Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 675 del 15/01/2020

Cassazione civile sez. I, 15/01/2020, (ud. 25/11/2019, dep. 15/01/2020), n.675

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26053/2018 proposto da:

A.K.P., elettivamente domiciliato in Roma, Via Barnaba

Tortolini 30, presso lo studio dell’avvocato Alessandro Ferrara, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Lorenzo Sari, in

forza di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno Commissione Territoriale Riconoscimento

Protezione Internazionale Milano;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3265/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 04/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/11/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 A.K.P. ha impugnato dinanzi al Tribunale di Milano il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente, cittadino del (OMISSIS), aveva raccontato di essere commerciante di abbigliamento, con un negozio a (OMISSIS), e di essere sposato e padre di due figlie; di essere membro del partito di opposizione (OMISSIS) dal 2010, per cui svolgeva compiti di propaganda politica con volantinaggio, con funzioni di caposquadra e di organizzatore di manifestazioni e scioperi contro il Governo, in mano al partito (OMISSIS); che il 24/4/2015 era stato prelevato e arrestato da agenti della polizia togolese, portato in gendarmeria e poi in una tenda militare nella foresta, dove era stato percosso, torturato e minacciato per ottenere i nomi di altri esponenti del suo partito; che era uscito ad evadere, fingendosi svenuto, e a raggiungere il Ghana; che anche il padre era stato rapito e torturato, fino alla morte sopraggiunta il (OMISSIS), al pari di altri esponenti del suo partito, morti o scomparsi senza lasciare traccia; di essere quindi emigrato dal Ghana, prima in Germania e quindi in Italia.

Il Tribunale di Milano con ordinanza del 9/6/2017 ha rigettato il ricorso, ritenendo la non sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

2. L’appello proposto da A.K.P. è stato rigettato dalla Corte di appello di Milano, con aggravio di spese, con sentenza del 4/7/2018.

3. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso A.K.P., con atto notificato il 10/9/2018, svolgendo tre motivi.

L’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituita in giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi da 1 a 5, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 11.

1.1. Il ricorrente deduce palese violazione del procedimento logico ermeneutico di valutazione della credibilità del richiedente la protezione internazionale, perchè la Corte di appello, trascurando la documentazione prodotta ed eludendo gli indici normativi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 con giudizio apodittico aveva dedotto la inverosimiglianza della storia di persecuzione narrata dal richiedente asilo sulla base di convinzioni meramente assertive fondate su di una mera intuizione.

1.2. La Corte di appello, a fronte della censura svolta dall’appellante in ordine alla mancata valorizzazione di alcuni elementi di prova da lui addotti (produzione dell’originale della sua tessera di iscrizione al partito (OMISSIS), fotografie che lo raffiguravano nel corso di manifestazioni di protesta dell'(OMISSIS), certificazione medica relativa al decesso del padre, mandati di comparizione della polizia del luogo) ha escluso che ingenerasse assenza di motivazione la mancata considerazione di ogni allegazione, prospettazione e argomentazione del ricorrente, osservando che la scelta nel senso della non credibilità operata dal Tribunale costituiva una fisiologica espressione del sindacato giudiziale.

Passando al merito della valutazione, la Corte milanese ha osservato che non rilevavano la prova dell’iscrizione al partito di opposizione, della partecipazione alle sue attività e della morte del padre, ma piuttosto la “configurabilità anche solo logica del contesto persecutorio” legittimante la protezione e ha sostenuto che proprio a tal proposito era stato emesso un giudizio di implausibilità in primo grado.

Secondo la Corte territoriale, il racconto del richiedente asilo era completamente inverosimile in tutta la parte relativa alla sua fuga dalla capanna nel bosco in cui era stato condotto dai suoi carcerieri per essere seviziato e torturato, al passaggio in mototaxi, al raggiungimento del Ghana e quindi all’emigrazione in Germania e poi in Italia, in ragione dell’assoluta implausibilità delle coincidenze favorevoli che avevano assistito la sua fuga e dei decisivi aiuti ricevuti in modo improbabile da soggetti non individuati.

1.3. La valutazione della credibilità soggettiva del richiedente non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, poichè incombe al giudice, nell’esercizio del potere-dovere di cooperazione istruttoria, l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto (Sez.6, 25/07/2018, n. 19716). Il giudice deve tuttavia prendere le mosse da una versione precisa e credibile, se pur sfornita di prova, perchè non reperibile o non esigibile, della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine; le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso (Sez.6, 27/06/2018, n. 16925; Sez.6, 10/4/2015 n. 7333; Sez.6, 1/3/2013 n. 5224).

Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 stabilisce che anche in difetto di prova, la veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere valutata alla stregua dei seguenti indicatori: a) il compimento di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) la sottoposizione di tutti gli elementi pertinenti in suo possesso e di una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente debbono essere coerenti e plausibili e non essere in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; d) la domanda di protezione internazionale deve essere presentata il prima possibile, a meno che il richiedente non dimostri un giustificato motivo per averla ritardata; e) la generale attendibilità del richiedente, alla luce dei riscontri effettuati.

Il contenuto dei parametri sub c) ed e), sopra indicati, evidenzia che il giudizio di veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere integrato dall’assunzione delle informazioni relative alla condizione generale del paese, quando il complessivo quadro allegativo e probatorio fornito non sia esauriente, purchè il giudizio di veridicità alla stregua degli altri indici di genuinità intrinseca sia positivo (Sez.6, 24/9/2012, n. 16202 del 2012; Sez.6, 10/5/2011, n. 10202).

Inoltre questa Corte ha di recente ribadito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, o come motivazione apparente, o come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 01; Sez. 6 – 1, n. 33096 del 20/12/2018, Rv. 652571 – 01).

Non sussiste pertanto la violazione di legge denunciata, poichè la Corte di appello ha escluso la credibilità soggettiva del racconto di persecuzioni a fondamento politico offerto dal richiedente sulla base di un accertamento di fatto assistito dal corredo di una motivazione esistente e attingente la soglia del “minimo costituzionale” e quindi non sindacabile in questa sede, ove non è consentito uno scrutinio sulla maggior o meno persuasività della valutazione operata dal giudice del merito.

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi da 1 a 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 11.

2.1. La Corte di appello era incorsa in motivazione apparente, se non perplessa, utilizzando un criterio di valutazione metagiuridico fondato sulla inverosimiglianza della narrazione a sua volta desunta dalla singolarità degli episodi riferiti.

Quanto rilevato nel p. 1.4. appare sufficiente a decretare il rigetto della censura, impostata apparentemente sub specie di vizio motivazionale di omesso esame; nè si può sostenere che il giudizio di totale inverosimiglianza della vicenda narrata sia irrazionale o metagiuridico, avendo la Corte di appello reputato complessivamente inverosimile una storia basata sul susseguirsi di una serie di coincidenze reputate altamente improbabili singolarmente e quindi ancor più improbabili nel loro complesso.

3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi da 1 a 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3.

3.1. La Corte di appello, pur riconoscendo l’esistenza in Togo di una dittatura silenziosa della famiglia G., ha escluso la sussistenza di un conflitto armato interno e di una situazione di violenza endemica indiscriminata, senza valutare la sostanziale violazione, grave e sistematica, dei diritti umani almeno nella prospettiva della tutela umanitaria.

3.2. La Corte territoriale ha esaminato la richiesta di protezione sussidiaria, dando atto dell’esistenza di una forma dittatoriale silenziosa della famiglia G., restia ad abbandonare il potere, e di un uso eccessivo della forza da parte della polizia nella repressione delle manifestazioni di protesta, ma ha escluso la configurabilità di un conflitto armato interno e di una condizione di violenza endemica con rischi indiscriminati per la popolazione.

Quanto alla domanda di protezione umanitaria, la Corte ha disatteso la richiesta perchè formulata solo genericamente senza la deduzione di una particolare situazione di vulnerabilità soggettiva personalizzata in capo al richiedente.

Il ricorrente con il motivo si limita a evidenziare una condizione di eccesso di violenza repressiva degli oppositori, priva però di concreta riferibilità alla sua persona, visto che la sua narrazione della vicenda personale e al suo impegno politico di oppositore del regime è stata giudicata inverosimile e non credibile dai Giudici del merito.

4. Il ricorso deve quindi essere respinto; nulla sulle spese in difetto di costituzione dell’Amministrazione intimata.

P.Q.M.

LA CORTE

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto che non sussistono, allo stato, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis sempre che l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non risulti revocata dal giudice competente.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 25 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020

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