Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 677 del 13/01/2011

Cassazione civile sez. VI, 13/01/2011, (ud. 28/10/2010, dep. 13/01/2011), n.677

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – rel. Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.C. (OMISSIS) in proprio e quale legale

rappresentante pro tempore della Ditta Edil Mari Srl ed inoltre

C.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA PORTUENSE 104, presso la sig.ra ANTONIA DE ANGELIS,

rappresentati e difesi dagli avvocati BRUSCIOTTI GAIA, BRUSCIOTTI

BRUNO, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI FOSSOMBRONE (PU) in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA FRIGGERI 18, presso lo

studio dell’avvocato BONACCIO GIOVANNI, rappresentato e difeso

dall’avvocato VALENTINI ALDO, giusta Delib. Giunta Municipale 4

dicembre 2009, n. 212 e giusta procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e contro

RESPONSABILE DEL SETTORE POLIZIA MUNICIPALE DEL COMUNE DI FOSSOMBRONE

(PU);

– intimato –

avverso la sentenza n. 497/2009 della CORTE D’APPELLO di ANCONA del

16.7.09, depositata il 10/10/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/10/2010 dal Consigliere Relatore Dott. LUIGI PICCIALLI;

udito per i ricorrenti l’Avvocato Bruno Brusciotti che si riporta ai

motivi del ricorso, insistendo per l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato Aldo Valentini che si

riporta ai motivi del controricorso, aderendo alla relazione;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. RENATO

FINOCCHI GHERSI che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il consigliere designato per l’esame preliminare depositava la relazione ex art. 380 bis in rel. art. 375 c.p.c. del 5.5.210, che di seguito si trascrive.

Il relatore, letti gli atti relativi al ricorso di cui sopra, PREMESSO:

Che la sentenza impugnata ha confermato quella n. 72/09 del Tribunale di Urbino, con la quale, a seguito di rinvio disposto da questa S.C., era stata respinta l’opposizione della societa’ e dei soci in epigrafe (il primo quale legale rappresentante, il secondo quale direttore dei lavori all’epoca dei fatti) avverso un’ordinanza – ingiunzione comunale, irrogante la sanzione amministrativa di L. 7.215.202.736 (previa detrazione dal maggior importo di L. 7.225.202.736 di quello di L. 10.000.000 versato a titolo di oblazione, ritenuto insufficiente), per la violazione di cui alla L.R. Marche n. 71 del 1997, art. 20, commi 1 e 2 per aver eseguito attivita’ estrattiva difforme dal piano di escavazione autorizzato…..sino al luglio 1999, scavando abusivamente metri cubi 81.856, per un valore di L. 7.225.202.736.

OSSERVA:

Tutti i motivi esposti dai ricorrenti si palesano infondati, per le considerazioni di seguito rispettivamente esposte.

1) Il primo (viol. e falsa appl. L.R. Marche n. 33/9, art. 9, L.R. Marche n. 71 del 1997, art. 20 carenze e contr. mot), nel dedurre che l’importo dell’oblazione avrebbe dovuto essere quello versato, di L. 10.000.000 (in quanto pari al doppio del minimo edittale della sanzione), muove dall’erroneo presupposto che all’epoca dei fatti (commessi fino al (OMISSIS)) la norma sanzionatoria di riferimento, non contenente un limite massimo, avrebbe invece previsto solo un limite minimo edittale, di L. 5.000.000.

Correttamente, invece, i giudici di merito, tenuto conto che la fattispecie d’illecito contestata (come rilevabile dalla riportata formulazione dell’addebito, nei suoi inequivocabili estremi di fatto) atteneva non all’ipotesi di cui al comma 1 (sebbene anche impropriamente menzionato), relativo all’esercizio di attivita’ estrattiva senza autorizzazione o in violazione dell’ordinanza di sospensione, bensi’ a quella del comma 2 (comunque richiamato) del cit. art. 20, contemplante l’omessa osservanza delle condizioni dell’autorizzazione e comminante, prima delle modifiche apportate dalla L.R. Marche n. 33 del 1999, una sanzione proporzionale (pari doppio del valore del materiale abusivamente estratto), hanno ritenuto che l’importo dell’oblazione, tenuto conto del principio d’irretroattivita’ delle norme, seppur piu’ favorevoli, in materia di illecito amministrativo dettato dalla L. n. 689 del 1981, art. 1 (v., tra tante, Cass. 18212/03, 14751/05, 16422/05, 14828/06, 11556/06, 14959/09), del disposto di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 16 (e del conforme L.R. Marche, n. 71 del 1997, art. 9) ed in conformita’ alla giurisprudenza di legittimita’ in tema di illeciti prevedenti sanzioni proporzionali (v. Cass. 2407/89), non potesse che essere pari, in mancanza di minimi e massimi edittali fissi, ad un terzo del doppio del valore accertato. Ogni altra censura, avverso le subordinate argomentazioni contenute nella sentenza impugnata, secondo cui anche nell’ipotesi di riconducibilita’ della fattispecie all’ipotesi di cui alla L.R. cit., art. 20, comma 1, l’importo versato sarebbe stato insufficiente, risulta priva di rilevanza, attenendo a considerazioni ultronee della motivazione, dalle quali i giudici di appello ben avrebbero potuto esimersi, attesa l’idoneita’ della prima ratio decidendi (correttamente individuante la fattispecie d’illecito in quella di cui al secondo 2) a sorreggere la decisione.

2) Le suesposte considerazioni, circa la corretta qualificazione dell’illecito ed il regime sanzionatorio ratione temporis applicabile alla fattispecie, comportano la manifesta infondatezza anche del secondo motivo (viol. e falsa appl. Della L. n. 689 del 1981, art. 10), posto che la natura proporzionale delle sanzioni in questione, che per espressa previsione di cui all’ultima parte del comma 1 dell’art. invocato, “non hanno un limite massimo”, comporta l’inapplicabilita’ del limite massimo, pari al decuplo del minimo edittale (che nella specie neppure e’ previsto), fissato dal comma 2.

3) Il terzo motivo (viol. e falsa appl. Della L.R. Marche, art. 20 e L. n. 689 del 1981, art. 1, con connessi vizi della motivazione), con il quale si lamenta che i giudici di merito abbiano erroneamente ritenuto utilizzabile, ai fini della determinazione della sanzione, le indicazioni relative al valore del materiale abusivamente estratto, desunte non dai listini prezzi della Camera di Commercio, come previsto dalla disposizione regionale, bensi’ da dati non ufficiali comunicati da tale organismo, che sarebbero privi di attendibilita’ e di obiettiva predeterminazione, non evidenzia alcuna effettiva violazione del principio di legalita’, ne’ carenze o illogicita’ della motivazione. Risulta dalla sentenza impugnata che la Camera di Commercio, pur facendo presente che nel periodo in considerazione i materiali estrattivi non figuravano in listini ufficiali, era stata tuttavia, a seguito di indagine di mercato, in grado di indicarne i correnti valori, massimi e minimi (misura quest’ultima in concreto applicata dal Comune nel provvedimento sanzionatorio); conseguentemente la corte di merito ha ritenuto che nel caso di specie, provenendo l’indicazione da “un soggetto terzo”, preventivamente indicato dalla norma sanzionatoria, e peraltro “tecnicamente attrezzato”, il procedimento legale di determinazione per relationem della sanzione, sulla base di dati attendibili forniti da un organismo specificamente qualificato, era stato sostanzialmente osservato, non potendosi ritenere indispensabile resistenza di listini ufficiali specificamente contemplanti tali merci.

L’argomentazione risulta corretta e convincente, per la ragionevolezza del criterio seguito e la sua sostanziale aderenza al principio di legalita’ cui e’ ispirata la norma, la cui essenziale ratio va individuata nella esigenza di non rimettere la determinazione alla discrezionalita’ dell’amministrazione titolare della pretesa sanzionatoria, ma a dati obiettivi, corrispondenti alla corrente situazione di mercato, esigenza che pur nei casi di mancata quotazione specifica puo’ ritenersi comunque assicurata, perche’ la sanzione non sia verificata, dall’individuazione dei prezzi correnti da parte dell’ente terzo, istituzionalmente preposto alla tenuta dei listini suddetti. Le doglianze pertanto, nella successiva parte in cui pongono in dubbio l’attendibilita’ della valutazione in questione, proponendo alternativi criteri, desunti da successivi provvedimenti regionali piu’ favorevoli ai ricorrenti, si risolvono in palesi censure in fatto, avverso un apprezzamento che, adeguatamente motivato dai giudici di merito, e’ incensurabile in sede di legittimita’. L’esame della motivazione ai fini dell’art. 360 c.p.c., n. 5 non puo’, infatti, consistere in un raffronto comparativo tra il modulo argomentativo adottato dal giudice di merito e quello diverso proposto dal ricorrente, dovendo invece limitarsi al vaglio della tenuta logico – giuridica del primo in se’ consideratecene nella specie risulta ragionevole, indenne da omissioni o illogicita’, con i conseguenti riflessi sulla corretta osservanza del principio di legalita’ della sanzione.

4) Il quarto motivo (viol. e falsa appl. Della L. Reg. Marche, art. 7 e L. n. 689 del 1981, art. 14 con connessi vizi ex art. 360 c.p.c., n. 5) e’ altrettanto palesemente infondato, risolventesi anch’esso in una censura di merito avverso la valutazione compiuta dalla corte territoriale, che in aderenza al costante indirizzo della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’onere della immediata contestazione dell’illecito amministrativo, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 14 (e delle eventuali altre norme di analogo contenuto) va coordinato con la necessita’, da parte dell’amministrazione procedente, di acquisire sufficienti elementi ai fini della compiuta valutazione oggettiva e soggettiva, in tutte le sue componenti, ivi comprese quelle sanzionatorie, della fattispecie, con la conseguente necessita’ da parte del giudice di merito, di individuare, ai fini della decorrenza del termine, tale momento, tenendo conto della particolarita’ ed eventuale complessita’ del caso (tra le altre, v Cass. 6408/96, 11129/99, 1866/00, 2088/00, 2363/05, 8456/06, 25916/06). Nella specie i giudici di merito, nel ritenere la congruita’ del termine nel quale la contestazione e’ avvenuta, hanno tenuto conto di vari elementi, tra cui in particolare la necessita’ di determinare il quantitativo del materiale estratto in eccedenza rispetto a quello consentito e, successivamente, il relativo valore ai fini della misura della sanzione, e quella di conoscere l’esito del procedimento penale, scaturito dall’accertamento della violazione, nell’ambito del quale l’A.G. avrebbe potuto anche contestare, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 24 il connesso illecito amministrativo, a tale ultimo proposito evidenziando come la contestazione ex art. 14 L. cit. da parte del Comune fosse poi avvenuta entro il termine di gg. 90 dalla conoscenza della sentenza di “patteggiamento”.

Trattasi, all’evidenza, di una valutazione discrezionale di merito che, anche in questo caso, risulta adeguatamente motivata e, pertanto, incensurabile per la sua ragionevolezza.

5) Il quinto motivo (viol. e falsa appl. Della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 2), con il quale si lamenta a conclusione del procedimento sanzionatorio oltre il termine generale di gg. 30 dettato dalla norma generale sul procedimento amministrativo, e’ manifestamente infondato alla luce del contrario principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sent. nn. 9591 – 9599 del 27.4.2006), cui si rimanda, a termini del quale il suddetto termine non si applica al procedimento sanzionatorio amministrativo, compiutamente regolato, in tutte le sue cadenze, dalla L. n. 689 del 1981.

6) Non miglior sorte, infine, merita il sesto motivo (viol e falsa appl. Dell’art. 445 c.p.p. e L.R. Marche, art. 20), con il quale si lamenta che i giudici di merito abbiano indebitamente desunto dalla sentenza di patteggiamento “la prova circa la volontarieta’ del fatto contestato e la sua commissione”, considerato che nella sentenza impugnata non e’ stata desunta,a guisa di automatismo, la sussistenza della responsabilita’ per l’illecito amministrativo da quella per il connesso reato ex art. 445 c.p.p., ma soltanto valutati quegli stessi elementi di accusa (essenzialmente emergenti dagli accertamenti compiuti dal Comune, in particolare dai verbali, facenti fede fino a querela di falso) che avevano dato luogo alla contestazione penale, poi oggetto di patteggiamento (il cui rilievo sintomatico, pur non facendo stato nelle sedi civili ed amministrative, va comunque valutato dal giudice, tenuto a spiegare le eventuali ragioni per le quali non vi ravvisi ammissione di responsabilita’: v. tra le altre Cass. 9358/05, 23906/07, 5637/09).

A tal riguardo la corte di merito, premesso che solo in grado di appello era stata una generica confutazione dell’illecito (essendosi in precedenza gli opponenti essenzialmente limitati a sostenere la congruita’ dell’oblazione), hanno correttamente osservato che, ad escludere per “buona fede” l’elemento psicologico dell’illecito, L. n. 689 del 1981, ex art. 3 punibile a anche a titolo di colpa, sarebbe stata necessaria la dimostrazione, nella specie non fornita (e nel motivo di ricorso neppure dedotta), di un errore inevitabile sulla liceita’ del fatto. La genericita’ al riguardo della doglianza, peraltro formulata negli impropri esclusivi termini di violazione di una norma di diritto, si traduce pertanto in palese inammissibilita’ della censura, sostanzialmente diretta contro un insindacabile accertamento di fatto, conducente alla corretta applicazione dell’articolo citato.

Conclusivamente, per tutte le suesposte considerazioni, si propone il rigetto de ricorso, per manifesta infondatezza”.

Fissata l’udienza in camera di consiglio, i difensori delle parti hanno depositato successive memorie e ribadito oralmente le rispettive opposte posizioni; il PG. ha aderito alla proposta del relatore.

Tanto permesso, osserva il collegio che la parte ricorrente non ha esposto ulteriori e convincenti argomentazioni, atte a superare quelle contenute nella riportata relazione preliminare, che il collegio condivide integralmente.

Per quanto attiene, in particolare, alla violazione del principio di legalita’ della sanzione, dedotta nel terzo motivo, censura su cui ha segnatamente insistito la difesa dei ricorrenti, questa Corte ritiene di dover confermare le ragioni reiettive esposte dal relatore, considerato che il richiamo della norma sanzionatoria regionale temporalmente in vigore (la sola di cui era possibile l’applicazione, in virtu’ del principio della irretroattivita’ delle norme sopravvenute, sebbene piu’ favorevoli (dettato dalla L. n. 689 del 1981, art. 1 in materia di illecito amministrativo), nella parte in cui prevedeva, all’art. 20, che ai fini della sanzione, il valore di mercato del materiale abusivamente estratto in eccedenza andava “rilevato dai listini prezzi della Camera di commercio provinciale competente”, non poteva essere interpretato nel senso strettamente letterale preteso dai ricorrenti, esigente comunque l’esistenza di siffatti listini e la specifica inclusione del materiale in questione negli stessi, dovendosi invece intendere, avuto riguardo alle finalita’ perseguite dalla disposizione, che detta valutazione provenisse, con caratteri di ufficialita’, dal suddetto organo, neutrale e tecnicamente organizzato. Premesso, in fatti, che il criterio normativo per la determinazione della sanzione, nella specie adottato, era quello di commisurare la stessa non tanto al danno ambientale cagionato, quanto al lucro illegittimamente conseguito dal trasgressore, rimettendo la relativa valutazione di base ai dati, necessariamente variabili nel tempo,rilevabili dal mercato, il riferimento ai suddetti “listini”, che rappresentano nella maggior parte dei casi per le merci, oggetto di frequenti contrattazioni, l’ordinario mezzo con il quale periodicamente le relative quotazioni vengono rese note, deve nondimeno ritenersi che, anche nei casi in cui, per la non particolare frequenza degli scambi relativi a particolari merci, per le quali non si sia ritenuto opportuno trasfonderne le relative quotazioni nei suddetti “listini, da parte dell’organismo camerale, il risultato dell’indagine tecnica da quest’ultimo compiuta attraverso i propri organi, sostanzialmente non diversa da quella che precede la compilazione del listino stricto sensu, ove trasfuso in un atto ufficiale proveniente dallo stesso, come nella specie e’ avvenuto attraverso la comunicazione di cui e’ menzione in sentenza, va considerato del tutto equipollente all’indicazione di tale prezzo in quel particolare elenco costituito dai listini. Siffatta interpretazione della norma sanzionatoria non viola il divieto di applicazione analogica, contenuto nell’art. 14 preleggi”, ne’ il principio di legalita’ dettato dal gia’ ricordato L. n. 689 del 1981, art. 1 rappresentando invece l’unica ragionevole ipotesi di lettura della disposizione regionale, che in considerazione della mens legis in precedenza menzionata, risulta possibile per i casi in cui, per la non frequenza degli scambi di particolari materiali di cava o per altre ragioni contingenti, i relativi prezzi correnti all’epoca dell’illecito non fossero riportati nei “listini”, pur tuttavia risultando accertabili dalla Camera di commercio territorialmente competente ed istituzionalmente preposta a siffatte indagini tecniche, si’ da poterne la stessa fornire la relativa indicazione con atti del proprio ufficio, assumendosene ogni responsabilita’. In altri termini, il procedimento di eterointegrazione dell’illecito amministrativo, che puo’ riguardare sia il precetto, sia la sanzione (sulla cui compatibilita’ con il sopra citato principio di legalita’, nei casi in cui il ricorso a fonti integratrici di rango inferiore sia giustificato dalla particolare “tecnicita’” in cui le stesse sono destinate ad operare: v. Cass. 9584/06), risulta nella specie soddisfatto, attenendo il rinvio non tanto all’iter procedimentale, interno all’ente, attraverso il quale l’organo amministrativo, deputato all’accertamento integrativo, sia pervenuto allo stesso e lo abbia formalmente esteriorizzato, bensi’ all’oggetto dell’indagine al riguardo compiuta, nell’ambito dei propri compiti istituzionali, ed al relativo risultato portato, debitamente e con carattere di ufficialita’ (che non puo’ negarsi ad una nota di ufficio comunicante i dati acquisiti direttamente dal mercato) portato a conoscenza dell’ente titolare della pretesa sanzionatoria.

In diversa ipotesi dovrebbe pervenirsi all’aberrante conclusione che il legislatore regionale avesse messo in conto, venendo cosi’ meno alle finalita’ di tutela ambientale e di repressione delle condotte lesive ed illecitamente speculative perseguite dalla normativa in questione, la possibilita’ di lasciare di fatto impuniti comportamenti, corrispondenti alle fattispecie tipizzate nel precetto legale, per il solo fatto della mancata inclusione nei listini in questione dei materiali di cava, pur costituendo questi il prodotto dell’illecito.

Sul rimanente profili di censura, correlati alla non corrispondenza di tali prezzi, nella vicenda in esame accertati e comunicati dalla Camera di commercio, con quelli, successivamente determinati in misura inferiore, per analoghe vicende trasgressive, dalla Giunta Regionale, in base al diverso procedimento introdotto dalle modifiche apportate alla L. Reg. Marche, art. 20, comma 3 cit., premesso che il principio di irretroattivita’ di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 1 non consentiva al giudice di tenerne conto alcuno e che, una volta verificato che la sanzione in concreto applicata, sulla base della norma temporalmente in vigore, fosse stata determinata sulla scorta della vincolante fonte dalla stessa indicata (da intendersi nel senso in precedenza precisato), non competendo al riguardo al giudice di merito alcun margine di apprezzamento, non vi e’ spazio alcuno per la denuncia di vizi della motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1.

Quanto ai rimanenti motivi di ricorso, non oggetto di considerazioni aggiuntive nella memoria di parte, si rinvia alla relazione preliminare.

Il ricorso va, conclusivamente, respinto, con la conseguente solidale condanna dei ricorrenti alle spese del giudizio, che in ragione del valore della controversia, si liquidano nella misura di cui in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al rimborso delle spese processuali in favore del resistente Comune di Fossombrone, che liquida in complessivi Euro 12.200,00 di cui 200,00 per esborsi.

Cosi’ deciso in Roma, il 28 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2011

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