Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6768 del 01/03/2022

Cassazione civile sez. I, 01/03/2022, (ud. 17/11/2021, dep. 01/03/2022), n.6768

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36374/2019 proposto da:

Person di B.R. & C. S.a.s., in persona del liquidatore

pro tempore, B.R., elettivamente domiciliata in Roma, via

Collazia n. 2-f, presso lo studio dell’avv. Federico Canalini, che

la rappresenta e difende unitamente all’avv. Cristina Pinetti,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.r.l., in persona del curatore Dott.

C.D., elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avv. Rizzardo Del Giudice, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2831/2019 della CORTE DI APPELLO DI VENEZIA,

pubblicata il 10/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/11/2021 dal consigliere Dott. Paola Vella.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte d’appello di Venezia, accogliendo l’appello proposto dal Fallimento (OMISSIS) s.r.l., ha riformato la sentenza del Tribunale di Treviso che ne aveva rigettato la domanda ex art. 2901 c.c. ed ha quindi dichiarato inefficaci l’atto del 30.8.2013 con il quale Person di B.R. & C. s.a.s. aveva ceduto alla società poi fallita, costituita il 20.5.2013, il proprio ramo d’azienda (un negozio di abbigliamento per bambini) nonché il pagamento della somma di Euro 144.218,66 versata lo stesso giorno dalla cessionaria alla cedente in corrispettivo della cessione.

1.1. I giudici di secondo grado hanno evidenziato: i) che l’operazione posta in essere aveva mutato significativamente la consistenza patrimoniale di (OMISSIS) s.r.l., la quale si era privata di liquidità ed aveva acquistato un ramo di azienda “il cui fatturato era comunque in calo rispetto agli esercizi precedenti, e presentava delle spese” (come da risultanze della perizia effettuata); ii) che il sig. B. – socio accomandatario della cedente ed amministratore unico della cessionaria – aveva appositamente orchestrato la cessione per far confluire nella s.r.l., costituita appena tre mesi prima, un’attività che aveva maturato consistenti costi di gestione (nei confronti quanto meno dei dipendenti) e che nel 2012 aveva registrato una drastica riduzione degli utili netti, al tempo stesso liberando la s.a.s. dei relativi oneri e fornendole liquidità; ii) che la qualità di legale rappresentante di entrambe le parti consentiva indubbiamente a B. di conoscere la situazione economica e finanziaria delle due società e del ramo di azienda in questione; iv) che in questi termini era configurabile una dolosa preordinazione dell’atto, al fine di recare pregiudizio ai creditori della cessionaria.

2.La sentenza, pubblicata il 10.7.2019 è stata impugnata da Person di B.R. & C. s.a.s. con ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, successivamente corredato da memoria, cui il Fallimento (OMISSIS) s.r.l. ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

3. Il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 2901 e 2697 c.c., nonché della L.Fall., art. 66, per avere la corte territoriale invertito l’onere della prova e ritenuto erroneamente che il fatturato dell’azienda ceduta fosse in calo, senza considerare che il Fallimento attore non aveva assolto l’onere di provare che lo stato di insolvenza fosse stato determinato dall’atto di cessione revocato, e che, in mancanza di prova dell’esistenza di debiti della (OMISSIS) s.r.l. anteriori alla cessione, non aveva senso parlare di “dolosa preordinazione”; i giudici di secondo grado avrebbero erroneamente applicato alla fattispecie dell’azione revocatoria ordinaria i principi propri dell’azione revocatoria fallimentare, nella quale l’eventus damni è presunto, sia pure iuris tantum.

4. Il motivo è inammissibile poiché, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, mira in realtà ad una diversa valutazione dei fatti storici e delle risultanze istruttorie, che però compete ai giudici di merito e non è sindacabile in questa sede (Cass. Sez. U, 34476/2019).

4.1. A ben vedere è lo stesso ricorrente a concludere, a pag. 12 del ricorso, che la sentenza impugnata sarebbe “basata su considerazioni e motivazioni illogiche, certamente contrarie alle risultanze istruttorie”, così palesando la vera natura delle contestazioni impropriamente sollevate nel giudizio di legittimità (cfr. Cass. 5810/2019, in fattispecie analoga); d’altro canto, la motivazione della sentenza impugnata non presenta profili di apparenza o irriducibile contraddittorietà o inconciliabilità o incomprensibilità inscrivibili nel perimetro del “minimo costituzionale” entro cui è ancora esercitabile il sindacato motivazionale del giudice di legittimità (Cass. Sez. U, 8053/2014), non più estendibile al vizio di “insufficienza” della motivazione (ex plurimis, Cass. 20721/2018).

4.2. In sostanza la corte d’appello, dopo aver espressamente dato atto che, secondo il tribunale, il curatore fallimentare non aveva fornito la prova “né della preesistenza dei crediti ammessi al passivo alla stipulazione della cessione del ramo d’azienda di cui ha invocato la declaratoria d’inefficacia (e nemmeno ha dato, in alternativa, idonea prova della preordinazione dell’atto a pregiudicare i crediti successivamente sorti) (…) né l’ammontare dei medesimi, né l’effettivo decremento della consistenza patrimoniale della società a seguito del predetto negozio giuridico”, è pervenuta a conclusioni opposte sulla base di un’autonoma disamina delle risultanze istruttorie (ivi compreso lo stato passivo delle domande tempestive e tardive, della cui produzione si dà atto a pag. 4 del ricorso).

5. Al riguardo è appena il caso di sottolineare che, in tema di azione revocatoria ordinaria: i) l’esistenza della cd. dolosa preordinazione – che nel caso di specie i giudici d’appello hanno riscontrato sulla base di un accertamento in fatto non sindacabile in questa sede, in assenza di appropriate censure motivazionali ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – esclude, in quanto ad essa alternativa, la necessità di provare la preesistenza di crediti rispetto all’atto dispositivo (Cass. 9092/1998, 11924/2009, 5810/2019); ii) lo stato di insolvenza (cui si fa riferimento a pag. 12 del ricorso) non rileva sotto il profilo oggettivo del cd. eventus damni – il cui onere della prova grava sul curatore fallimentare – essendo sufficiente che l’atto dispositivo abbia causato maggiore difficoltà o incertezza nel recupero coattivo, secondo una valutazione operata ex ante, avendo riguardo anche alla modificazione qualitativa della composizione del patrimonio (Cass. 16986/2007, 26331/2008, 1896/2012, 4728/2018); iii) lo stato di insolvenza non rileva nemmeno ai fini dell’elemento soggettivo, poiché, a differenza dell’azione revocatoria fallimentare ex art. 67 L. Fall., il curatore non è gravato della prova della cd. scientia decoctionis, essendo sufficiente che sia dimostrata la conoscenza, da parte del terzo, del semplice pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie, a causa della menomazione della garanzia generica di cui all’art. 2740 c.c. (Cass. 9170/2015).

6. All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo. Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater (cfr. Cass. Sez. U, 23535/2019; 4315/2020).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 200,00 ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 17 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2022

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