Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6766 del 15/03/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 15/03/2017, (ud. 06/12/2016, dep.15/03/2017),  n. 6766

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 30616-2011 proposto da:

G.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO AIELLO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PO 25-B, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3982/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 04/06/2011 R.G.N. 9931/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/12/2016 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito l’Avvocato CRUPI PASQUALE per delega Avvocato AIELLO FILIPPO;

udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega orale Avvocato PESSI

ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 3982/2011, depositata il 4 giugno 2011, la Corte di appello di Roma respingeva il gravame di G.M., osservando – con riferimento ai contratti a tempo determinato dallo stessa stipulati con Poste Italiane S.p.A. per i periodi dall’1/4 al 30/6/2006, dal 2/11/2006 al 31/1/2007 e dall’8/5 al 30/6/2007 – come la disciplina di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, richiamata a fondamento di tutti i contratti, dovesse ritenersi alternativa (anzichè aggiuntiva) rispetto alla disciplina stabilita in via generale dall’art. 1, con conseguente infondatezza della censura di violazione delle prescrizioni poste da tale ultima norma, esclusa l’esistenza di ragioni di contrasto tra l’interpretazione così adottata e l’ordinamento comunitario. La Corte rilevava poi che nessuna censura era stata mossa in ordine al rispetto del limite quantitativo del 15%, nè era stata contestata la sussistenza delle ulteriori condizioni previste dalla legge (comunicazione alle OO.SS., durata e collocazione temporale dei contratti).

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la lavoratrice con sei motivi; la società ha resistito con controricorso, assistito da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

La ricorrente censura la sentenza di secondo grado: 1) con il primo e con il secondo motivo, deducendo violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 e art. 2, comma 1 bis, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la Corte, escludendo la necessità dell’indicazione di una causale specifica e oggettiva, anche nella ipotesi di successione di contratti, fornito di tali norme un’interpretazione in contrasto con i principi dell’ordinamento comunitario; 2) con il terzo motivo, deducendo violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, e dell’art. 82, comma 1, e art. 86, commi 1 e 2, Trattato CE (art. 360, n. 3), nonchè vizio di motivazione (art. 360, n. 5), per avere la Corte erroneamente escluso la illegittimità della disposizione di cui all’art. 2, comma 1 bis, cit. pur realizzando la S.p.A. Poste Italiane un abusivo sfruttamento dì posizione dominante, in quanto unica impresa concessionaria di servizi postali cui è diretta la previsione di un’autonoma e speciale causale per il ricorso al contratto a tempo determinato; 3) con il quarto, deducendo violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, della L. 9 marzo 1989, n. 86 e della L. 4 febbraio 2005, n. 1 (art. 360, n. 3), nonchè vizio di motivazione (art. 360, n. 5), per avere la Corte erroneamente ritenuto non conferenti le contestazioni in ordine alla violazione delle norme regolanti la partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione Europea e le procedure di esecuzione degli obblighi comunitari; 4) con il quinto, deducendo la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 e art. 2, comma 1 bis, (art. 360, n. 3), nonchè vizio di motivazione (art. 360, n. 5), per avere la Corte erroneamente escluso l’applicabilità della norma, di cui all’art. 2, comma 1 bis, cit., al solo settore postale in senso stretto, per tale dovendosi unicamente intendere le attività di recapito e quelle di smistamento e logistica e non anche quelle di sportelleria, cui la ricorrente era stata addetta in tutti i rapporti a termine dedotti in giudizio, e comunque per non avere offerto sul punto una motivazione logica e congruente; 5) con il sesto motivo, infine, deducendo violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 2 e 10 e degli artt. 2697, 2707 e 2709 c.c. (art. 360, n. 3), nonchè vizio di motivazione (art. 360, n. 5), la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che nessuna censura era stata mossa in ordine al rispetto del limite del 15%, quando invece tale questione era stata posta sia nel ricorso introduttivo, sia nell’atto di appello.

I motivi primo, secondo, terzo e quarto risultano infondati.

Con gli stessi, infatti, la ricorrente propone questioni già oggetto della recente pronuncia di questa Corte a Sezioni Unite n. 11374/2016, la quale ha chiarito che “le assunzioni a tempo determinato, effettuate da imprese concessionarie di servizi nel settore delle poste, che presentino i requisiti specificati dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, non necessitano anche dell’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo ai sensi dell’art. 1, comma 1 medesimo D.Lgs., trattandosi di ambito nel quale la valutazione sulla sussistenza della giustificazione è stata operata ex ante direttamente dal legislatore”; e altresì chiarito che “in tema di rapporti di lavoro nel settore delle poste, la stipula in successione tra loro di contratti a tempo determinato nel rispetto della disciplina di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, e successive integrazioni, applicabile ratione temporis, è legittima, dovendosi ritenere la normativa nazionale interna non in contrasto con la clausola n. 5 dell’Accordo Quadro, recepito nella Direttiva n. 1999/70/CE, atteso che l’ordinamento italiano e, in ispecie, il D.Lgs. n. 368 cit., art. 5 come integrato dalla L. n. 247 del 2007, art. 1, commi 40 e 43, impone di considerare tutti i contratti a termine stipulati tra le parti, a prescindere dai periodi di interruzione tra essi intercorrenti, inglobandoli nel calcolo della durata massima (36 mesi), la cui violazione comporta la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto”.

Risulta infondato anche il quinto motivo di ricorso.

Al riguardo, si richiama Cass. n. 13609/2015, per la quale “in tema di contratto di lavoro a tempo determinato, il D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 2, comma 1 bis, fa riferimento esclusivamente alla tipologia di imprese presso cui avviene l’assunzione – quelle concessionarie di servizi e settori delle poste – e non anche alle mansioni del lavoratore assunto, in coerenza con la ratio della disposizione, ritenuta legittima dalla Corte costituzionale con sentenza n. 214 del 2009, individuata nella possibilità di assicurare al meglio lo svolgimento del cd. “servizio universale” postale, ai sensi del D.Lgs. 22 luglio 1999, n. 261, art. 1, comma 1, di attuazione della direttiva 1997/67/CE, mediante il riconoscimento di una certa flessibilità nel ricorso allo strumento del contratto a tempo determinato, pur sempre nel rispetto delle condizioni inderogabilmente fissate dal legislatore. Ne consegue che al fine di valutare la legittimità del termine apposto alla prestazione di lavoro, si deve tenere conto unicamente dei profili temporali, percentuali (sull’organico aziendale) e di comunicazione previsti dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis”.

Il sesto motivo è inammissibile.

La ricorrente, infatti, nel dedurre in grado di appello la questione del superamento dei limiti quantitativi (nei termini riportati in ricorso: cfr. pag. 21), non ha fatto oggetto di specifica censura, con conseguente formazione di giudicato interno, il decisum del primo giudice, sul punto relativo alla contestazione circa il mancato rispetto di tali limiti, e, in particolare, la regola di riparto probatorio dal medesimo adottata, secondo cui la ricorrente avrebbe dovuto allegare il numero dei contratti a termine stipulati dalla S.p.A. Poste Italiane, mentre sarebbe stato onere della società dimostrare che tale numero fosse inferiore al 15% dell’organico aziendale.

Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

la Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 100,00 per esborsi e in Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2017

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