Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6760 del 10/03/2020

Cassazione civile sez. lav., 10/03/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 10/03/2020), n.6760

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Presidente –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11637/2016 proposto da:

GESTIONE COMMISSARIALE FONDO BUONUSCITA POSTE ITALIANE S.P.A., in

persona del Commissario pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA FULCIERI PAOLUCCI DE’ CALBOLI 5, presso lo studio

dell’avvocato DARIO BUZZELLI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.L.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DELL’ELETTRONICA 20, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE PIERO

SIVIGLIA, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO TINAGLIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1509/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 19/01/2016, R.G.N. 2487/2012.

Fatto

RILEVATO

che:

1. D.L.F. adiva il giudice del lavoro chiedendo la condanna della Gestione commissariale – Fondo buonuscita lavoratori Poste Italiane alla riliquidazione della indennità di buonuscita per inclusione nella relativa base di calcolo dell’assegno ad personam attribuito ai sensi del D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 38, in esito alla trasformazione dell’Amministrazione statale in ente pubblico autonomo;

1.1. esponeva a tal fine di avere agito dinanzi alla Corte dei Conti lamentando la mancata inclusione dell’assegno nella determinazione del trattamento di quiescenza, di avere intentato analogo giudizio per il ricalcolo dell’indennità di buonuscita dinanzi al giudice del lavoro il quale con sentenza del 17.2.1999 aveva dichiarato il proprio difetto di giurisdizione in favore della Corte dei Conti; analogamente, il giudice contabile, adito successivamente, aveva dichiarato il proprio difetto di giurisdizione con sentenza del 14.5.2002 n. 1131/20021 ottenuta dal giudice contabile sentenza favorevole in ordine al ricalcolo del trattamento di quiescenza (sentenza del 17.6.2004), aveva riproposto, in data 4.10.2004, nei confronti dell’IPOST, domanda di riliquidazione della indennità di buonuscita. Il tribunale G.L., con sentenza del 14.3.2008, aveva dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’IPOST individuando la giusta parte avente titolo a contraddire nella Gestione commissariale del Fondo di buonuscita per i lavoratori di Poste Italiane s.p.a., subentrata all’IPOST ai sensi della L. n. 449 del 1997, art. 57, comma 6, lett. a); prestata acquiescenza a tale statuizione aveva agito nei confronti della Gestione commissariale;

2. la domanda era stata respinta dal giudice di primo grado in accoglimento della eccezione di prescrizione della parte convenuta;

3. la Corte di appello di Palermo, in riforma della sentenza di primo grado, ha condannato la Gestione commissariale del Fondo di buonuscita per i lavoratori di Poste Italiane s.p.a. al pagamento in favore del D.L. dell’importo di Euro 85.989,35, oltre accessori, a titolo di differenze sulla indennità di buonuscita per effetto dell’inclusione nella relativa base di calcolo dell’assegno ad personam D.P.R. n. 1032 del 1973, ex art. 38;

3.1. la Corte di merito ha ritenuto l’errore del giudice di prime cure per avere posto a base dell’accoglimento della eccezione di prescrizione fatti non allegati dalle parti; la Gestione commissariale aveva, infatti, eccepito il perfezionamento della prescrizione quinquennale sul presupposto che gli atti interruttivi posti in essere nei confronti di IPOST non avessero prodotto effetti nei propri confronti; il giudice di prime cure, invece, aveva fondato il rigetto della originaria domanda sulla diversa ragione estintiva rappresentata dal decorso del termine di prescrizione quinquennale tra la sentenza del Pretore nel giudizio instaurato contro IPOST e la successiva missiva del 4/8 ottobre 2004 inviata dal D.L.. Nel merito osservava il giudice d’appello che il D.L. aveva dato ampia prova di atti interruttivi avendo allegato la sentenza della Corte dei Conti del 14.5.2002 che aveva declinato la propria giurisdizione nella controversia contro l’IPOST – sentenza passata in giudicato il 14.5.2003 – per cui alla data di inoltro della missiva del 21.4.2008, diretta alla Gestione commissariale, il termine – quinquennale – di prescrizione non era ancora decorso;

4. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la Gestione commissariale del Fondo di Buonuscita Lavoratori Poste Italiane sulla base di quattro motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso;

4.1. entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 – bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo parte ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 115,414 e 421 c.p.c., censura la sentenza impugnata per avere la Corte di merito posto a base della propria decisione elementi documentali che dal ricorso di primo grado non risultavano prodotti: nè, a fronte della eccezione sollevata dalla Gestione commissariale, la produzione documentale di controparte era stata integrata;

2. con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., artt. 2938 e 2697 c.c., censura la sentenza impugnata per avere la Corte di merito ritenuto che la eccezione di prescrizione non fosse stata dal Tribunale valutata nella sua effettiva portata; assume che il giudice di prime cure aveva correttamente valutato come decorso il termine di prescrizione stabilendo il relativo dies a quo con riferimento alla data del 9.5.1996 di cui all’istanza depositata in prime cure;

3. con il terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 449 del 1997, art. 53, in relazione all’art. 111 c.p.c. e agli artt. 2943 c.c. e segg., censura la sentenza impugnata per avere ritenuto irrilevante rispetto al dictum della Corte dei conti la vicenda del subentro verificatosi tra l’IPOST e la Gestione commissariale. Denunzia a riguardo apparenza di motivazione ed insiste nella violazione delle norme di diritto contestando, in sintesi, che si fosse verificata successione dall’IPOST alla Gestione commissariale. In questa prospettiva assume che non si poteva estendere alla seconda l’efficacia di un atto interruttivo indirizzato al primo; in ogni caso, la successione ad IPOST della Gestione Commissariale si era perfezionata in data 1.1.2000 con la conseguenza che la introduzione da parte del D.L. del giudizio nei confronti della detta Gestione, nell’anno 2008, era avvenuta quando già era maturato il termine – quinquennale – di prescrizione;

4. con il quarto motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1092 del 1973, art. 38, censura la sentenza impugnata per avere condannata essa ricorrente alla riliquidazione dell’indennità di buonuscita in assenza dei relativi presupposti rappresentati da un passaggio di carriera del dipendente e dalla concessione di un incremento stipendiale superiore a quello spettante per la qualifica acquisita; afferma che l’assegno ad personam attribuito al D.L. in seguito al passaggio alle dipendenze dell’Ente Poste, non era riconducibile ad alcuna delle tassative voci di cui all’art. 38, D.P.R. cit., al fine della rideterminazione dell’indennità di buonuscita;

5. il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto non sorretto, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, della esposizione del fatto processuale in termini idonei a consentire la verifica sulla base del solo esame del ricorso per cassazione della fondatezza delle censure articolate, come prescritto (Cass. n. 10072 del 2018, Cass. n. 16103 del 2016). Parte ricorrente, infatti, non solo omette di trascrivere l’elenco dei documenti allegati da controparte al ricorso di primo grado ma neppure chiarisce in relazione allo svolgersi della vicenda processuale in primo e secondo grado gli elementi dai quali risulterebbe la mancata produzione nell’ambito dell’intero giudizio di merito dei documenti ai quali ha fatto riferimento la sentenza di secondo grado. Sotto altro profilo è da osservare che poichè la sentenza della Corte dei conti n. 1132/2002 e la lettera in data 21.4.2008 diretta alla Gestione commissariale nella economia della motivazione del giudice di secondo grado sono evocati a dimostrazione della esistenza di atti interruttivi della prescrizione, e poichè parte ricorrente non deduce di avere contestato nell’ambito del giudizio di merito la rispondenza a verità delle allegazioni a riguardo formulate dal ricorrente, ben poteva la esistenza dei suddetti atti interruttivi della prescrizione, essere ritenuta dal giudice di appello sulla base del solo principio di non contestazione e, quindi, a prescindere dalla produzione documentale destinata ad attestarli;

6. il secondo motivo di ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto manca la esposizione della vicenda processuale e la trascrizione degli atti rilevanti idonei a consentire la verifica di fondatezza della censura articolata con riferimento ai termini con i quali si era sviluppata nel giudizio di merito la questione della prescrizione;

6.1. La giurisprudenza di questa Corte in tema di oneri di allegazione a carico della parte eccipiente la prescrizione ha chiarito che l’eccezione di prescrizione è validamente proposta quando la parte ne abbia allegato il fatto costitutivo, ossia l’inerzia del titolare manifestando la volontà di volerne profittare, senza che rilevi l’erronea individuazione del termine applicabile, ovvero del momento iniziale o finale di esso, trattandosi di questione di diritto sulla quale il giudice non è vincolato dalle allegazioni di parte (ex plurimis: Cass. n. 15631 del 2016); neppure è necessaria la tipizzazione secondo una delle varie ipotesi previste dalla legge non richiedendosi all’eccipiente anche di specificare a quale tra le prescrizioni, diverse per durata, intenda riferirsi, spettando al giudice stabilire se, in relazione alla domanda che può conoscere nel merito e al diritto applicabile nel caso concreto, la prescrizione sia maturata (Cass. n. 15790 del 2016, Cass. n. 14576 del 2007). Resta fermo, tuttavia, che l’eccezione di prescrizione deve sempre fondarsi su fatti allegati dalla parte ed il debitore che la solleva ha l’onere di allegare e provare il fatto che, permettendo l’esercizio del diritto, determina l’inizio della decorrenza del termine, ai sensi dell’art. 2935 c.c., restando escluso che il giudice possa accogliere l’eccezione sulla base di un fatto diverso (ex plurimis: Cass. n. 15991 del 2018, Cass. n. 16326 del 2009);

6.2 La sentenza impugnata ha affermato l’errore del giudice di primo grado per avere questi ritenuto maturato il termine di prescrizione per decorso di oltre un quinquennio tra l’ultimo atto interruttivo della prescrizione individuato nella domanda giudiziale definita dal Pretore di Palermo con sentenza n. 437/1999, depositata il 2.9.1999, e la istanza di riliquidazione dell’8.10.2004 inviata all’IPOST, sul rilievo che tali fatti non avevano costituito oggetto di allegazione da parte dell’eccipiente. Tale affermazione non è validamente contrastata dal motivo in esame la cui illustrazione, essenzialmente affidata alla deduzione di non pertinenza della giurisprudenza di legittimità richiamata dal giudice di appello ed alla considerazione che nella fattispecie in esame veniva in rilievo una questio iuris, non chiarisce, con riferimento alla originaria allegazione e deduzione della parte eccipiente ed allo sviluppo del contraddittorio sul punto nelle fasi di merito, le ragioni della asserita configurabilità di una mera questione di qualificazione in relazione alla pronunzia sulla prescrizione;

7. il terzo motivo di ricorso è infondato. La sentenza impugnata ha ritenuto non decorso il termine di prescrizione in quanto tra il momento del passaggio in giudicato – il 14.5.2003 – della sentenza della Corte dei conti che aveva declinato la giurisdizione nella controversia contro l’IPOST e la data della missiva del 21.4.2008 diretta alla Gestione commissariale era decorso un termine inferiore a cinque anni; la statuizione costituisce applicazione degli artt. 2943 e 2945 c.c., in tema di interruzione del decorso del termine prescrizionale fino al passaggio in giudicato della statuizione.

7.1. In ordine al nucleo centrale del motivo con il quale si assume, in sintesi, l’errore del giudice di appello per avere adombrato un fenomeno successorio della Gestione Commissariale a IPOST, L. n. 449 del 1997, ex art. 53, comma 6, lett. a), in difetto di soppressione della gestione separata dell’Istituto Postelegrafonici, venendo in rilievo – si assume – un mero trasferimento ad altro soggetto (il primo appunto) delle funzioni liquidatorie dell’indennità di buonuscita, pertanto non invocabile a fini di estensione di efficacia di un atto interrutivo nei confronti del secondo al primo, lo stesso risulta privo di pregio alla stregua della ricostruzione operata in condivisibili pronunzie di questa Corte. In tali precedenti è stato, infatti, evidenziato come dal disposto della L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 53, comma 6, lett. a), si evinceva che la Gestione commissariale fosse titolare dei rapporti giuridici (già) facenti capo alla Gestione separata istituita in seno all’Istituto Postelegrafonici ai sensi del D.P.R. 8 aprile 1953, n. 542, art. 15, e divenuta competente “a regime”, con decorrenza agosto 1994, in sostituzione dell’INPDAP, per la erogazione della indennità di buonuscita spettante a tutto il personale dipendente dell’Ente poste italiane, ai sensi del D.L. n. 487 del 1993, art. 6, comma 7, convertito nella L. n. 71 del 1994, (recante la trasformazione in ente pubblico economico dell’Amministrazione delle Poste e Telecomunicazioni, puntualizzandosi che “E’ noto, infatti, che la soppressione “ope legis” di un soggetto pubblico non determina sempre e automaticamente il venir meno della sua personalità che, invece, si prolunga anche per il periodo successivo alla entrata in vigore della disposizione soppressiva tutte le volte in cui, per i rapporti (o per alcuni dei rapporti) che al medesimo facevano capo, si apra una fase liquidatoria, la cui gestione venga affidata – come nella specie – ad un organo appositamente istituito in qualità di liquidatore dei rapporti pregressi (vedi Cass. 23 settembre 2004 n. 19133, 7 maggio 2003 n. 6940, 9 aprile 2001 n. 5279, 12 aprile 1986 n. 259o5).” (Cass. 6410 del 2009);

8. il quarto motivo è inammissibile in quanto pur denunziando violazione e falsa applicazione di norma di diritto non è incentrato sul significato e sulla portata applicativa della norma della quale è denunziata violazione ma in concreto inteso a contestare l’accertamento di fatto del giudice di appello in ordine alla sussistenza dei presupposti che giustificavano la inclusione dell’emolumento in questione tra quelli da considerare nella liquidazione dell’indennità di buonuscita, questione non espressamente affrontata dalla Corte di merito. Secondo l’insegnamento di questa Corte, qualora una determinata questione giuridica – che implichi accertamenti di fatto non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. n. 1435 del 2013, n. 20518 del 2008, Cass. n. 22540 del 2006), oneri questi non osservati dalla parte ricorrente;

9. che in base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto;

10. che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;

11. che sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte delle ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 11 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2020

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