Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6761 del 07/04/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 6761 Anno 2016
Presidente: MANNA ANTONIO
Relatore: GHINOY PAOLA

SENTENZA
sul ricorso 15528-2012 proposto da:
I.N.A.I.L – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE
CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO C.F. 01165400589, in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE
144, presso lo studio degli avvocati LUCIANA ROMEO,
2015
4688

TERESA OTTOLINI, che lo rappresentano e difendono
giusta delega in atti;
– ricorrente contro

STORNIOLO GIUSEPPE C.E. STRGPR43M08F893N, domiciliato

Data pubblicazione: 07/04/2016

in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso
dall’avvocato MARIANO NICODEMO, giusta delega in
atti;
controricorrente-

D’APPELLO di MESSINA, depositata il 16/12/2011 R.G.N.
1454/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 02/12/2015 dal Consigliere Dott. PAOLA
GHINOY;
udito l’Avvocato OTTOLINI TERESA;
persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RITA
SANLORENZO che ha concluso per il rigetto del
ricorso.

avverso la sentenza n. 1520/2011 della CORTE

R. Gen. N. 15528/2012

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza n. 1510 depositata il 16 dicembre 2011, la Corte
d’appello di Messina, decidendo in sede di rinvio disposto da questa Corte
di Cassazione con la sentenza n. 21539 del 2006, riconosceva il diritto di
Giuseppe Storniolo alla rendita per le malattia professionali, ipoacusia da

contratta nell’esercizio dell’ attività lavorativa prestata in Nigeria, e
condannava , l’inali al pagamento della stessa, rapportata all’ ,invalidità
accertata mediante c.t.u., con interessi legali e rivalutazione monetaria dal
121 0 giorno successivo alla domanda amministrativa, nonché al pagamento
delle spese processuali e di c.t.u..
Per la cassazione della sentenza l’Inali ha proposto ricorso, affidato a
tre motivi, cui ha resistito con controricorso Giuseppe Storniolo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Come primo motivo, l’Inail deduce la violazione degli articoli 111 e
112 del d.p.r. n. 1124 del 1965 e lamenta che la Corte d’appello abbia
accolto la domanda, non ritenendo maturato il termine di prescrizione alla
data di proposizione del ricorso di primo grado.
Riferisce in fatto che l’istituto aveva negato la rendita con
provvedimento del 11 ottobre 1993, cui l’assicurato aveva proposto
opposizione in data 21 dicembre 1993, che non aveva avuto esito; il
decorso del termine di 150 giorni senza che l’istituto si fosse pronunciato
determinava la formazione del silenzio-rigetto, e quindi l’esaurimento del
procedimento amministrativo, sicché, dovendo da tale scadenza farsi
decorrere il termine triennale di prescrizione previsto dagli artt. 111 e 112
del TU n. 1124 del 1965, esso era inesorabilmente decorso alla data di
deposito del ricorso introduttivo del giudizio (13 settembre 2000).
1.1. Il motivo non è fondato.
Nella sentenza rescindente n. 21539 del 2006, questa Corte ha
affermato il principio di diritto secondo il quale “La sospensione della
prescrizione del diritto alle prestazioni erogate dall’Inali in favore
dell’assicurato, prevista dal D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 111,
comma 2 e 3, permane sino alla definizione del procedimento di
liquidazione, in questo compresa la fase successiva al reclamo proposto
dall’interessato al provvedimento di diniego della prestazione”. Tale
principio di diritto è stato correlato al presupposto fattuale in base al quale
Pay1a Ghino y , estensore
3

terapia chininica ed epatopatia HCV, ritenute conseguenza della malaria

R. Gen. N. 15528/2012

la mancanza di alcuna risposta dell’Inail all’opposizione determinava la
mancata definizione del procedimento amministrativo, sicché alla data in
cui l’interessato si era rivolto al giudice non era decorsa la prescrizione
prevista dal citato art. 112, erroneamente ritenuta dalla Corte territoriale
nella sentenza gravata.
A tali presupposti di fatto e di diritto doveva attenersi il giudice del

ipotesi di annullamento con rinvio per violazione di norme di diritto, la
pronuncia della Corte di cassazione vincola al principio affermato ed ai
relativi presupposti di fatto, onde il giudice del rinvio deve uniformarsi non
solo alla “regola” giuridica enunciata, ma anche alle premesse logicogiuridiche della decisione, attenendosi agli accertamenti già compresi
nell’ambito di tale enunciazione, senza poter estendere la propria indagine
a questioni che, pur se non esaminate nel giudizio di legittimità,
costituiscono il presupposto stesso della pronuncia, formando oggetto di
giudicato implicito interno, atteso che il riesame delle suddette questioni
verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza, in contrasto
,é_t)
col principio dirintangibilità (Cass. n. 20981 del 16/10/2015, conf. n. 17353
del 23/07/2010).

2. Come secondo e terzo motivo, sotto il profilo del vizio di

motivazione e della violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del T.U. n.
1124 del 1965 e degli artt. 40 e 41 del codice penale, Inail lamenta che
la Corte d’appello abbia ritenuto l’ epatite cronica da HCV riconducibile alle
condizioni igienico- sanitarie carenti in cui erano stati eseguiti in Nigeria i
rilievi ematici per il controllo della malaria, in difetto della necessaria prova.
Inoltre, la malattia sarebbe stata causata da un fattore esterno, cioè la
siringa infetta, che avrebbe interrotto il nesso causale con la prestazione
lavorativa.
2.1. Neppure tale motivo è fondato.
La Corte d’appello ha argomentato che l’infezione epatica era derivata
dai ripetuti prelievi di sangue eseguiti in Nigeria in condizioni igienicosanitarie carenti. La Corte territoriale si è basata sulla relazione del c.t.u.,
che aveva riferito che per i prelievi di sangue in quello stato non venivano
usate siringhe ed aghi sterili monouso, ma siringhe ed aghi riciclabili, e che
la sussistenza dell’ epatite cronica HCV era stata diagnosticata al momento
PapL Ghinoy, est ensore

rinvio, considerato che, come ribadito ancora di recente da questa Corte, in

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R. Gen. N. 15528/2012


del rientro in Italia, a fronte dell’assenza di alcuna patologia alla visita
periodica svolta prima di essere avviato al lavoro in quello stato. La
ricostruzione fattuale della Corte appare quindi corretta e coerente con le
risultanze di causa e resiste alle censure generiche mossevi dall’istituto
ricorrente.
2.2. Né l’uso di una siringa infetta può ritenersi elemento estraneo

La giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che nella
materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali trova diretta
applicazione la regola contenuta nell’art. 41 cod. pen., per cui il rapporto
causale tra evento e danno è regolato dal principio dell’equivalenza delle
condizioni, secondo il quale va riconosciuta efficienza causale ad ogni
antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, a
determinare l’evento, sicché deve escludersi l’esistenza del nesso eziologico
richiesto dalla legge solo qualora possa ritenersi con certezza che
l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa sia stato di per sé
sufficiente a produrre la infermità (v. da ultimo ex plurimis Sez. L, n. 6105
dei 26/03/2015, n. 23990 del 2014). Si è poi ritenuta l’ indennizzabilità
anche degli ulteriori effetti dipendenti da cause sopravvenute ed estranee
all’ attività lavorativa, i quali abbiano modificato gli esiti di un precedente
infortunio, a condizione che tali cause sopravvenute siano direttamente
collegabili all’infortunio medesimo, perché inserite nel processo causale
come fattori di determinazione dell’ulteriore aggravamento del danno, e
non già come meri fatti occasionali od accidentali (cfr. Cass. n. 12121 del
2015, n. 5014 del 2004, n. 12377 del 2003, n. 9302 del 2001, n. 129 del
1990, n. 2904 del 1989).
La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di tali principi,
considerato che nel caso le carenze addebitabili alla struttura sanitaria
straniera, causa della malattia, erano connesse agli interventi resisi
necessari per la diagnosi e la cura della malaria contratta sul luogo di
lavoro, e quindi rientravano nella sequenza causale che traeva origine
dall’attività lavorativa.

3. Segue il rigetto del ricorso e la condanna dell’Inail al pagamento
delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M
PaiI , Gh inoy, estensore
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tale da interrompere il nesso di causalità tra attività lavorativa e malattia.

R. Gen. W. 15528/2012

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi €
3.500,00 per compensi professionali, oltre ad e 100,00 per esborsi,
rimborso spese generali al 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 2.12.2015

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