Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6767 del 10/03/2021

Cassazione civile sez. III, 10/03/2021, (ud. 23/10/2020, dep. 10/03/2021), n.6767

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31710-2019 proposto da:

M.S.A., elettivamente domiciliato in Vicenza, via Napoli

n. 4, presso lo studio dell’avv. MASSIMO RIZZATO che lo rappresenta

e difende per procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS);

– resistente –

avverso la sentenza n. 4327/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 10/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/10/2020 dal Consigliere Dott. RUBINO LINA.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

M.S.A., cittadino del Bangladesh, ha proposto ricorso per cassazione, depositato il 31 ottobre 2019, notificato il 25 ottobre 2020, avverso la sentenza n. 4327/2019 emessa dalla Corte d’appello di Venezia e depositata in data 10 ottobre 2019.

Il Ministero dell’interno ha depositato tardivamente una comunicazione con la quale dichiara di essere disponibile a partecipare alla discussione orale.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.

Il ricorrente ha richiesto il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero, in subordine, la protezione sussidiaria o umanitaria. La domanda è stata rigettata sia in primo che in secondo grado.

Secondo la ricostruzione dei fatti compiuta dal ricorrente, le ragioni del suo allontanamento dal paese di origine si devono rinvenire nel fatto che egli si trovi al centro di una controversia con il sindaco della sua città (che voleva impadronirsi di terreni della famiglia del ricorrente), sfociata in violenze sferrate nei confronti suoi e della sua famiglia (al cui esito -in un incendio doloso- perdeva la vita sua sorella). La denuncia alla Polizia non faceva che incattivire le autorità, costringendo il ricorrente e sua madre a lasciare il Paese.

Il tribunale respingeva la richiesta per la mancanza di prove dei presupposti delle misure di protezione.

La Corte d’appello, confermando il diniego, riteneva che i fatti narrati non fossero coerenti e credibili, in quanto non sarebbe stata dimostrata l’attualità della situazione che porrebbe in pericolo il ricorrente in caso di rimpatrio (i fatti risalgono al 2012); quand’anche la vicenda narrata fosse stata credibile, la corte escludeva che la stessa potesse porsi alla base della richiesta protezione internazionale, poichè si trattava di un conflitto privato, le cui ragioni erano verosimilmente venute a cessare dato il tempo trascorso. Quanto alla protezione sussidiaria, riteneva che la regione di Komilla in Bangladesh, di provenienza del ricorrente, stando alle COI aggiornate, citate nel corpo della decisione, non fosse caratterizzata da un pericolo diffuso per la popolazione.

Il ricorrente, con un unico motivo, lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), sulla protezione sussidiaria. Secondo il ricorrente, in Bangladesh la situazione di grave povertà, aggravata dalle problematiche climatiche, nonchè le tensioni politiche e sociali elevate che possono in ogni momento sfociare in violenti scontri e che hanno comportato già numerosi attacchi e “sparizioni forzate” (citate analisi DFAE, Rapporto Amnesty) determina la configurabilità dei presupposti di legge.

Il motivo, per come è strutturato, è inammissibile, perchè non contesta che la valutazione si fondi sui parametri richiesti dalla legge, ovvero sull’acquisizione, anche d’ufficio, di informazioni sulla sicurezza del paese di origine acquisite tramite fonti attendibili e informate, ma contrappone alla valutazione in fatto, effettuata dal giudice di merito, una propria diversa valutazione, sollecitando questa corte ad una inammissibile rinnovazione del giudizio in fatto.

Nulla sulle spese, non avendo l’intimato svolto attività difensiva in questa sede.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e il ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravato dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso rincipale, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Corte di cassazione, il 23 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2021

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