Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6761 del 15/03/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 15/03/2017, (ud. 24/11/2016, dep.15/03/2017),  n. 6761

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 488-2010 proposto da:

C.V. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZALE DON MINZONI 9, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO

AFELTRA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUIGI

ZEZZA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del Presidente

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, PIAZZA G. MAZZINI 27, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE

TRIFIRO’, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 552/2009 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 29/06/2009 R.G.N. 1985/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/11/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;

udito l’Avvocato SOTTILE GIUSEPPE per delega orale Avvocato TRIFIRO’

SALVATORE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 25 novembre 2008 (nr. 4971/2008) il Tribunale di Milano rigettava il ricorso proposto da C.V. nei confronti di POSTE ITALIANE spa per l’accertamento della illegittimità del termine apposto ai contratti di lavoro stipulati dall’1.6 al 31.8.2007 nonchè dal 23.1 al 31.3.2008 ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis.

La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 24-29 giugno 2009 (nr. 552/2009), rigettava l’appello del lavoratore.

Per la Cassazione della sentenza ha proposto ricorso C.V., articolando cinque motivi.

Ha resistito con controricorso la società Poste Italiane spa.

Le parti hanno depositato memoria.

Alla udienza del 23.9.2015 la causa è stata rinviata a nuovo ruolo in attesa della decisione delle sezioni Unite sulla questione rimessa con ordinanza nr. 18419/2015.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il collegio ha autorizzato l’estensore a redigere motivazione semplificata.

1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – omessa pronunzia su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 112 c.p.c..

Ha censurato la omessa pronunzia da parte del giudice del merito sul motivo di appello con il quale egli aveva denunziato la illegittimità del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis posto a fondamento della decisone appellata, perchè la norma era stata introdotta con la legge finanziaria 2005, iter normativo diverso da quello previsto nella L. n. 11 del 2005, artt. 8 e 9 per il periodico adeguamento dell’ordinamento nazionale all’ordinamento comunitario.

2. Con il secondo motivo il ricorrente ha denunziato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis in relazione all’art. 12 preleggi.

Ha censurato la interpretazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis adottata nella sentenza gravata, secondo cui la norma aveva introdotto una ipotesi di contratto a termine autonoma ed alternativa rispetto a quella generale di cui all’art. 1 del testo normativo.

Ha affermato trattarsi di una previsione complementare all’art. 1, con la conseguenza che era richiesta ai fini della validità della clausola accessoria la specificazione per atto scritto della ragione del termine; la specialità della disciplina riguardava unicamente la successione dei contratti a termine, per la quale era prevista maggiore flessibilità.

3. Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis in relazione alla direttiva CE 1999/70 quanto al primo od unico contratto di lavoro.

Ha assunto che la normativa nazionale se interpretata nei sensi indicati dal giudice dell’appello sarebbe stata contraria alla clausola di non regresso prevista dalla direttiva 1999/70, all’obiettivo della direttiva nonchè alla clausola di prevenzione degli abusi, quale ricavabile anche dal considerando numero 7 della direttiva.

4. Con il quarto motivo il ricorrente ha denunziato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis in relazione alla direttiva CE 1999/70 in ordine alla successione dei contratti.

Ha dedotto che la interpretazione accolta nella decisone gravata si poneva in contrasto con la clausola 5 della direttiva sulla prevenzione degli abusi, con il considerando numero 7 e con la clausola 8 di non regresso, non essendo idonea ed assicurare il raggiungimento degli obiettivi della direttiva la previsione del solo termine di durata massima di 36 mesi, introdotta dalla legge 247/2007 ed inapplicabile ai contratti già stipulati che si concludessero prima dell’1.4.2009.

5. Con il quinto motivo il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – omessa pronunzia su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 112 c.p.c..

Ha assunto la omessa pronunzia da parte del giudice dell’appello sul motivo di impugnazione con il quale si deduceva che il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis non conteneva in sè una misura idonea a prevenire gli abusi sicchè per essere conforme alla previsione della clausola 5 e della clausola 8 della direttiva CE 1999/70 doveva necessariamente essere coordinato con il precedente art. 1.

I motivi, che in quanto connessi possono essere congiuntamente trattati, sono infondati. Quanto alle questioni di omessa pronunzia poste con il primo e con il quinto motivo giova premettere che affinchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia ai sensi dell’art. 112 c.p.c. è necessario che al giudice del merito siano rivolte una domanda o un’eccezione ritualmente ed inequivocamente formulate, per le quali detta pronunzia sia necessaria.

Inoltre secondo l’orientamento di questa Corte (cfr, ex plurimis, Cass nn.rr. 13609/2015; 2313/2010; 11659/2012; 15112/2013; 28663/2013; 21257/2014; 23989/2014), una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello la Corte di cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto.

Tale principio trova base in una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., u.c., ispirata ai valori di economia processuale e di ragionevole durata del processo ai sensi dell’art. 111 Cost..

Nella fattispecie di causa la questione della incidenza della legge 247/2007 nella verifica del rispetto della disciplina comunitaria è stata dichiarata assorbita dal giudice del merito sicchè non vi è omessa pronunzia.

Quanto alla questione delle forme di approvazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis il motivo è infondato.

Ai sensi della L. 9 marzo 1989, n. 86 – poi abrogata e sostituita dalla L. 4 febbraio 2005, n. 11 – l’Italia recepisce nel proprio ordinamento interno le norme giuridiche prodotte dall’Unione europea mediante una specifica legge – cd. legge comunitaria- recante “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee”, il cui disegno deve essere presentato dal governo entro il 31 gennaio di ogni anno. Tale legge contiene delega al governo per l’adeguamento della legislazione italiana rispetto alle direttive europee.

Da dicembre 2012 (L. 24 dicembre 2012, n. 234) la legge comunitaria è stata sostituita dalla legge europea e dalla legge di delegazione europea.

Il procedimento, tuttavia, in quanto previsto da una legge ordinaria è privo di rilievo costituzionale sicchè ben può un atto successivo avente la stessa forza di legge (nella specie la legge L. 23 dicembre 2005, n. 266) derogare al procedimento formale senza che ciò comporti alcuna ragione di invalidità delle norme adottate.

La questione di diritto posta con il secondo motivo è stata già risolta dalla giurisprudenza a sezioni Unite di questa Corte con sentenza del 31/05/2016 n. 11374, nella quale si è affermato il seguente principio di diritto, cui in questa sede va data continuità: “Le assunzioni a tempo determinato effettuate da imprese concessionarie di servizi nel settore delle poste, che presentino i requisiti specificati dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1-bis, non necessitano anche dell’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo ai sensi dell’art. 1, comma 1, medesimo D.Lgs.”.

La questione di compatibilità della normativa nazionale con la clausola di non regresso di cui all’art. 8 della direttiva 1999/70, posta con il terzo ed il quarto motivo, è stata dichiarata infondata dalla Corte di Giustizia (ordinanza sez. 6, 11/11/2010, n. 20, Vino c/o Poste), che ha valorizzato l’assunto che l’adozione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis perseguiva uno scopo distinto da quello dell’attuazione, nell’ordinamento nazionale, dell’accordo quadro di cui alla Direttiva 1999/70/CE del Consiglio, essendo finalizzata, piuttosto, a consentire alle imprese operanti nel settore postale un certo grado di flessibilità allo scopo di garantire l’attuazione della direttiva 1997/67/CE in tema di sviluppo del mercato interno dei servizi postali, con particolare riferimento al miglioramento della qualità del servizio.

Nella stessa ordinanza il giudice europeo ha chiarito che la clausola 5 dell’accordo quadro, la quale riguarda la prevenzione contro l’uso abusivo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato, verte unicamente sul rinnovo dei contratti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione e non si applica pertanto alla conclusione dì un primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato; da ciò la infondatezza del dubbio di compatibilità con la clausola 5 sollevato, con il terzo motivo, in relazione al primo contratto a termine.

La questione di compatibilità con la stessa clausola 5 proposta in riferimento ai contratti di lavoro a termine successivi al primo (quarto motivo), è stata invece esaminata nella pronunzia di questa Corte a Sezioni Unite nr. 11374/2016 sopra citata, nella quale si è affermata la conformità della normativa del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2 bis in collegamento con il successivo art. 5 (come integrato dalla L. n. 247 del 2007, art. 1, commi 40 e 43) ai principi fissati dalla clausola.

Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.

Le spese si compensano tra le parti in quanto sulla questione di causa si è formato un indirizzo di questa Corte soltanto in epoca successiva alla notifica del ricorso ed è stato ritenuto opportuno l’intervento delle Sezioni Unite, la cui pronunzia, nel senso della conformità della norma legislativa al diritto costituzionale ed europeo, è stata pubblicata il 31.5.2016 (sent. nr. 11374/2016).

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2017

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