Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6758 del 10/03/2021

Cassazione civile sez. III, 10/03/2021, (ud. 23/09/2020, dep. 10/03/2021), n.6758

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28862-2019 proposto da:

V.S., elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv.

ANNA LOMBARDI BAIARDINI, in Perugia, via Campo di Marte 6 D), che lo

rappresenta e difende per procura speciale in atti;

– ricorrente –

nonchè contro

MINISTERO DELL’INTERNO e COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO

PROTEZIONE INTERNAZIONALE FIRENZE SEZIONE PERUGIA;

avverso la sentenza n. 174/2019 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 20/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/09/2020 dal Consigliere Dott. RUBINO LINA.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

V.S., cittadino della Costa d’Avorio, propone ricorso per cassazione articolato in tre motivi nei confronti del Ministero dell’Interno, notificato il 19.9.2019, avverso la sentenza n. 174/2019 della Corte d’Appello di Perugia, pubblicata in data 20.3.2019, con la quale la corte d’appello gli ha negato lo status di rifugiato e ha ritenuto non sussistere il suo diritto nè alla protezione sussidiaria nè alla protezione umanitaria.

La motivazione della corte d’appello riferisce solo, quanto alla situazione personale del ricorrente, che questi assume di esser dovuto fuggire dal proprio paese d’origine in quanto il padre apparteneva ad una fazione politica diversa da quella cui apparteneva il capo dello Stato. Afferma che gravasse esclusivamente sul ricorrente l’onere di dimostrare situazioni attuali di insicurezza generale e di assenza di protezione da parte delle autorità statali ovvero il pericolo di essere sottoposto a persecuzioni o a trattamenti inumani o degradanti.

Il Ministero ha depositato tardivamente una comunicazione con la quale si dichiara disponibile alla partecipazione alla discussione orale.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

che:

il ricorrente ripercorre nel ricorso la sua vicenda personale, esposta alla Commissione durante l’audizione, della quale denuncia che la decisione non abbia tenuto alcun conto: musulmano, nato e cresciuto a Daloa, frequentava per circa dieci anni la scuola coranica, rimaneva orfano di madre a quattro anni, orfano anche di padre a tredici per contrasti politici di questi con la fazione vincitrice, alla quale aderivano anche alcuni suoi parenti. Espatriato in Libia su volontà del fratello maggiore subito dopo la morte del padre, nel 2011, raggiungeva la Libia attraversando il Niger, e subiva vari episodi di maltrattamento e violenze in Libia dove si tratteneva a vivere insieme al fratello. Adduce di non poter rientrare perchè teme i propri parenti, che avevano concorso a causare la morte del padre. Segnala che il suo racconto alla commissione territoriale era stato necessariamente lacunoso sugli avvenimenti in Costa d’Avorio perchè dalla stessa era andato via ben cinque anni prima, ancora bambino.

Con il primo motivo di ricorso, denuncia la violazione dei criteri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e di non aver quindi rispettato la procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi, non sulla base della mera mancanza di riscontri obiettivi di quanto narrato dal richiedente, ma secondo la griglia predeterminata di criteri fornita appunto dall’art. 3, comma 5, la necessità di rispettare i quali e di darne conto in motivazione emerge anche dall’interpretazione consolidata della giurisprudenza di legittimità (cita a questo proposito Cass. n. 8282 del 2013 ed altre).

Sostiene che la corte d’appello abbia ritenuto genericamente non convincenti le sue affermazioni, senza considerare i criteri di valutazione fissati dalla predetta norma: nè la tempestività della domanda, nè gli sforzi compiuti per circostanziarla, appiattendosi in tutto sulle valutazioni del tribunale e prima della commissione.

Lamenta che non sia stata attivata la cooperazione istruttoria.

Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 sempre in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, del quale denuncia la violazione nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 2, 3, 4, 5, 6 e 14 e sostiene che l’organo giudicante non sia neppure entrato nel merito della sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), con l’affermazione, che sostiene essere errata in diritto, per cui il giudizio di non credibilità personale incide anche sul riconoscimento della protezione sussidiaria.

Con il terzo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione sempre dei medesimi testi normativi – D.Lgs. n. 251 del 2007, D.Lgs. n. 25 del 2008, nonchè del D.P.R. n. 394 del 1999, art. 28, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, e censura in particolare la sentenza impugnata ove ha rigettato la domanda volta alla concessione della protezione umanitaria per mancanza della prova di una condizione di vulnerabilità soggettiva del ricorrente. Richiama anche a questo proposito il mancato rispetto da parte del giudice del dovere di cooperazione istruttoria gravante sul giudicante.

Il ricorrente afferma poi che la corte non ha considerato, ai fini della vulnerabilità del ricorrente, le vicissitudini subite durante il lungo soggiorno in Libia, che richiama dettagliatamente, ed afferma di aver documentato il suo percorso di integrazione in Italia, ma che di ciò non si sarebbe tenuto conto.

Il primo motivo è fondato.

La motivazione della corte d’appello riferisce solo, quanto alla situazione personale del ricorrente, che questi assume di essere dovuto fuggire dal proprio paese d’origine in quanto il padre apparteneva ad una fazione politica diversa da quella cui apparteneva il capo dello Stato. Si evince, non essendo espressamente enunciato, che la corte territoriale abbia ritenuto di rilevanza meramente privata la vicenda narrata. La sentenza stessa è priva di alcun riferimento alle COI, ed afferma che gravasse esclusivamente sul ricorrente l’onere di dimostrare situazioni attuali di insicurezza generale e di assenza di protezione da parte delle autorità statali ovvero il pericolo di essere sottoposto a persecuzioni o a trattamenti inumani o degradanti. Ribalta quindi esclusivamente sul ricorrente l’onere di provare la situazione di fatto del paese, in violazione del dovere di cooperazione istruttoria vigente in materia ed in violazione delle norme che impongono una procedimentalizzazione della decisione delle controversie in materia di protezione internazionale, all’interno della quale il giudice è tenuto a valutare, e a dare conto in motivazione, della presenza o dell’assenza di determinati elementi predeterminati per legge, nella vicenda narrata, per poter legittimamente giustificare una pronuncia di rigetto.

La decisione impugnata si pone in violazione di legge, in conformità alle censure proposte, in quanto la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero richiedente l’accertamento dei presupposti per la protezione internazionale, mentre costituisce, di regola, un apprezzamento di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice del merito, è censurabile in cassazione, sotto il profilo della violazione di legge, in tutti casi in cui la valutazione di attendibilità non sia stata condotta nel rispetto dei canoni legalmente predisposti di valutazione della credibilità del dichiarante (così come formalmente descritti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5); detta valutazione di credibilità deve ritenersi inoltre censurabile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01); in particolare, varrà sottolineare come il giudice di merito, nel valutare la credibilità complessiva del richiedente asilo, ben potrà ritenere inattendibili le dichiarazioni rese da quest’ultimo sulla base del significato eloquente anche di una singola circostanza ritenuta di per sè assorbente rispetto alla considerazione di ogni altro elemento di valutazione, purchè di detta circostanza se ne sottolinei – o ne emergano con evidenza – i caratteri di decisività, senza limitarsi al richiamo di formule di sintesi o di modelli argomentativi meramente stereotipati; nel caso di specie, il giudice a quo, nel trattare della questione relativa alla credibilità della vicenda narrata dal ricorrente, si è inammissibilmente limitato a rilevare la mancanza di prova a sostegno di quanto narrato dall’istante, senza indicare quale questo narrato fosse.

Ciò posto, varrà considerare come la corte territoriale abbia propriamente trascurato di circostanziare e articolare la valutazione di credibilità del richiedente in rapporto a ciascuno dei parametri di attendibilità dichiarativa sul cui necessario rilievo insiste la disposizione imperativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, finendo col porsi in evidente contrasto con i canoni di interpretazione delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale espressamente raccomandati dalla legge e, più in generale, con la struttura “procedimentale” e “comprensiva” del ragionamento argomentativo imposto ai fini del controllo di quelle stesse dichiarazioni; in forza di tali premesse, le lacune indicate devono ritenersi tali da riflettersi inevitabilmente sulla legittimità della motivazione in thema dettata dal giudice di merito, atteso che il mancato rispetto del “modello legale di lettura” delle dichiarazioni rese dal richiedente asilo vale a escludere l’avvenuta giustificazione, in modo legalmente adeguato, del giudizio di inattendibilità così espresso dal giudice di merito; tali rilievi impongono di rinviare al giudice del merito per la doverosa rinnovazione della valutazione delle dichiarazioni rese dal richiedente, anche in relazione alla verifica istruttoria (da compiere anche attraverso l’esercizio dei poteri di cooperazione istruttoria rimessi al giudice del merito) circa la fondatezza delle domande relative al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria di cui alle ipotesi indicate nel D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. a) e b); a tale riguardo, varrà sottolineare come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, il riconoscimento dello status di rifugiato o il diritto alla protezione sussidiaria non possono essere esclusi dalla sola circostanza che a provocare il danno grave per il cittadino straniero siano soggetti privati, qualora nel Paese d’origine non vi sia un’autorità statale in grado di fornirgli adeguata ed effettiva tutela, con il conseguente dovere del giudice di effettuare una verifica officiosa sull’attuale situazione di quel Paese e, quindi, sull’eventuale inutilità di una richiesta di protezione alle autorità locali (Sez. 1 -, Ordinanza n. 26823 del 21/10/2019, Rv. 655628 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16356 del 03/07/2017, Rv. 644807 – 01); nel caso di specie, il giudice a quo, dopo aver proceduto in modo irrituale all’esame dell’attendibilità delle dichiarazioni rese dall’istante, si è inammissibilmente sottratto alla verifica e all’esercizio dei propri poteri di istruzione ufficiosa (nel quadro dei doveri di cooperazione istruttoria imposti dalla legge) al fine di individuare, in termini positivi e concreti, le specifiche fonti informative suscettibili di comprovare l’effettiva idoneità delle istituzioni ivoriane a cautelare l’incolumità dei propri cittadini in relazione a situazioni di vulnerabilità di origine “privata”.

L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento dei i successivi, in quanto l’intero giudizio di appello dovrà essere ripetuto, in riferimento a tutti i motivi di appello formulati dall’attuale ricorrente, nel rispetto dei sopra richiamati principi di diritto. Il ricorso è accolto, la sentenza cassata con conseguente rinvio alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile della Corte di cassazione, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2021

 

 

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