Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6750 del 15/03/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 15/03/2017, (ud. 28/02/2017, dep.15/03/2017),  n. 6750

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 17641/2012 R.G. proposto da:

CON.BIO s.r.l., rappresentata e difesa dall’Avv. Massimo Landi,

elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma al viale

delle Milizie n. 22, per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma alla via dei

Portoghesi n. 12 domicilia ex lege;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Emilia Romagna n. 73/20/11 depositata il 21 luglio 2011;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 28 febbraio 2017

dal Consigliere Enrico Carbone;

Udito l’Avv. Massimo Landi per la ricorrente;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

In rigetto dell’appello proposto da CON.BIO s.r.l. e a conferma della decisione di prime cure, la Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna dichiarava legittimo l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società – esercente attività di produzione e commercio di alimenti biologici – per la rettifica induttiva dei ricavi sull’anno d’imposta 2004.

Il giudice d’appello ribadiva la valutazione del primo giudice circa la sostanziale correttezza dell’accertamento analitico-induttivo.

La società contribuente ricorre per cassazione sulla base di tre motivi.

L’Agenzia delle entrate resiste mediante controricorso.

Il Collegio ha deliberato di adottare la motivazione semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 570 del 1996, art. 1, comma 1, lett. d, L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 181, lett. b; il secondo motivo violazione e falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, comma 3, conv. L. n. 427 del 1993, nonchè omessa motivazione su punto decisivo.

Logicamente connessi, i motivi vanno scrutinati insieme: essi assumono che il giudice d’appello abbia errato nel ritenere legittimo l’accertamento analitico-induttivo per irregolare tenuta del libro degli inventari nei confronti di un’impresa soggetta al regime degli studi di settore, i cui ricavi non avevano mostrato gravi incongruenze rispetto ai parametri statistici.

1.1. I motivi sono infondati.

Da tempo è stata rimarcata l’autonomia tra accertamento standardizzato mediante studi di settore e accertamento analitico-induttivo (Cass., sez. un., 18 dicembre 2009, n. 26635, Rv. 610694): gli studi di settore costituiscono solo uno degli strumenti utilizzabili per l’accertamento induttivo, che può essere condotto anche sulla base del riscontro di gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche dell’attività d’impresa (Cass. 24 settembre 2014, n. 20060, Rv. 632351); pertanto, la corrispondenza del reddito dichiarato agli indici degli studi di settore non impedisce l’accertamento induttivo di un reddito maggiore (Cass. 14 dicembre 2012, n. 23096, Rv. 625131).

Nella specie – come attesta la sentenza d’appello -, l’ufficio accertatore ha proceduto a indagini sulla rotazione di magazzino e sulla durata delle scorte, effettuando altresì un campionamento largamente rappresentativo.

Per quanto detto circa l’autonomia dei tipi di accertamento, la soggezione dell’impresa al regime degli studi di settore non la affrancava da queste verifiche.

D’altro canto, la maggiore o minore gravità delle incongruenze dei ricavi dichiarati è oggetto di una valutazione di merito, qui insindacabile.

2. Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, comma 5, per aver il giudice d’appello ritenuto indeducibile il costo di prestazioni di consulenza.

2.1. Il motivo è infondato.

Premesso che si trattava di tre fatture dell’importo unitario di Euro 10.000,00 emesse dalla società BIOFARMS (pag. 10 di ricorso), il giudice d’appello ha ritenuto l’indeducibilità per assenza di riscontri documentali.

Egli ha aggiunto che “la natura delle prestazioni e soprattutto il costo – diecimila euro mensili – avrebbe reso necessaria maggiore accuratezza… “.

Con ogni evidenza, il giudice territoriale non ha inteso subordinare la deducibilità all’esistenza di una scrittura negoziale, ma ha solo valutato come insufficiente la prova indiretta riguardo ad una spesa ingente e ripetuta fra società.

La decisione non tradisce alcun error in iudicando, quindi, e piuttosto appare in linea col principio che grava il contribuente dell’onere e dei rischi circa la prova d’inerenza del costo ai fini della deducibilità dal reddito d’impresa (Cass. 8 ottobre 2014, n. 21184, Rv. 632824).

3. Il ricorso deve essere respinto e le spese regolate per soccombenza.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna CON.BIO s.r.l. a rifondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.200,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2017

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