Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6756 del 15/03/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 15/03/2017, (ud. 07/03/2017, dep.15/03/2017),  n. 6756

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 3262/2013 R.G. proposto da:

NOVAMACH ITALIA Srl, rappresentata e difesa dall’Avv. Marco TURCI e

dall’Avv. Alessandro FRUSCIONE, con domicilio eletto presso

quest’ultimo, in Roma, Via Giambattista Vico, n. 22, giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Toscana sez. staccata di Livorno n. 142/23/12, depositata il 5

giugno 2012.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 7 marzo 2017 dal

Cons. Giuseppe Fuochi Tinarelli;

udito l’Avv. Alessandro Fruscione che chiede l’accoglimento del

ricorso;

udito l’Avv. Anna Collabolletta per l’Agenzia delle entrate che si

riporta al controricorso;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Sorrentino Federico, che ha concluso per la cessazione

della materia del contendere e, in subordine, l’accoglimento per

quanto di ragione.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

A seguito di verifica fiscale nei confronti della Franco Vago Spa, titolare di un deposito IVA D.L. n. 331 del 1993, ex art. 50 bis emergeva che la Novamach Italia Srl aveva omesso il versamento dell’IVA all’importazione attesa l’immissione solo virtuale di merce extra UE nel detto deposito, sicchè l’Agenzia delle dogane, ripresa a tassazione l’IVA non versata, irrogava le relative sanzioni per l’anno d’imposta 2005 ai sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13.

Il ricorso avverso l’atto di irrogazione delle sanzioni proposto dalla Novamach Italia Srl veniva rigettato dalla CTP di Livorno, decisione poi confermata dalla CTR della Toscana con la sentenza in epigrafe. Ha proposto ricorso per cassazione il contribuente con cinque motivi, chiedendo altresì rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 267, comma 3, TFUE. Resiste l’Agenzia delle dogane con controricorso. Con memoria il contribuente ha altresì depositato atto di annullamento in autotutela dell’atto impositivo e di rideterminazione delle sanzioni dovute.

Il collegio delibera l’utilizzazione di motivazione semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c. per aver la CTR omesso di pronunciare sulla sussistenza del requisito soggettivo di punibilità D.Lgs. n. 471 del 1997, ex art. 13.

2. Con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 10 della Direttiva 77/388/CEE, 2 della Direttiva 2006/112/CE, 2 del Regolamento n. 1553/1989, D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1, 17, 19,23, 25, 60 e 67, D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 9 bis, per aver la CTR erroneamente escluso efficacia all’assolvimento dell’imposta mediante autofatturazione e applicazione del meccanismo dell’inversione contabile, realizzando, in lesione del principio di neutralità dell’imposta, una duplicazione di imposta, confondendo le nozioni di IVA all’importazione e IVA interna, differenti quanto a sistemi di assolvimento, ma non anche sulla natura dell’imposta stessa.

3. Con il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, comma 4, conv. con mod. nella L. n. 427 del 1993, e/o D.M. 20 ottobre 1997, n. 419, artt. 2, 3 e 4 recante disposizioni in materia di depositi IVA a mente dell’art. 50 bis cit., 16 della Sesta Direttiva IVA, 157 della Direttiva IVA 2006/112/CE, asserendo l’inesistenza di un obbligo di introduzione fisica delle merci nel deposito fiscale.

4. Con il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 9 bis, per l’erronea individuazione della sanzione applicabile, determinata nella misura del 30% dell’imposta asseritamente evasa, mentre, atteso l’assolvimento dell’IVA con il metodo del reverse charge, era sanzionabile solo l’irregolare e tardivo adempimento.

5. Con il quinto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c. per non aver statuito sul motivo di appello con cui si censurava la violazione delle norme sul giusto procedimento.

6. Formula, infine, istanza di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE con riguardo: a) se il deposito IVA istituito ai sensi della Sesta Direttiva e dalla Direttiva 2006/112/CEE sia soggetto al codice doganale comunitario; b) se, secondo la suddetta normativa unionale, la destinazione dei beni importati ad un regime di deposito diverso da quello doganale è sufficiente a consentire l’esenzione del pagamento dell’IVA all’importazione; c) se, inoltre, il quadro comunitario impedisce di ritenere corretta la prassi dell’Amministrazione di non considerare l’autofatturazione come sistema di assolvimento dell’IVA all’importazione; d) se, infine, viola il principio di neutralità dell’IVA la pretesa dello Stato di esigere l’IVA assolta in reverse charge “mediante emissione di autofattura e contestuale registrazione nel registro delle vendite e degli acquisti”.

7. Va osservato, preliminarmente, che l’avvenuta rideterminazione dell’ammontare della sanzione – oggetto della presente controversia – operata dall’Agenzia delle entrate non è idonea a determinare la cessazione della materia del contendere, permanendo inalterato l’interesse delle parti, mirato, eventualmente, anche a verificare la congruità della nuova determinazione.

8. Passando, dunque, all’esame del ricorso, i primi quattro motivi, che meritano un esame congiunto risultando tutti strettamente connessi, sono fondati nei limiti di seguito esposti.

8.1. Le questioni poste dal ricorrente, attinenti alle modalità per il riconoscimento del regime di esenzione del pagamento IVA in favore dei soggetti che importano merce extra UE, sono state oggetto di ampia elaborazione da parte sia della Corte di Giustizia, più volte intervenuta (in tema di deposito fiscale v. Corte di Giustizia, sentenza 18 dicembre 2008, C-349/07, Sopropè, e, da ultimo, Corte di Giustizia, sentenza 17 luglio 2014, C-272/13, Equoland), che della Suprema Corte (da ultimo v. in particolare Cass. n. 15988 de12015, Cass. n. 16109 del 2015, Cass. n. 17815 del 2015; Cass. n. 10911 del 2016).

8.2. La sentenza Equoland, in particolare, ha confermato la piena compatibilità della legislazione e della giurisprudenza interna in tema di obbligatorietà dell’inserimento effettivo della merce nel deposito IVA, riconoscendo ai singoli Stati la possibilità di determinare le modalità con le quali fare operare il sistema del deposito fiscale dal quale derivare il beneficio dell’esenzione del pagamento dell’IVA ai sensi dell’art. 16, paragrafo 1, della sesta direttiva CEE, poichè “… spetta agli Stati membri determinare le formalità che il soggetto passivo deve adempiere al fine di poter beneficiare dell’esenzione dal pagamento dell’IVA in base alla suddetta disposizione…”.

Con riguardo, specificamente, alla normativa nazionale, ha poi aggiunto che “… il legislatore italiano ha previsto che, al fine di poter beneficiare dell’esenzione dal pagamento dell’IVA all’importazione, il soggetto passivo abbia l’obbligo di introdurre fisicamente la merce importata nel deposito fiscale, poichè si presume che tale presenza fisica garantisca la successiva riscossione dell’imposta.”, obbligo che ha carattere formale ma è rilevante in quanto “… è atto a permettere di conseguire efficacemente gli obiettivi perseguiti”, senza eccedere “quanto necessario per conseguire i suddetti obiettivi”.

8.3. Diversa la soluzione, invece, quanto all’assolvimento dell’IVA nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile mediante autofatturazione che “… consente di contrastare l’evasione e l’elusione fiscale” sicchè la richiesta “di un nuovo pagamento dell’IVA già assolta, senza che tale secondo pagamento conferisca un diritto di detrazione, non può considerarsi conforme al principio di neutralità dell’IVA”.

La Corte europea, dunque, non ha ritenuto che la differenza fra IVA all’importazione e IVA interna possa impedire l’assolvimento della prima per effetto dell’autofatturazione in sede di estrazione.

8.4. L’introduzione solo virtuale nel deposito fiscale della merce importata comporta, invero, che l’IVA era dovuta al momento dell’importazione sicchè il pagamento mediante il meccanismo dell’inversione contabile costituisce un adempimento tardivo dell’imposta sul valore aggiunto.

Tale versamento tardivo, tuttavia, in mancanza di un tentativo di frode o di danno al bilancio dello Stato, integra solo una violazione formale che non può rimettere in discussione il diritto a detrazione del soggetto passivo, sicchè una sanzione che si traduca in un diniego del diritto a detrazione non è conforme alla sesta direttiva.

8.5. In applicazione degli enunziati principi si può dunque affermare:

a) E’ conforme a legge la statuizione che ha ribadito la necessità dell’effettivo inserimento della merce nel deposito IVA.

La necessità dell’esistenza di appositi spazi destinati alla custodia dei beni si desume, anzitutto, dall’esplicito riferimento ai locali contenuto nell’art. 50-bis, comma 1 nonchè dalla necessità ivi prevista – comma 4, lett. a) – che i beni vengano materialmente introdotti nel deposito. Anche il comma 6, laddove descrive le operazioni di “estrazione” dei beni dal deposito IVA ai fini della loro utilizzazione presuppone ineludibilmente il materiale inserimento della merce in deposito, potendosi interpretare solo in tal senso la norma ove considera gli acquisiti operati sui beni prima dell’estrazione “durante la giacenza fino al momento dell’estrazione”. Il comma 5, infine, prevede che i controlli doganali si effettuino attraverso la “vigilanza dell’impianto”. Nell’istanza di autorizzazione, del resto, i soggetti legittimati a gestire il deposito devono previamente individuare i locali di cui hanno la disponibilità destinati alla custodia dei beni loro affidati (D.M. n. 419 del 1997, art. 2, comma 3) e l’art. 4, lett. h) dello stesso D.M. ha previsto la possibilità di eseguire le eventuali manipolazioni usuali necessarie ad assicurare la conservazione dei beni medesimi nei locali limitrofi a quelli ordinariamente impiegati per la custodia delle merci in regime di deposito IVA, considerando dunque indispensabili i primi.

b) Non appare utile investire nuovamente la Corte di Giustizia con una nuovo rinvio pregiudiziale.

8.6. Con specifico riguardo al regime sanzionatorio, poi, questa Corte, con ormai numerose decisioni (Cass. n. 16109 del 2015; Cass. n. 17814 del 2015; Cass. n. 10911 del 2016), nell’applicare i suesposti principi della giurisprudenza unionale, ha ritenuto che in tema di depositi fiscali, previsti dal D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis conv., con modif., nella L. n. 427 del 1993, la sanzione applicabile all’importatore che si avvalga del sistema di sospensione del versamento dell’IVA senza immettere materialmente la merce nel deposito, va individuata, in assenza di disposizioni sanzionatorie speciali per l’omesso o ritardato versamento del tributo, non rinvenibili nè nel D.P.R. n. 43 del 1973 nè nel Regolamento CEE n. 2913 del 1992 (codice doganale comunitario), nel D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 13 che è norma di carattere generale, la cui applicazione, peraltro, alla luce della sopra citata decisione della Corte di Giustizia, non può comportare una determinazione della sanzione che ecceda il limite necessario per assicurare l’esatta riscossione ed evitare l’evasione.

Tale indicazione va pertanto riferita anche alla sanzione come rideterminata dall’Amministrazione.

La sentenza, che ha confermato la sanzione irrogata dall’ufficio, va conseguentemente cassata, con rimessione al giudice del rinvio perchè valuti, alla luce anche dell’avvenuta sua rideterminazione ad opera dell’Amministrazione doganale, la proporzionalità della sanzione.

9. Il quinto motivo è infondato.

Affinchè si configuri il vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. n. 16788 del 2006, Cass. n. 10696 del 2007, Cass. n. 24458 del 2007, Cass. n. 20311 del 2011; Cass. n. 17956 del 2015). Nello specifico, la domanda è stata respinta in maniera espressa e nel suo insieme, con implicita motivazione di rigetto di ogni pretesa del contribuente diretta a dichiarare illegittima la pretesa fiscale.

10. Il ricorso va conseguentemente accolto nei termini di cui in motivazione e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla CTR della Toscana, in diversa composizione, la quale si atterrà ai principi di diritto sopra esposti, provvedendo altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie, nei termini di cui in motivazione, il primo, il secondo, il terzo e il quarto motivo; rigetta il quinto motivo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Toscana, in diversa composizione, cui rimette anche per la liquidazione delle spese di legittimità.

Così deciso in Roma, il 7 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2017

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