Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6769 del 01/03/2022

Cassazione civile sez. I, 01/03/2022, (ud. 30/11/2021, dep. 01/03/2022), n.6769

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11544/2016 proposto da:

IMPRESA EDILE DOLCECASA DEL GEOM. V.C. S.R.L., in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, Via F. Confalonieri n. 5, presso lo studio

dell’avvocato Manzi Andrea, che la rappresenta e difende, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

A.S.L. N. (OMISSIS) CHIAVARESE, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Viale Giulio Cesare

n. 14 A-4, presso lo studio dell’avvocato Pafundi Gabriele, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Cocchi Luigi, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 482/2015 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

pubblicata il 02/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/11/2021 dal cons. Dott. DI MARZIO MAURO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Impresa Edile Dolcecasa del Geom. V.C. S.r.l. ricorre per sedici mezzi, nei confronti della Azienda Asl (OMISSIS) Chiavarese, contro la sentenza del 2 Aprile 2015 con cui la Corte d’appello di Genova, pronunciando in rigetto del suo appello principale ed in accoglimento dell’appello incidentale della Azienda, ha respinto le domande originariamente spiegate dall’odierna ricorrente, volte ad ottenere l’importo di Euro 1.135.947,02, oltre accessori, a fronte di 74 riserve iscritte nell’ambito di un contratto avente ad oggetto manutenzione ed adeguamento antincendio del Dipartimento di Prevenzione di Chiavari, condannando l’appaltatrice al pagamento, in favore dell’Asl, della somma di Euro 22.951,90, con accessori, e regolando le spese di lite.

2. – L’Azienda Asl (OMISSIS) Chiavarese resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. – Il ricorso riassume come segue i motivi spiegati.

Primo motivo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 554 del 1999, art. 165, commi 3 e 5, e del D.M. n. 145 del 2000, art. 31, comma 3.

Con il primo motivo si censura la sentenza impugnata, in violazione delle norme rubricate, in quanto la Corte d’appello ha ritenuto la maggior parte delle riserve intempestive o non sufficientemente esplicate, senza considerare che la ASL era ormai decaduta dall’eccezione di inammissibilità per intempestività e o genericità delle riserve, non avendolo mai contestato all’impresa durante la fase amministrativa antecedente l’instaurazione del giudizio.

Secondo motivo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: omesso esame di un fatto decisivo discusso tra le parti: i fatti che hanno influito sul prolungamento dei tempi di esecuzione dell’appalto e che non rendevano possibile per loro natura, l’iscrizione delle riserve sul verbale di consegna e sospensione lavori.

La Corte d’appello, in relazione alle riserve 2-3-4-5-6-7, relative all’illegittimo prolungamento dei tempi contrattuali per 120 giorni, le ha ritenute inammissibili in violazione delle norme pubblicate, per via della loro mancata iscrizione nel verbale di consegna lavori e in quello di sospensione lavori.

Il Collegio, tuttavia, ha omesso di considerare che molti dei fatti denunciati dall’impresa nelle riserve erano successivi alla ripresa dei lavori, ragion per cui non avrebbero potuto essere denunciati certamente nel verbale di consegna e neppure in quello di sospensione; ha, altresì, omesso di esaminare la natura continuativa di tali fatti problema che, invece, si era posto il primo giudice nel redigere il quesito al CTU – il che rendeva pienamente tempestive le riserve.

Terzo motivo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione e falsa applicazione del D.M. n. 45 del 2000, art. 31.

La Corte di Appello, in relazione alle riserve n. 2-3-4-5-6-7 relative all’illegittimo prolungamento dei tempi contrattuali per 120 giorni, le ha ritenute inammissibili per via della loro mancata iscrizione nel verbale di consegna lavori e in quello di sospensione lavori in violazione delle norme rubricate.

Tuttavia, le disposizioni in rubrica sono state applicate in modo errato, sia perché i fatti che hanno causato il prolungamento sono da intendersi “continuativi” e non facilmente individuabili, né al momento della sospensione lavori, né al momento della sua ripresa, sia perché il ritardo di 120 giorni riguarda, oltre al periodo di sospensione, anche e soprattutto il periodo successivo alla ripresa dei lavori e, pertanto, non era certamente possibile, quanto meno per il ritardo accumulatosi successivamente alla ripresa, iscrivere le riserve né nel verbale di consegna né in quello di ripresa.

Quarto motivo: art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: omessa valutazione di fatto decisivo discusso tra le parti consistente nella mancata programmazione dei lavori e mancata liberazione delle aree di intervento da parte dell’ASL.

La Corte di Appello, nel dichiarare in relazione alle riserve 8-34 (concernenti il maggior onere affrontato dall’impresa a causa del mancato sgombero dei locali oggetto di intervento) che l’impresa non avrebbe efficacemente programmato la propria opera nell’area di cantiere (anche in disparte l’assoluta genericità e gratuità di tale affermazione), non ha considerato quanto era stato denunciato dalla ricorrente, segnatamente, il fatto che sarebbe stato onere della DL presentare all’impresa la propria programmazione dei lavori e delle aree di intervento, affinché Dolcecasa potesse redigere, a sua volta, il proprio cronoprogramma, in conformità all’art. 9 del contratto d’appalto.

Quinto motivo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, discussi tra le parti, consistenti nell’esame delle riserve sullo stato finale al fine di deciderne la tempestività.

La Corte di appello ha ritenuto inammissibile per tardività le riserve dalla B alla G formulate sullo stato finale (in appello numerate per comodità in ordine progressivo dalla 65 alla 70), adducendo come sola motivazione che “l’iscrizione doveva avvenire con la sottoscrizione del primo SAL”.

Poiché tali riserve non sono state assolutamente esaminate nel merito, risultando tanto perentoria quanto apodittica la statuizione di inammissibilità, non si comprende da dove la Corte d’appello abbia tratto il proprio convincimento.

Sesto motivo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 in relazione all’art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c.: nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione in merito alle riserve accumulate sullo stato finale e al mancato accoglimento delle istanze istruttorie non accolta in primo grado.

La Corte d’appello ha ritenuto le riserve formulate sullo stato finale (dalla B alla G) inammissibili per tardività ma non v’e’ chi non vede come la motivazione alla base di tale convincimento non sia stata in alcun modo esplicata.

Settimo motivo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione D.M. n. 145 del 2000, art. 29 e 30.

La Corte di appello ha ritenuto corretto alla corresponsione dei soli interessi legali e non già di quelli moratori in quanto non sarebbero stati chiesti dall’impresa né quest’ultima è specificato al punto che sulle date da cui dovrebbe ritenersi maturato il diritto. La statuizione, oltre ad essere del tutto infondata, dal momento che l’oggetto della riserva n. 63 e proprio ritardo contabilizzazione lavori interessi e rivalutazione per essere maturato il I SAL all’1.3.2002, contrasta apertamente con le norme pubblicate che prevedono il diritto dell’appaltatore a vedersi riconosciuti gli interessi moratori per i ritardati pagamenti della SA e non già i minori interessi legali.

Ottavo motivo art, 360, comma 1, n. 3, c.p.c. violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 554 del 1999, art. 34,L. n. 109 del 1994, art. 26, comma 4 septies, L. n. 537 del 1993, art. 6 e D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 133.

La Corte d’Appello, nel rigettare le riserve n. 1 e 2 relativi all’incongruità dei prezzi contrattuali, ha omesso di considerare che, in base alle disposizioni rubricate, la dichiarazione con la quale l’appaltatore dichiara di accettare l’opera non costituisce una clausola di stile e non esime la SA dall’obbligo di applicare prezzi adeguati.

Nono motivo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: nullità sentenza per contrasto tra motivazione e dispositivo.

La Corte di appello ha riconosciuto nella motivazione della sentenza la fondatezza delle riserve n. 26-32-36-44-45-47-60-61 ma gli importi di tali riserve non sono stati conteggiati nella quantificazione del dispositivo e, invece, ha sancito la totale soccombenza dell’impresa Dolcecasa.

Decimo motivo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: omesso esame di un fatto decisivo consistente nella mancata regolare tenuta da parte della SA della contabilità dei lavori.

La Corte di appello ha rigettato le riserve dalla 10 alla 24 e dalla 26 alla 62 – che si riferiscono tutte alla mancata contabilizzazione di alcune lavorazioni – addebitando all’impresa il fatto – non si comprende da dove desunto – di aver rifiutato di rilevare le misure in contraddittorio per la redazione dello stato finale.

Il Collegio ha, invece, completamente omesso di pronunziare sul fatto che spiega la ragione per cui molte lavorazioni non sono state contabilizzate dalla SA e consistente, segnatamente, nella gravissima negligenza e nelle molte irregolarità con cui i lavori sono stati seguiti dalla Committenza per il tramite della DL e del RUP.

Undicesimo motivo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c. e all’art. 132 c.p.a.: nullità della sentenza per inesistenza della motivazione.

La Corte di Appello, in accoglimento dell’appello incidentale, senza avere effettuato alcuna ricostruzione in punto di fatto, ha ritenuto inammissibile riserve sollevate in sede di collaudo dall’impresa n. 2-3) in quanto apoditticamente tardive.

Dodicesimo motivo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: omesso esame su fatti decisivi che sono stati oggetto di discussione tra le parti e che imponevano il rigetto dell’appello incidentale: 1) tardiva emissione del certificato di collaudo; 2) atto di risoluzione consensuale d’appalto con rinuncia a fare valere penali.

La Corte di Appello, in accoglimento dell’appello incidentale, ha ritenuto inammissibili le riserve sollevate in sede di collaudo in quanto tardive.

Il Collegio, tuttavia, ha omesso di considerare: i) che il certificato di collaudo era stato emesso con grave ritardo, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 49 del contratto, l’opera doveva intendersi per accettata; ii) in presenza di un atto di risoluzione consensuale dell’appalto, non è possibile per il committente applicare la penale per ritardata ultimazione dei lavori, avendo le parti espressamente rinunciato a far valere le reciproche ragioni di danno.

Tredicesimo motivo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione e falsa applicazione del D.M. n. 145 del 2000, art. 31 e del D.P.R. n. 554 del 1999, art. 203.

La Corte di Appello, in modo del tutto illegittimo, ha applicato erroneamente alle riserve apposte al certificato di collaudo la disciplina di cui in rubrica relativa alla tempestività delle riserve, sebbene le doglianze dell’impresa, ancorché dedotte sotto forma di riserve, non consistevano in alcuna domanda di maggiori somme, limitandosi a contrastare la pretesa della SA che aveva inteso irrogare la penale per il ritardo.

Non trattandosi, quindi, di riserve in senso stretto, neppure poteva essere contestata la loro non tempestività.

Quattordicesimo motivo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: vizio di ultra petizione e violazione dell’art. 112 c.p.c.

La sentenza impugnata ha condannato Dolcecasa ha (così nel testo n.d.e.) rifondere alla ASL (OMISSIS) Chiavarese la somma di Euro 22.951,90, pari alla differenza tra gli acconti versati all’impresa e quanto realmente dovuto in base al rigetto pressoché integrale di tutte le riserve, senza che la suddetta ASL avesse avanzato tale domanda in sede di appello incidentale.

Quindicesimo motivo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione e falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 5, comma 1.

La Corte d’appello, nella liquidazione delle spese di giudizio per il primo e per il secondo grado, ha violato la disposizione di cui in rubrica che, in caso di domanda volta al pagamento di somme di denaro, stabilisce che debba farsi riferimento non al valore della domanda bensì all’entità della somma effettivamente quantificata dal giudice.

Sedicesimo motivo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 in relazione agli artt. 112 e 132 c.p.c.: nullità della sentenza per carenza assoluta di motivazione.

La sentenza impugnata ha posto integralmente a carico di Dolcecasa le spese per la CTU espletata in primo grado, senza fornire, al riguardo, la benché minima motivazione.

4. – Il ricorso è inammissibile.

5. – L’inammissibilità discende anzitutto dal complessivo difetto di autosufficienza.

5.1. – L’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, stabilisce che: “Il ricorso per cassazione deve contenere a pena di inammissibilità… 6) la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”.

La norma “costituisce il precipitato normativo del c.d. principio di autosufficienza” (Cass. 25 marzo 2013, n. 7455 e la giurisprudenza ivi richiamata; da ult. tra le tante Cass. 30 giugno 2020, n. 12997Cass. 12 giugno 2020, n. 11370), affermatosi ben prima dell’introduzione nell’ordinamento, nel 2006, della richiamata norma. Esso sorge sia in dipendenza del principio di autonomia del ricorso per cassazione che, come chiarito già in epoca remotissima, “deve mettere in grado il giudicante di rendersi conto dell’oggetto della controversia, in relazione alle esposte censure, senza indagini determinate da indicazioni per relationem, e con la certezza dell’esatto intendimento del ricorrente e dei punti della decisione oggetto di censura” (Cass. 16 luglio 1964, n. 1939), sia in funzione dell’osservanza del requisito di specificità dei motivi di ricorso per cassazione (Cass., Sez. Un., 22 maggio 2012, n. 8077).

Perché il principio di autosufficienza, con la “specifica indicazione” richiesta dall’art. 366 c.p.c., n. 6, possa dirsi osservato, occorre, secondo la giurisprudenza di questa Corte:

-) per un verso, sul piano contenutistico, che il ricorso per cassazione esponga tutto quanto necessario a porre il giudice di legittimità in condizione di avere completa cognizione della controversia e del suo oggetto, nonché di cogliere il significato e la portata delle censure contrapposte alle argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (Cass. 28 dicembre 2017, n. 31082; Cass. 3 febbraio 2015, n. 1926; Cass. 4 aprile 2006, n. 7825; da ult. tra le tante Cass. 22 giugno 2020, n. 12191; Cass. 28 maggio 2020, n. 10143), sicché il ricorrente per cassazione deve esplicitare quale sia, per la parte rilevante, il contenuto degli atti o dei documenti che pone a fondamento del ricorso, riassumendoli o trascrivendoli a seconda di quanto di volta in volta occorra;

-) per altro verso che il ricorso soddisfi l’onere di “localizzazione processuale” di ciascun atto o documento su cui il ricorso si fonda (v. da ult. Cass., Sez. Un., 9 novembre 2021, n. 32673, nonché, limitando le citazioni a pronunce delle ultime settimane, Cass. n. 31796 del 2021, Cass. n. 31756 del 2021, Cass. n. 31590 del 2021Cass. n. 31377 del 2021, Cass. n. 29667 del 2021; per gli atti e documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio v. Cass. 11 gennaio 2016, n. 195), onere di localizzazione indispensabile perché la Corte di cassazione sia posta in condizione di individuare ciascun atto o documento senza effettuare soverchie ricerche, e che d’altronde richiede un minimo sforzo di diligenza, risolvendosi nella semplice indicazione, con riguardo a ciascun atto o documento, del fascicolo (di quale delle parti, ovvero d’ufficio, di primo o di secondo grado) in cui esso è rinvenibile, con l’indicazione della collocazione entro il fascicolo (adempimento, perciò, armonico, per la sua intuitività e semplicità, con il principio di effettività della tutela giurisdizionale, sancito dalla Convenzione EDU: Cass. 3 gennaio 2020, n. 27; Cass. 25 marzo 2015, n. 7455)

Sul tema merita richiamare la recente Corte EDU, sez. I, 28 ottobre 2021, r.g. n. 55064/11, la quale ha preso atto del principio di autonomia del ricorso per cassazione, e del collegato principio di autosufficienza ed ha osservato:

-) che tale principio è destinato a semplificare l’attività della Corte di cassazione e allo stesso tempo a garantire la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, consentendo alla Corte medesima di decidere “sulla base del solo ricorso”, garantendo così un uso appropriato e più efficiente delle risorse disponibili;

-) che lo stesso principio, con le limitazioni all’accesso alla Corte di cassazione che legittimamente comporta, non deve però essere interpretato in modo troppo formale, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, interpretazione eccessivamente formale che la Corte Edu ha ritenuto di ravvisare nella da tempo dismessa giurisprudenza di questa S.C. che traduceva il principio di autosufficienza in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso.

5.2. – Nel nostro caso, il ricorso esordisce programmaticamente con l’intento di prestare osservanza al principio di autosufficienza, secondo quanto previsto dal noto protocollo del 2015, condiviso dal Primo Presidente di questa Corte e dal CNF, ed afferma che “la documentazione citata in ricorso, anziché essere ritrascritta, viene richiamata mediante puntuali rinvii agli atti allegati”. Si aggiunge: “Il testo delle riserve dell’appaltatore, in particolare, è contenuto nel doc. 3 allegato al presente ricorso, che consiste nel 1 SAL, nello stato finale e nel certificato di collaudo. Gli atti processuali del giudizio di secondo grado richiamati – atto di appello e comparsa conclusionale – sono contenuti nel fascicolo processuale che si produce sub doc. n. 5 al presente ricorso”.

Vi è da osservare ancora che il ricorso, a pagina 43, menziona la produzione della copia autentica della sentenza impugnata nonché di copia della sentenza di primo grado, ed inoltre il “testo delle riserve dell’appaltatore” (trascrizione delle stesse altrove formulate), “fascicolo processuale di parte di I grado”, “fascicolo processuale di parte di II grado”, “relazione riservata DL”, “controdeduzioni DL”, “relazione riservata collaudatore”.

Ebbene, il Protocollo richiamato stabilisce quanto segue: “Il rispetto del principio di autosufficienza non comporta un onere di trascrizione integrale nel ricorso e nel controricorso di atti o documenti ai quali negli stessi venga fatto riferimento. Il sunnominato principio deve ritenersi rispettato 1) ciascun motivo articolato nel ricorso risponda ai criteri di specificità imposti dal codice di rito; 2) nel testo di ciascun motivo che lo richieda sia indicato l’atto, il documento, il contratto o l’accordo collettivo su cui si fonda il motivo stesso (art. 366, comma 1, n. 6)), con la specifica indicazione del luogo (punto) dell’atto, del documento, del contratto o dell’accordo collettivo al quale ci si riferisce; 3) nel testo di ciascun motivo che lo richieda siano indicati il tempo (atto di citazione o ricorso originario, costituzione in giudizio, memorie difensive, ecc.) del deposito dell’atto, del documento, del contratto o dell’accordo collettivo al quale si riferisce; 3) nel testo di ciascun motivo che lo richieda siano indicati il tempo (atto di citazione o ricorso originario, costituzione in giudizio, memorie difensive ecc.) del deposito dell’atto, del documento del contratto, dell’accordo collettivo e la fase (primo grado, secondo grado, ecc.) in cui esso è avvenuto; 4) siano allegati al ricorso (in apposito fascicoletto, che va pertanto ad aggiungersi all’allegazione del fascicolo di parte relativo ai precedenti gradi del giudizio) ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, gli atti, i documenti, il contratto o l’accordo collettivo ai quali si sia fatto riferimento nel ricorso e nel controricorso”.

Va da sé che il ricorrente, nell’intendere il principio di autosufficienza in guisa di “puntuali rinvii agli atti allegati”, non si è affatto conformato alla previsione del protocollo, la quale in effetti rappresenta un affidabile punto di incontro tra la giurisprudenza della Corte di cassazione ed il punto di vista del mondo dell’avvocatura: il protocollo non dice che il ricorrente per cassazione possa invocare per relationem il contenuto di atti e documenti che non abbia riassunto o trascritto, fornendo “un sintetico ma completo resoconto del loro contenuto” (Cass. 29 gennaio 2019, n. 2331, a mero titolo di esempio), né avrebbe potuto farlo, dal momento che una simile modalità di confezionamento del ricorso si pone in contrasto con il ricordato principio di autonomia del ricorso per cassazione, di cui è espressione quello di autosufficienza.

Ciò detto, basterà osservare, dal versante contenutistico, che il ricorso non indica il preciso contenuto delle riserve oggetto della domanda. Ora, è cosa nota che sono soggette all’onere di riserva non solo tutte le possibili richieste inerenti a partite di lavori eseguite, nonché alle contestazioni tecniche e/o giuridiche circa la loro quantità e qualità, ma anche e soprattutto quelle relative ai pregiudizi sofferti dall’appaltatore ed ai costi aggiuntivi dovuti affrontare, sia a causa dello svolgimento (anomalo) dell’appalto, sia a causa delle carenze progettuali per le conseguenti maggiori difficoltà che le stesse hanno ingenerato sia, infine, per i comportamenti inadempienti della stazione appaltante. Ciò in quanto l’onere della riserva assolve alla funzione di consentire la tempestiva e costante evidenza di tutti i fattori che siano oggetto di contrastanti valutazioni tra le parti e perciò suscettibili di aggravare il compenso complessivo, ivi comprese le pretese di natura risarcitoria (da ult. Cass. 16 giugno 2020, n. 11641). E cioè le pretese dell’appaltatore, nei termini indicati, acquistano rilievo per il tramite della formulazione delle relative riserve: sicché, in mancanza di una puntuale descrizione del contenuto di esse il collegio non è in grado di comprendere, se non in via del tutto approssimativa, quale sia l’oggetto del contendere. Ciò acquista particolare rilievo nel caso in esame, ove si consideri poi che la gran parte delle 74 riserve sono state ritenute generiche, sia in sede di consulenza tecnica d’ufficio, sia nelle decisioni tanto di primo, quanto, anche, di secondo grado:

e dunque non riesce ad intendersi né perché le riserve siano state ritenute tali, né perché il ricorrente ritiene che generiche non fossero.

Oltre a ciò, il ricorso si fonda, nel nostro caso, oltre che su ulteriore documentazione di minor rilievo richiamata nel contesto dei singoli motivi, su:

-) contratto di appalto, non localizzato;

-) registro di contabilità, non localizzato;

-) primo s.a.l., non localizzato;

-) certificato di collaudo, non localizzato;

-) relazione di controdeduzioni della direzione lavori non localizzata rispetto agli atti di causa;

Insomma, alla lettura del ricorso non si sa quale sia il contenuto delle riserve e non si sa dove siano i documenti che hanno a che fare col cuore della controversia, giacché contengono le dette riserve in forza delle quali la domanda è stata proposta, ed altro ad esse pertinenti. Difetta dunque il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, sicché il ricorso è sol per questo inammissibile.

6. – In ogni caso i motivi, sovente ripetitivi, sono tutti quanti, per le ragioni qui di seguito sinteticamente elencate, inammissibili:

-) la tesi dell’inammissibilità delle eccezioni, non proposta nella fase amministrativa, di inammissibilità delle riserve perché in tempestive o generiche, non risulta esaminata nella sentenza impugnata ed è perciò inammissibile in quanto nuova, neppure avendo la ricorrente esplicitato dove e come la tesi sarebbe stata introdotta (v. Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675);

-) l’assunto concernente il “carattere continuativo” di fatti tali da comportare il procrastinarsi della scadenza del termine per la formulazione delle riserve non risulta essere appartenuto al giudizio di appello, sicché trova applicazione lo stesso principio poc’anzi richiamata;

-) la censura concernente la mancata ammissione di prova testimoniale è inammissibile poiché non è censurabile in sede di legittimità il giudizio (anche implicito) espresso dal giudice di merito in ordine alla superfluità della prova testimoniale dedotta da una parte, specie quando lo stesso giudice abbia, con ragionamento logico e giuridicamente corretto, ritenuto di avere già raggiunto, in base all’istruzione probatoria già esperita, la certezza degli elementi necessari per la decisione (Cass. 8 ottobre 1998, n. 9942, tra le tante), tenuto conto che la Corte territoriale ha ritenuto che i ritardi poi verificatisi fossero già pronosticabili in base alla previsione contrattuale;

-) la doglianza concernente la consulenza tecnica che la Corte d’appello non avrebbe disposto, è inammissibile trattandosi di potere discrezionale del giudice di merito insindacabile in sede di legittimità (ex multis Cass. 9 ottobre 2019, n. 25253; Cass. 29 settembre 1982, n. 5019);

-) la doglianza di violazione dell’art. 112 c.p.c. è evidentemente inammissibile, dal momento che la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato non può configurarsi a fronte di una decisione di rigetto della domanda (Cass. 4 ottobre 2011, n. 20311; Cass. 20 settembre 2013, n. 21612; Cass. 11 settembre 2015, n. 17956);

-) la doglianza di violazione dell’art. 132 c.p.c. è anch’essa evidentemente inammissibile giacché non si confronta con il concreto contenuto della decisione impugnata, avuto riguardo al consolidato principio secondo cui è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053);

-) la censura concernente l’asserito contrasto tra motivazione e dispositivo nonché il calcolo degli interessi non tiene conto del fatto che la Corte d’appello, alla pagina 14 della sentenza impugnata, ha calcolato il rapporto di dare ed avere tra le parti;

-) le altre censure, eccezion fatta per le ultime due di cui subito si dirà, sono complessivamente inammissibili giacché ampiamente versate in merito, e cioè volte a ribaltare accertamenti fattuali compiuti dal giudice di merito in ordine alla genericità, intempestività ed infondatezza delle riserve formulate.

6.1. – E’ inammissibile il quindicesimo mezzo, ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1.

All’esito della sentenza d’appello la domanda originaria dell’impresa, avente ad oggetto la somma asseritamente dovuta in forza delle riserve (oltre un milione e centomila Euro), è stata integralmente respinta: ovvio che la liquidazione delle spese di lite dovesse essere fatta non sulla base del criterio del decisum, come erroneamente sostenuto nel motivo dalla ricorrente, ma su quello del disputatum (basterà richiamare l’autorità di Cass., Sez. Un., 11 settembre 2007 n. 19014).

6.2. – E’ inammissibile il sedicesimo mezzo.

Secondo la ricorrente la statuizione sulle spese di consulenza tecnica d’ufficio, integralmente addossate all’Impresa, sarebbe “completamente priva di motivazione”.

Ma il motivo omette di considerare che la sentenza, a pagina 34, afferma espressamente che le spese seguono la soccombenza: e non dovrebbe aver bisogno di essere rammentato che il principio della soccombenza, come questa Corte ha chiarito da epoca remota, si applica anche alle spese di consulenza tecnica d’ufficio (p. es. Cass. 22 febbraio 1963, n. 425).

7. – Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso, e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 15.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 30 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2022

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