Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6749 del 10/03/2020

Cassazione civile sez. lav., 10/03/2020, (ud. 09/10/2019, dep. 10/03/2020), n.6749

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24679/2015 proposto da:

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F. PAULUCCI

DE’ CALBOLI 9, presso lo studio dell’avvocato PIERO SANDULLI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANNUNZIATA FREDA;

– ricorrente –

contro

GUERRATO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo

studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati ALESSANDRO DI STEFANO, STEFANO FERRANTE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 419/2015 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 27/04/2015 r.g.n. 1311/2013.

Fatto

RILEVATO

che la Corte di Appello di Salerno, con sentenza pubblicata in data 27.4.2015, ha accolto il gravame interposto dalla Guerrato S.p.A., nei confronti di C.F., avverso la pronunzia del Tribunale della stessa sede n. 3049/2013, resa il 17.6.2013, ed in riforma di quest’ultima, ha rigettato la domanda proposta dal C. con il ricorso introduttivo del giudizio, diretta ad ottenere il versamento, da parte della società, della somma di Euro 40.929,92, oltre accessori, a titolo di residue spettanze derivanti dal rapporto di collaborazione commerciale intercorso tra le parti a far data dal 15.6.2002;

che la Corte di merito, per quanto ancora in questa sede rileva, ha ritenuto che, “anche a volere, con notevole sforzo ermeneutico, ritenere il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado sufficientemente rispettoso dei requisiti formali e contenutistici imposti ex art. 414 c.p.c., lo stesso risulta essenzialmente diretto a far valere pretesi diritti economici discendenti dall’Accordo di collaborazione commerciale stipulato tra le parti in data 15.6.2002 e non formalmente disdettato con riferimento alla aggiudicazione di due contratti di appalto presso l’USL (OMISSIS) di Matera nel 2006”; e che “fortemente dubbia appare, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, già la perdurante vigenza di tale contratto, avendo le parti, le quali possono novare il proprio assetto contrattuale anche “per facta concludentia” (cfr. Cass. n. 5399/1998 e n. 421/2006), stipulato un contratto a progetto decorrente dal 4.7.2006 poi concluso con conciliazione del 19.5.2008, quest’ultima peraltro coprente ogni “titolo azione o ragione anche indirettamente collegato alla vertenza di cui trattasi tra le medesime parti”. Contratto che appare incompatibile con quello precedentemente stipulato e, del resto, tale da non rendere distinguibile la riconduzione delle attività svolte nel primo anzichè nel secondo”;

che per la cassazione della sentenza ricorre C.F. articolando due motivi, cui la Guerrato S.p.A. resiste con controricorso;

che sono state comunicate memorie nell’interesse del C.; che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si deduce: 1) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 1362,1363 e 1965 c.c.”, per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto il carattere novativo della transazione, in contrasto con la volontà dichiarata dalle parti nel testo contrattuale, nonostante il C., nei giudizi di merito, avesse rimarcato la circostanza che l’attribuzione patrimoniale, riconosciuta per effetto della transazione, fosse relativa al solo rapporto di co.co.pro.; 2) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “vizi della motivazione in relazione all’omesso esame circa un fatto decisivo della controversia, che è stato oggetto della discussione”, perchè la sentenza impugnata sarebbe stata emessa senza tenere conto della situazione oggettiva risultante dagli atti e dall’istruttoria e, quindi, senza tenere conto di tutta la realtà processuale emersa nel corso di causa; ed inoltre, la valutazione delle risultanze probatorie operata dai giudici di seconda istanza non sarebbe congruamente motivata e presenterebbe profili di manifesta illogicità ed insanabile contraddizione in relazione a fatti decisivi della controversia;

che il primo motivo è inammissibile, in quanto non contesta la ratio decidendi, poichè la censura sollevata ha ad oggetto soltanto il carattere novativo della transazione, senza focalizzare la questione, pregnante, della natura novativa del contratto di collaborazione a progetto stipulato il 4.7.2006, (“poi concluso con conciliazione del 19.5.2008, quest’ultima peraltro coprente ogni “titolo azione o ragione anche indirettamente collegato alla vertenza di cui trattasi tra le medesime parti””: v. pag. 3 della sentenza impugnata), in ordine al cui “adempimento”, i giudici di appello hanno reputato che “l’attività del C. apparisse del tutto impalpabile e marginale” (v. pagg. 4 e 5 della sentenza): affermazione, questa, non incisa da alcuna doglianza del primo mezzo di impugnazione, che non censura neppure il punto della pronunzia in cui si sottolinea la genericità del ricorso introduttivo del giudizio (“anche a volere, con notevole sforzo ermeneutico, ritenere il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado sufficientemente rispettoso dei requisiti formali e contenutistici imposti ex art. 414 c.p.c., lo stesso risulta essenzialmente diretto a far valere pretesi diritti economici discendenti dall’Accordo di collaborazione commerciale stipulato tra le parti in data 15.6.2002 e non formalmente disdettato con riferimento alla aggiudicazione di due contratti di appalto presso l’USL (OMISSIS) di Matera nel 2006”: pag. 3 della sentenza);

che va, altresì, rilevato che non sono stati prodotti (e neppure indicati come documenti offerti in comunicazione nel ricorso per cassazione), nè trascritti, l’atto di gravame nel quale si assume che si sarebbe dato atto (così come “nel primo atto difensivo da parte del C.”, neppure questo offerto in comunicazione) della esistenza di un contratto di collaborazione commerciale del 15.6.2002, di un successivo contratto di co.co.pro. del 4.7.2006 e del verbale di conciliazione sindacale, sottoscritto in data 19.5.2008; neppure questi prodotti;

che, pertanto, l’articolazione del motivo viola il principio, più volte ribadito da questa Corte, che definisce quale onere della parte ricorrente quello di indicare lo specifico atto precedente cui si riferisce, in modo tale da consentire alla Corte di legittimità di controllare ex actis la veridicità delle proprie asserzioni prima di esaminare il merito della questione (Cass. n. 14541/2014). Il ricorso per cassazione deve, infatti, contenere tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed a consentire la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza che sia necessario fare rinvio a fonti esterne al ricorso e, quindi, ad elementi o atti concernenti il pregresso grado di giudizio di merito (cfr., tra le molte, Cass. nn. 10551/2016; 23675/2013; 1435/2013); per la qual cosa, questa Corte non è stata messa in grado di apprezzare la veridicità delle doglianze mosse al procedimento di sussunzione operato dai giudici di seconda istanza, che si risolvono, quindi, in considerazioni di fatto del tutto inammissibili e sfornite di qualsiasi delibazione probatoria (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 24374/2015; 80/2011);

che anche il secondo motivo è inammissibile: come, infatti, sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Orbene, poichè la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata pubblicata, come riferito in narrativa, il 27.4.2015, nella fattispecie si applica, ratione temporis, il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ma, nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia il vizio motivazionale non indica il fatto storico (Cass. n. 21152/2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare; nè, tanto meno, fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza “così radicale da comportare”, in linea con “quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della pronunzia per mancanza di motivazione”. E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza, rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale del giudice di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229/2015) che, nella specie, è stato condotto dalla Corte territoriale con argomentazioni logico-giuridiche del tutto congrue poste a fondamento della decisione impugnata;

che, inoltre, la censura formulata nel secondo mezzo di impugnazione tende, all’evidenza, ad una nuova valutazione delle prove, pacificamente estranea al giudizio di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014), poichè “il compito di valutare le prove e di controllarne l’attendibilità e la concludenza spetta in via esclusiva al giudice di merito”; per la qual cosa, “la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata, per omessa, errata o insufficiente valutazione delle prove, o per mancata ammissione delle stesse, non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito” (cfr., ex multis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014 citt.; Cass. n. 2056/2011); e, nella fattispecie, la Corte distrettuale – come rilevato innanzi – è pervenuta alla decisione impugnata attraverso un iter motivazionale del tutto condivisibile dal punto di vista logico-giuridico, anche in ordine alla valutazione dei mezzi istruttori addotti dalle parti (si vedano, in particolare, le pagine 4 e 5 della sentenza impugnata);

che, per tutto quanto innanzi esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile;

che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come specificato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 9 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2020

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