Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6762 del 24/03/2011

Cassazione civile sez. lav., 24/03/2011, (ud. 15/02/2011, dep. 24/03/2011), n.6762

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AEROPORTI DI ROMA S.P.A., in persona del legalo rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. P. DA PALFSTRTNA

N. 19, presso lo studio dell’avvocato TERENZIO ENRICO MARIA, che la

rappresenta e difende, giusta procura in atti;

– ricorrente –

contro

C.A.;

– intimato –

e sul ricorso 20877-2007 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CRESCENZIO 82, presso lo studio dell’avvocato TESTA ANTONIO, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

AEROPORTI DI ROMA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. P. DA PALESTRINA

N. 19, presso lo studio dell’avvocato ENRICO MARIA TERENZIO, che la

rappresenta e difende, giusta procura in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 73/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/03/2007 R.G.N. 4945/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/02/2011 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato TERENZIO ENRICO MARIA;

udito l’Avvocato TESTA ANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per accoglimento di entrambi i

ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del Tribunale di Civitavecchia del 5.2.2004, era stata respinta la domanda proposta da C.A. intesa ad ottenere la declaratoria di nullità delle clausole appositive de termine ai contratti a tempo determinato stipulati con la spa Aeroporti di Roma dal 1996 al 2000 e la conversione in rapporto a tempo indeterminato, nonchè la condanna della società al pagamento delle differenze retributive per le mensilità maturate e non corrisposte.

Con sentenza del 7.3.2007, la Corte di Appello di Roma, dichiarata la nullità della clausola di apposizione del termine ai contratto intercorso tra le parti decorrente dal 1.10.1996 al 30.12.1996, e previa declaratoria della sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con decorrenza da 1.10.1996, condannava la società alla immediata riammissione in servizio dell’appellante, con regolarizzazione della posizione assistenziale e previdenziale, nonchè al risarcimento dei danni, nella misura delle mensilità spettanti dal 15.2.2002.

Sosteneva la corte territoriale, quanto al primo contratto stipulato con richiamo alla normativa di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1 lett. f), che la stipulazione fosse conforme alla stessa, laddove, quanto al secondo contratto, stipulato ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23, in riferimento all’accordo Intersind 1990, mutando un precedente orientamento conforme a quanto stabilito dalla Cassazione, rilevava che l’accordo, in relazione alla sua formulazione, non era conforme alle disposizioni della richiamata normativa, in quanto la delega in bianco non poteva rimanere del tutto svuotata di qualsiasi contenuto.

Propone ricorso per cassazione la società, affidando l’impugnazione a due motivi.

Resiste con controricorso il C., che propone anche ricorso incidentale, assistito da unico articolato motivo.

La società ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va, preliminarmente, disposta la riunione dei due ricorsi, in quanto proposti avverso la medesima sentenza, ex art. 335 cod. proc. civ..

Deduce la società, con il primo motivo di ricorso, la violazione e la falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 e della L. n. 230 del 1962, art. 1, 1, comma 1, nonchè degli artt. 1362 e ss ex in ordine alla corretta interpretazione dell’Accordo Intersind del 14.11.1995, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e, infine, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Assume che la Corte territoriale, in maniera contraddittoria, dopo avere affermato il carattere “in bianco ” della delega conferita alle parti sociali dalla L. n. 56 del 1987, art. 23, aveva ritenuto che non erano state indicate nell’accordo del 1995 le ipotesi specifiche, sostanzialmente contraddicendo le premesse.

Rileva che il tenore dell’art. 23 della legge suindicata è tale da non potersi ritenere che le ipotest di apposizione del termine dovessero sempre e comunque essere connotate dal carattere di provvisorietà, eccezionalità e specificità della situazione di riferimento demandandosi alla contrattazione collettiva di prevedere anche ipotesi soggettive, e richiedendo unicamente che la contrattazione stabilisca la percentuale dei lavoratori da assumere rispetto a quelli a tempo indeterminato (clausola di contingentamento). Alla stregua di tali premesse, doveva ritenersi che ricorresse nella specie una ipotesi di stipulazione di contratto a tempo determinato ratione temporis, cioè per un periodo non inferiore a due mesi e non superiore a dodici, onde lo stesso doveva ritenersi pienamente legittimo, proprio perchè autorizzava la stipulazione di contratti di lavoro subordinato a termine per esigenze eccezionali, temporalmente circoscritte, in quanto legate a particolari situazioni di mercato, determinate dal passaggio da un regime di monopolio ad un regime di libera concorrenza. Rileva che l’interpretazione del contratto era stata effettuata in senso difforme ai principi ed alla volontà delle parti, come prescritto dagli artt. 1367 e 1369 c.c..

Con il secondo motivo la società denunzia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 346 c.p.c. dell’art. 2729 c.c. e dell’art. 421 c.p.c., comma 2, dell’art. 12 preleggi, in relazione alla L. n. 604 del 1966, art. 6, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Assume che doveva ritenersi che si fosse verificata una risoluzione del rapporto per mutuo consenso e che non era stato conferito rilievo all’aliunde perceptum, dovendo attribuire volontà abdicativa al decorso di un notevole lasso di tempo tra la cessazione dell’ultimo contratto e la notificazione del ricorso introduttivo del giudizio e valore presuntivo quale mancanza di interesse a continuare a percepire le retribuzioni da parte della società ‘immediata stabile assunzione del lavoratore presso altro datore di lavoro, senza avere attribuito alcun valore alle deduzioni al riguardo formulate tempestivamente e senza disporre di ufficio mezzi di prova sul punto Ed invero, secondo la ricorrente, anche la circostanza che per l’impugnativa del licenziamento fosse concesso un termini di 60 giorni pur trattandosi nella specie di azione di nullità, doveva suggerire al prudente apprezzamento del giudice di indagare circa la sussistenza di altro rapporto di lavoro con terze società.

Il C. affida, invece, ad unico articolato motivo il ricorso incidentalmente proposto, lamentando la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, 4 e 5, in relazione all’art. 112 c.p.c., L. n. 56 del 1987, art. 23, c.c.n.l.

16.3.1999; accordo Intersind 1.8.1997, nonchè L. n. 230 del 1962, art. 2, comma 2.

Assume che la clausola di contingentamento non era stata presa in esame, che la percentuale dei lavori da potere assumere a tempo determinato era pari ai 10% rispetto alla forza lavoro in carico a tempo indeterminato e che erano stati depositati i tabulati afferenti le percentuale dei lavoratori a tempo indeterminato, dai quali era dato evincere che ben superiore a quella prevista dalla contrattazione collettiva era stata la percentuale dei lavoratori assunti a termine. Formula quesito di diritto, a conclusione della parte espositiva, domandando se ha errato la Corte di Appello laddove ha ritenuto assorbiti gli altri motivi, non avendo considerato neanche la ricorrenza dell’intento fraudolento evincibile dalla reiterazione di ben undici contratti a tempo determinato nell’arco di appena quattro anni.

Il primo motivo del ricorso principale merita accoglimento e va accolto con conseguente assorbimento dell’altro motivo di ricorso e dei motivi del ricorso incidentale. La questione posta alla Corte attiene all’interpretazione della L. n. 56 del 1987, art. 23.

Come evidenziato da precedenti sentenze di queste Corte (in particolare, cfr. Cass 23 luglio 2004 n. 13896) dopo le modifiche alla L. n. 230 del 1962, apportate dalle leggi n. 18 del 3 febbraio 1978 (di conversione del D.L. 3 dicembre 1977, n. 876) sulla possibilità, prevista in via provvisoria, di apporre un termine al contratto di lavoro durante le punte stagionali nel settore del commercio e del turismo, possibilità estesa poi in via definitiva a tutti i settori ad opera della L. 25 marzo 1983, n. 79, art. 8 bis (di conversione del D.L. 29 gennaio 1983, n. 17), la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 è la disposizione che consente una importante deroga a principio generale per cui il contratto di lavoro è a tempo indeterminato, “nelle ipotesi individuate nei contratti collettivi di lavoro stipulati con i sindacati nazionali o locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale.” In tali casi, l’accordo con le associazioni sindacali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale viene ritenuto sufficientemente affidabile per introdurre forme di flessibilizzazione anche in deroga a principi che il legislatore medesimo aveva introdotto in relazione a situazioni ritenute particolarmente meritevoli di tutela e per prevedere ipotesi di contratti a termine oltre quelle già previste dalle disposizioni di legge, ossia dalla L. n. 230 del 1962; è, quindi, possibile introdurre fattispecie “diverse” da quelle legali, posto che la norma dispone che l’apposizione del termine sia consentita “oltre che nelle ipotesi di cui alla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 …”.

L’autonomia sindacale è pertanto del tutto svincolata dalle ipotesi già configurate dalla legge, e può introdurle altre completamente diverse, senza essere astretta ad alcun criterio di carattere oggettivo o soggettivo che viene ravvisato nella sentenza impugnata, ma che nella disposizione del 1987 non trova alcuna conferma nè di carattere testuale, nè di ratio. Ed infatti, l’unica prescrizione che il legislatore pone all’autonomia collettiva è quella di stabilire la percentuale di lavoratori a termine rispetto alla percentuale di lavoratori a tempo indeterminato. Si tratta, dunque, di una delega in bianco per quanto riguarda la individuazione di nuove ipotesi di contratto a termine rispetto a quelle legali.

Mentre, come è stato già ripetutamente affermato da questa Corte, anche la norma in commento si inserisce nel complesso sistema delineato dalla L. n. 230 del 1962, nei senso che restano applicabili le regole da questa prescritte, come ad esempio la trasformazione in un unico rapporto a tempo indeterminato dei successivi contratti a termine posti in essere con intento elusivo delle disposizioni di legge (Cass, n. 7519 del 30 luglio 1998), ed anche la regola per cui l’onere probatorio sulle condizioni che giustificano sia l’assunzione a termine, sia la sua temporanea proroga è a carico del datore di lavoro (Cass. n, 3843 del 29 marzo 2000 e n. 8532 del 26 maggio 2003). Erra, dunque, la sentenza impugnata quando rinviene nel sistema delineato dalla L. del 1987 la necessità che l’autonomia sindacale introduca ipotesi di contratto a termine collegate ad esigenze oggettive dell’impresa o a motivi soggettivi, escludendo conseguentemente la legittimità di ipotesi non correlate ad alcune di tali esigenze o motivi, perchè, come già detto, l’autonomia collettiva non trova limiti nella legge per quanto riguarda la tipologia delle nuove ipotesi di contratti a termine da introdurre (Cfr. in tali termini, oltre a Cass. 23 luglio 2004 n. 13896 est., Cass. 18 novembre 2004 n. 21816 e Cass. 29 settembre 2006 n. 21132, nonchè, in relazione a contratti a termine stipulati da Poste Italiane spa, Cass. 4 agosto 2008 n. 21063).

Dall’accoglimento del detto motivo di ricorso discende l’assorbimento di ogni altro motivo sia del ricorso principale che di quello incidentale, essendo le questioni relative alla risoluzione del rapporto per mutuo consenso ed all’aliunde perceptum correlate alla ravvisabilità di una ipotesi di conversione dello stesso, laddove la censura riferita al rispetto della clausola di contingentamento, per come proposta risulta inammissibile, essendo evidente che il giudice del gravame abbia ritenuto superfluo, in relazione alla soluzione adottata, prendere in esame la stessa, stante il carattere assorbente della declaratoria di nullità della clausola appositiva del termine e di conversione del rapporto a tempo indeterminato.

Va; quindi, accolto il primo motivo del ricorso principale, con assorbimento dell’ulteriore motivo e di quello incidentale e conseguente cassazione della sentenza impugnata, con rinvio della causa ad altro Giudice, che si designa nella stessa Corte d’appello di Roma in diversa composizione, la quale si conformerà al principio suddetto, per cui, ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23, la contrattazione collettiva è libera di individuare ipotesi di legittima apposizione del termine al lavoro, senza correlazione ad individuati motivi oggettivi o soggettivi. Il Giudice del rinvio, che dovrà valutare, ove riproposte, le questioni della risoluzione del rapporto per mutuo consenso, dell’aliunde perceptum e del rispetto della clausola di contingentamento, provvederà anche per le spese dei presente giudizio.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale; dichiara assorbito il secondo motivo del ricorso principale e quello incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2011

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