Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6767 del 07/04/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 6767 Anno 2016
Presidente: MAMMONE GIOVANNI
Relatore: TRIA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso 15906-2013 proposto da:
MILIDONI

C.E.

FIORENZA

MLDFNZ68A52H941W,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MESOPOTAMIA
21, presso lo studio dell’avvocato SERGIO LIOCE,
rappresentata

e difesa

dall’avvocato GIUSEPPE

SALVATORE ARCURI, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2016
163

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE C.F.
80078750587, in persona del Direttore e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato

Data pubblicazione: 07/04/2016

in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura
Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli
avvocati GIUSEPPE MATANO, LELIO MARITATO, EMANUELE DE
ROSE, ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, giusta delega
in atti;
controricorrente

avverso la sentenza n. 804/2012 della CORTE D’APPELLO
di CATANZARO, depositata il 11/06/2012 R.G.N.
1403/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/01/2016 dal Consigliere Dott. LUCIA
TRIA;
udito l’Avvocato LELIO MARITATO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

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Udienza del 14 gennaio 2016 – Aula A
n. 22 del ruolo – RG n. 15906/13
Presidente: Marnmone – Relatore: Tria

1.- La sentenza attualmente impugnata (depositata il 6 giugno 2012) respinge l’appello
proposto da Fiorenza Milidoni avverso la sentenza del Tribunale di Vibo Valentia n. 60/2010, di
rigetto della domanda della Milidoni volta ad ottenere dall’INPS la reiscrizione nelle liste
nominative dei braccianti agricoli per gli anni 1989-1990-1991-1992-1993, previa
disapplicazione del provvedimento di cancellazione.
La Corte d’appello di Catanzaro, per quel che qui interessa, precisa che:
a) l’opposizione alla cancellazione dall’elenco dei braccianti agricoli non introduce un
giudizio impugnatorio di un provvedimento amministrativo ma sottopone al giudice la verifica
della sussistenza delle tassative e specifiche condizioni per l’iscrizione stessa (svolgimento di
attività agricola in regime di subordinazione e numero minimo di giornate prescritto);
b) ne consegue che è onere del lavoratore che agisca in giudizio per ottenere la
suindicata iscrizione o la reiscrizione provare il lavoro subordinato e l’avvenuta effettuazione di
51 giornate di lavoro agricolo, senza che assuma alcuna rilevanza, sul piano della ripartizione
dell’onere probatorio, la circostanza che la domanda di accertamento del diritto all’iscrizione sia
stata presentata a seguito di provvedimento di diniego ovvero a seguito di provvedimento di
cancellazione dell’iscrizione;
nulla provando la
c) nella specie, l’appellante non ha assolto il suddetto onere,
documentazione prodotta e stante la inammissibilità della prova testimoniale, generica e priva
della indicazione dei testi.
2.- Il ricorso di Fiorenza Milidoni domanda la cassazione della sentenza per tre motivi;
resiste, con controricorso, l’INPS.
MOTIVI DELLA DECISIONE

I – Profili preliminari
1.- Osserva preliminarmente il Collegio che il ricorso sle auo – diversamente da quanto
sostiene l’Istituto controricorrente – non è soggetto, ratione temooris, alle prescrizioni dell’art.
366-bis cod. proc. civ., trattandosi di impugnazione avverso sentenza pubblicata il 6 giugno
2012 e quindi dopo il 4 luglio 2009 (L. n. 69 del 2009, art. 47, comma 1, lett. d e art. 58,
comma 5; ex multis, Cass. 7119/2010; Cass. 2032312010; Cass. 17 ottobre 2011, n. 21431)
2.- Deve essere anche respinta l’eccezione dell’INPS di inammissibilità del ricorso, ex art.
360-bis cod. proc. civ., n. 1, derivante dalla conformità della sentenza impugnata alla
ordinanza di questa Corte 8 maggio 2013, n. 10870 e dalla circostanza che l’esame dei motivi
non offre elementi per modificare l’orientamento ivi espresso.
Questa Corte ha, infatti, chiarito che quelli previsti dall’art. 360-bis citato non vanno
intesi come motivi di ricorso volti ad ampliare il catalogo dei vizi denunciabili, quale risulta
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

dall’art. 360 cod. proc. civ., primo comma, in quanto nella norma il legislatore ha unicamente
segnato le condizioni per la rilevanza delle ipotesi ivi previste come strumenti per l’utilizzazione
di uno specifico strumento con funzione di “filtro” (arg. ex Cass. 29 ottobre 2012, n. 18551).

Il – Sintesi dei motivi di ricorso
3.- Il ricorso è articolato in tre motivi.
2.1.- Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.,
violazione dell’art. 2697 cod. civ., degli artt. artt. 115 e 116 cod. proc. civ., del D.Lgs. n. 375
del 1993, art. 9, nonché della L n. 241 del 1990, art, 7, in quanto la Corte di appello avrebbe
errato nel porre l’onere della prova a carico della lavoratrice a fronte di un provvedimento di
cancellazione adottato in carenza di accertamenti ispettivi.
2.2.- Con il secondo motivo viene denunciata, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc.
civ., violazione o falsa applicazione della L. 20 marzo 1865, n. 2248, Allegato E, art. 5, nonché
del D.Lgs. 9 aprile 1946, n. 212, artt. 3 e 4, per non aver II Giudice del gravame preso in
considerazione la natura costitutiva dell’iscrizione negli elenchi nominativi dei braccianti agricoli
e lo status, legalmente accertato, di bracciante agricolo nonché la palese illegittimità del
provvedimento di cancellazione in oggetto.
2.3.- Con il terzo mezzo si deducono: a) in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.,
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.;
b) in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione su un punto decisivo della controversia e, in particolare, per omesso esame della
documentazione prodotta, per avere la Corte d’appello affermato l’inutilità dei documenti
prodotti dalla lavoratrice fra retro considerando prodotto l’estratto del libretto di lavoro – mai
depositato – e, d’altra parte, senza valutare correttamente il c.d. modello C2, ritualmente
depositato e costituente l’unico documento idoneo ad attestare la vita lavorativa dei braccianti
agricoli, come la ricorrente.
III – Esame delle censure
3.- Il ricorso non è da accogliere per le ragioni di seguito esposte e in conformità cori un
indirizzo già espresso da questa Corte in ordine a molteplici controversie analoghe alla
presente (vedi, per tutte, tra le più recenti: Cass. 23 aprile 2015, n. 8281; C.ass. 16 febbraio
2015, n. 3099; Cass. 19 dicembre 2014, n. 27145, n. 27144; Cass. 5 dicembre 2014, n,
25833; Cass. 8 maggio 2013, n. 10870).
3.1.- Il primo motivo è infondato alla luce della giurisprudenza di questa Corte, cui va
data continuità, secondo cui “l’iscrizione di un lavoratore nell’elenco dei lavoratori agricoli
svolge una funzione di agevolazione probatoria che viene meno qualora l’INPS, a seguito di un
controllo, disconosca l’esistenza del rapporto di lavoro, esercitando una propria facoltà (che
trova conferma nel D.Lgs. n. 375 del 1993, art. 9), con la conseguenza che, in tal caso, il
lavoratore ha l’onere di provare l’esistenza, la durata e la natura onerosa del rapporto dedotto
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Tale utilizzazione, peraltro, di regola, può dare luogo al rigetto del ricorso per manifesta
infondatezza e non alla dichiarazione di inammissibilità dello stesso, perché anche In mancanza
di argomenti idonei a superare la ragione di diritto cui si è attenuto il giudice del merito, il
ricorso potrebbe trovare accoglimento ove, al momento della decisione della Corte, con
riguardo alla quale deve essere verificata la corrispondenza tra la decisione impugnata e la
giurisprudenza di legittimità, la prima risultasse non più conforme alla seconda nel frattempo
mutata (vedi, per tutte: Cass. SU 6 settembre 2010, n. 19051 e Cass. 3 aprile 2015, n. 6878).

Va, anche precisato che erroneamente la lavoratrice invoca il precedente costituito da
Cass. SU 26 ottobre 2000, n. 1133 che, al contrario di quanto si suppone in ricorso, è invece
ben chiaro nell’addossare al lavoratore l’onere probatorio in sublecta materia, consistente nella
dimostrazione dello svolgimento di una attività di lavoro subordinato a titolo oneroso per un
numero minimo di giornate in ciascun anno di riferimento. Quanto all’esempio richiamato
dell’onere probatorio in tema di ripetizione d’indebito previdenziale, basti ricordare la sentenza
4 agosto 2010, n. 18046 delle SU di questa Corte, che lo ha attribuito al pensionato-attore, il
quale miri ad ottenere in giudizio l’accertamento negativo del proprio obbligo di restituire
quanto l’Ente previdenziale abbia ritenuto da lui indebitamente percepito.
In altre parole, la Corte ha posto a carico del privato l’onere di dimostrare i fatti
costitutivi del diritto a conseguire la prestazione contestata, ovvero l’esistenza di un titolo che
consenta di qualificare come adempimento quanto corrispostogli.
3.2. – Del pari destituito di fondamento è il secondo motivo perché – diversamente da
quanto si sostiene nel presente ricorso – il principio per cui l’iscrizione d’un bracciante
nell’elenco dei lavoratori agricoli svolge una funzione di mera agevolazione probatoria, che
viene meno qualora l’INPS disconosca l’esistenza del rapporto di lavoro, non dipende
dall’essere avvenuta la cancellazione, a seguito di apposito controllo da parte dell’Istituto
previdenziale o per altra ragione.
Infatti è fermo indirizzo di questa Corte che il giudizio intentato dal lavoratore per
ottenere la relscrizione nel suindicato elenco o una determinata prestazione non ha natura
impugnatoria del provvedimento di cancellazione né presenta carattere pregiudiziale, tanto che
nella controversia avente ad oggetto l’attribuzione di una qualche prestazione previdenziale lo
status di bracciante agricolo può essere accertato incidenter tantum, sempre con onere della
prova a carico del lavoratore e senza obbligo di sospensione ex art. 295 cod. proc. civ., in
pendenza di distinta controversia per la reiscrizione nell’elenco (vedi: Cass. 23 aprile 2015, n.
8281; Cass. 16 febbraio 2015, n. 3099; Cass. 19 dicembre 2014, n. 27145 e n. 27144; Cass.
5 dicembre 2014, n, 25833; Cass. 8 maggio 2013, n. 10870; Cass. 23 dicembre 2011, n.
2871; Cass. 12 giugno 2000, n. 7995).
3.3,- Il terzo motivo è inammissibile.
Deve essere, in primo luogo, rilevato che nonostante il formale richiamo alla violazione di
norme di legge, contenuto nella prima parte del motivo, la censura prospettata si risolve nella
denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale
probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti, inammissibile, in questa sede, anche
nella vigenza dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., nel testo anteriore all’ultima novella e qui
applicabile ratione temporis (come correttamente precisato dalla ricorrente).
Infatti, è ius receptum che nel regime precedente la modifica introdotta dall’art. 54 del
d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, il controllo di legittimità
sulla motivazione delle sentenze riguarda unicamente (attraverso il filtro delle censure mosse
con il ricorso) il profilo della coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte, in base
all’individuazione, che compete esclusivamente al giudice del merito, delle fonti del proprio
convincimento, raggiunto attraverso la valutazione delle prove, il controllo della loro
attendibilità e concludenza, scegliendo tra di esse quelle ritenute idonee a sostenerlo all’interno
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a fondamento del diritto all’iscrizione e di ogni altro diritto consequenziale di carattere
previdenziale fatto valere in giudizio” (Cass. 19 maggio 2003, n. 7845; Cass. 11 gennaio 2011,
n. 493; Cass. 28 giugno 2011, n. 14296; Cass. 8 maggio 2013, n. 10870 cit.).

Nel caso in esame la Corte di appello ha valutato, con una motivazione del tutto immune
dai lamentati vizi, le risultanze dell’istruttoria e la circostanza sottolineata nel motivo —
secondo cui in motivazione si faceva riferimento all’estratto del libretto di lavoro, documento
mai depositato — è priva di rilievo in quanto, evidentemente, il giudice del gravame ha inteso
far riferimento al modello C2 in cui veniva attestata — secondo quanto affermato nel motivo —
la vita lavorativa della ricorrente.
Ne deriva che le censure formulate nel terzo motivo finiscono con l’esprimere un mero,
quanto inammissibile, dissenso rispetto alle motivate valutazioni di merito delle risultanze
probatorie di causa effettuate dalla Corte d’appello (vedi, fra le tante: Cass. S.U. 27 dicembre
1997, n. 13045 e, più di recente: Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 18 marzo 2013, n.
6710; Cass. 10 gennaio 2014, n. 377).
IV — Conclusioni
4.- In sintesi, il ricorso deve essere respinto.
La natura previdenziale del diritto azionato in giudizio impone l’esonero della parte
soccombente dal pagamento delle spese processuali, ai sensi dell’art. 152 disp. att. cod. proc.
civ., nei testo vigente prima delle modifiche apportate dal D.I. n. 269 del 2003 (conv. in L. n.
326 del 2003) nella specie inapplicabili perché il deposito del ricorso di primo grado è anteriore
al 3 ottobre 2003 (precisamente risulta essere stato effettuato il 7 febbraio 2003).
Si dà comunque atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater,
del cl.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di cessazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1,
comma 17, della legge n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso
art. 13.
Così d iso in Ro

ella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 14 gennaio 2016.

di un quadro valutativo complessivo privo di errori, di contraddizioni e di evidenti fratture sul
piano logico, nell’intero tessuto ricostruttivo della vicenda processuale (vedi, ex multis: Cass.
SU 11 giugno 1998, n. 5802; Cass. 9 agosto 2004, n. 15355; Cass. 19 gennaio 2006, n. 1014;
Cass. 20 febbraio 2007, n. 2272; Cass. 14 novembre 2013, n. 25608; Cass. 24 ottobre 2013,
n. 24092).

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