/2020,Rv. 657639 – 01 (conforme Sez.6-1, n. 2243 del 16/10/2020), dando conto in modo sistematico di limiti e presupposti per l’accoglimento di tale eccezione;

in particolare la predetta sentenza ha affermato che l’estinzione di una società conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, ove intervenuta nella pendenza di un giudizio dalla stessa originariamente intrapreso, non determina anche l’estinzione della pretesa azionata, salvo che il creditore abbia manifestato, anche attraverso un comportamento concludente, la volontà di rimettere il debito comunicandola al debitore e sempre che quest’ultimo non abbia dichiarato, in un congruo termine, di non volerne profittare;

la stessa conclusione ha attinto l’ordinanza della Sez. 3, n. 28439 del 14/12/2020, secondo la quale la remissione del debito, quale causa di estinzione delle obbligazioni, esige che la volontà abdicativa del creditore sia espressa in modo inequivoco e un comportamento tacito, e pertanto può ritenersi indice della volontà del creditore di rinunciare al proprio credito solo se è privo di alcun’altra giustificazione razionale; ne consegue che i crediti di una società commerciale estinta non possono ritenersi rinunciati per il solo fatto che non siano stati evidenziati nel bilancio finale di liquidazione, a meno che tale omissione non sia accompagnata da ulteriori circostanze tali da non consentire dubbi sul fatto che l’omessa appostazione in bilancio possa fondarsi su altra causa, diversa dalla volontà della società di rinunciare al credito; è stata così ritenuta esente da critiche la sentenza che aveva escluso che la mera omissione dell’indicazione d’un credito nel bilancio finale di liquidazione potesse ritenersi indice certo della volontà di rinunciarvi;

in secondo luogo, la questione della remissione tacita appare nuova, poichè la relativa eccezione non risulta sia stata proposta e comunque trattata nel corso del giudizio di merito;

la presunzione di rinuncia implicita ai crediti, non ancora accertati giudizialmente per effetto della cancellazione della società, senza liquidazione o prosecuzione della fase liquidatoria, non può venire in considerazione nel presente giudizio;

infatti tale presunzione di rinuncia (meramente hominis o comunque suscettibile di prova contraria e non certo legale) attiene alla ricostruzione dei fatti storici rilevanti e deve necessariamente trovare sfogo nel giudizio di merito secondo l’ordinata dialettica processuale e la relativa eccezione non può pertanto essere proposta per la prima volta nel giudizio di legittimità (Sez.6-1, n. 22432 del 16/10/2020);

nella fattispecie tale eccezione non è stata proposta nel giudizio di merito che ha condotto alla formazione del titolo posto a fondamento del precetto opposto, legittimamente fatto valere dall’unico socio succeduto alla società estinta;

tali considerazioni non possono trovare ostacolo nella insindacabilità della scelta discrezionale del difensore della parte colpita dall’evento interruttivo di non dichiararne la verificazione e di determinare la prosecuzione del giudizio in forza dell’ultrattività del mandato difensivo, che gioca solo sul terreno della regolarità del rapporto processuale così proseguito;

ciò infatti non impedisce alla parte contro-interessata di far valere nel giudizio di merito, gli effetti giuridici di carattere sostanziale che assume essersi prodotti in conseguenza di fatti sopravvenuti, quand’anche riconducibili allo stesso evento interruttivo non dichiarato, cosa invero non verificatasi nella presente fattispecie, quantomeno nell’ambito del giudizio di primo grado che ha condotto alla formazione del titolo giudiziale oggetto di opposizione;

con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 2311,2312 e 1495 c.c. (rectius art. 2495 c.c.);

il motivo appare inammissibile perchè non pertinente e specifico rispetto alla ratio decidendi del provvedimento impugnato, che ha ritenuto ininfluente la continuazione in modo individuale dell’attività di impresa da parte dell’unico socio superstite e ha invece attribuito la legittimazione al sig. G. sulla base del fenomeno successorio nei crediti della società estinta;

era infatti con il provvedimento giudiziale concretamente emesso e non con allegazioni e tesi giudiziali svolte dalla controparte, non accolte nella pronuncia impugnata, che il ricorrente si doveva confrontare;

ritenuto pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidate nella somma di Euro 4.000,00 per compensi, Euro 100,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2021

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