Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6763 del 15/03/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 15/03/2017, (ud. 02/12/2016, dep.15/03/2017),  n. 6763

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14853-2014 proposto da:

OPERA SANT’ALESSANDRO, C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DI RIPETTA 22, presso lo studio dell’avvocato GERARDO VESCI, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati MATTEO GOLFERINI,

MARGHERITA CAGGESE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.D., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

AGRI 1, presso lo studio dell’avvocato PASQUALE NAPPI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUCA GIUSEPPE

PIZZIGONI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 534/2013 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 03/12/2013 R.G.N. 209/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/12/2016 dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO;

udito l’Avvocato LEONARDO VESCI per delega Avvocato GERARDO VESCI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’appello di Brescia, con sentenza dell’8 maggio 2014, confermò la decisione del giudice di primo grado che aveva accertato l’illegittimità del licenziamento intimato il 4 aprile 2012 da Opera Sant’Alessandro a B.D., insegnante alle dipendenze del predetto ente, e disposto la reintegrazione della predetta nel posto di lavoro. Era accaduto che la B. aveva chiesto il trattenimento in servizio ai sensi del D.L. n. 201 del 2011, art. 24 conv. in L. n. 214 del 2011. L’Opera Sant’Alessandro aveva dichiarato di non poter accogliere l’istanza e di considerare concluso il rapporto con decorrenza 31/7/2012, data in cui per la lavoratrice, già sessantacinquenne, maturava il diritto ad accedere al trattamento pensionistico. La comunicazione datoriale fu qualificata come licenziamento e si ritenne applicabile alla fattispecie il D.L. n. 201 del 2011, art. 24, comma 4 convertito nella L. n. 214 del 2011, circa il proseguimento dell’attività lavorativa fino a 70 anni, ancorchè la B. avesse conseguito i requisiti per accedere al trattamento pensionistico prima del 1/1/2012, data di entrata in vigore della legge, ed essendo pacifico che la pensione avrebbe avuto decorrenza dal 31/7/2012.

2. Ritenne la Corte d’appello che l’applicazione della richiamata disposizione non poteva ritenersi impedita dal citato art. 24, comma 3 poichè la circostanza che il lavoratore maturi entro il 31/12/2011 i requisiti di età e anzianità contributiva previsti dalla norma vigente ai fini dell’accesso alla pensione di vecchiaia e di anzianità, conseguendo entro tale data la prestazione pensionistica, comportava solo il conseguimento di un diritto che poteva essere esercitato, ma non la necessaria cessazione del rapporto di lavoro. Rilevò, inoltre, che se il legislatore aveva voluto escludere espressamente l’applicabilità del menzionato art. 24 per i dipendenti di pubbliche amministrazioni, tale applicabilità era, invece, voluta per i dipendenti privati. Escluse che con la lettera del 25/11/2010 la lavoratrice avesse manifestato la volontà di andare in pensione e di porre termine al rapporto di lavoro una volta conseguiti i requisiti pensionistici. Rilevò che la comunicazione datoriale dei 4/4/2012 integrava un vero e proprio licenziamento, costituendo la manifestazione della volontà del datore di recedere ad nutum dal rapporto. Escluse che al risarcimento del danno potesse sottrarsi alcunchè a titolo di aliunde perceptum.

3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione Opera Sant’Alessandro con un sette motivi. La B. ha resistito con controricorso. Il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il secondo motivo, primo nell’ordine logico, la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 24, commi 3 e 4 convertito con modificazioni in L. 22 dicembre 2011, n. 214) in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Rileva che il tenore letterale dell’art. 24, comma 4, ancorchè non abbia inteso porre un divieto alla prosecuzione del rapporto di lavoro da parte di soggetto che abbia già maturato i requisiti per l’accesso alla pensione, non giustificava l’esistenza di un diritto potestativo in favore del medesimo, con obbligo del datore di lavoro di acconsentire la prosecuzione dei rapporto fino a 70 anni di età. Osserva che l’effettiva operatività di tale scelta è subordinata all’esistenza di una concorde e durevole volontà di parte datoriale, che, se di diverso avviso, può giustificare il licenziamento.

2.2. La censura va accolta alla luce del principio enunciato da Cass. Sez. U, Sentenza n. 17589 del 04/09/2015, Rv. 636218, secondo cui “In materia di trattamenti pensionistici, la disposizione del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 24, comma 4, conv. dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, non attribuisce al lavoratore il diritto potestativo di proseguire nel rapporto di lavoro fino al raggiungimento del settantesimo anno di età, in quanto la norma non crea alcun automatismo, ma si limita a prefigurare condizioni previdenziali di incentivo alla prosecuzione dello stesso rapporto per un lasso di tempo che può estendersi fino ai settanta anni di età”. La richiamata decisione ha chiarito che la disposizione nel prevedere che “il proseguimento dell’attività lavorativa è incentivato…dall’operare dei coefficienti di trasformazione calcolati fino all’età di settant’anni…” non attribuisce al lavoratore un diritto di opzione per la prosecuzione del rapporto di lavoro, nè consente allo stesso di scegliere tra la quiescenza o la continuazione del rapporto, ma prevede solo la possibilità che, grazie all’operare di coefficienti di trasformazione calcolati fino all’età di settanta anni, si creino le condizioni per consentire ai lavoratori interessati la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre i limiti previsti dalla normativa di settore. Il senso della previsione normativa, pertanto, è quello di consentire la prosecuzione del rapporto sulla base di una reciproca valutazione di interessi.

3. A seguito dell’accoglimento del secondo motivo di ricorso la sentenza va cassata, con assorbimento degli altri motivi, riguardanti la violazione e/o falsa applicazione del principio di irretroattività di cui all’art. 11 preleggi, l’erronea interpretazione secondo le regole di ermeneutica della comunicazione della lavoratrice del 25/11/2010, l’erronea applicazione, anche sotto il profilo del vizio motivazionale, dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.

4. Ne consegue la cassazione della sentenza impugnata in ragione del motivo accolto, con rinvio, anche per la regolamentazione delle spese processuali, alla Corte d’appello di Milano.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Milano.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2017

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