Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6748 del 15/03/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 15/03/2017, (ud. 28/02/2017, dep.15/03/2017),  n. 6748

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 9264/2012 R.G. proposto da:

D.B.P., rappresentata e difesa dall’Avv. Giorgio

Sagliocco, elettivamente domiciliata in Roma alla via Carlo

Mirabello n. 26 presso lo studio dell’Avv. Pasquale Iannuccilli, per

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma alla via dei

Portoghesi n. 12 domicilia ex lege;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania n. 270/39/11 depositata il 16 novembre 2011;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 28 febbraio 2017

dal Consigliere Enrico Carbone;

Udito l’Avv. Fabrizio Urbani Neri per la controricorrente;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

In accoglimento dell’appello erariale e riforma della sentenza di primo grado, la Commissione tributaria regionale della Campania dichiarava legittimo l’avviso di accertamento emesso nei confronti di D.B.P. – titolare di commercio al dettaglio di confezioni d’abbigliamento – per la rettifica del volume d’affari sull’anno d’imposta 2005.

Il giudice d’appello affermava la legittimità dell’accertamento induttivo fondato sullo scostamento reddituale dallo studio di settore e corroborato da ulteriori elementi indiziari, ritenendo congrua l’applicazione in rettifica di un ricarico del 40%.

La contribuente ricorre per cassazione sulla base di due motivi.

L’Agenzia delle entrate resiste mediante controricorso.

Il Collegio ha deliberato di adottare la motivazione semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione del D.L. n. 331 del 1993, artt. 62-bis e 62-sexies, L. n. 146 del 1998, art. 10 nonchè illogica e insufficiente motivazione circa fatto controverso e decisivo, per aver il giudice d’appello ritenuto legittimo l’impiego dello studio di settore, senza chiarire quali ulteriori elementi sostenessero la rilevanza indiziaria dello scostamento reddituale.

1.1. Il motivo è infondato.

Come ammette lo stesso ricorso (pag. 1-2), l’avviso di accertamento non ha valorizzato soltanto l’anomalia reddituale evidenziata dallo studio di settore, ma ha posto in luce circostanze ulteriori e specifiche, quali numero e ubicazione dei punti-vendita, notorietà dei marchi commerciati, disallineamento tra fatture di acquisto e prezzi di vendita.

Il giudice d’appello ha richiamato questi “dati contabili ed extracontabili”.

La deviazione dallo studio di settore è stata legittimamente considerata alla stregua di uno tra i mezzi dell’accertamento induttivo, in concorso con l’incongruenza dei ricavi evincibile dalle specifiche caratteristiche dell’attività d’impresa (Cass. 24 settembre 2014, n. 20060, Rv. 632351).

2. Il secondo motivo di ricorso denuncia omissione di pronuncia, per aver il giudice d’appello pretermesso le questioni a lui riproposte dalla contribuente circa la mancata instaurazione del contraddittorio precontenzioso e l’anormalità del periodo d’imposta per effetto di un furto di merce aziendale.

2.1. Il motivo è infondato.

La sentenza d’appello dà atto che vi è stato contradditorio a fini adesivi e che l’avviso di accertamento ha considerato il furto di merce (peraltro di modesto importo): disattendendo “le circostanze indicate dal contribuente appellato” e definendole inidonee a “condizionare” l’attività verificata, il giudice d’appello ha reso pronuncia, seppur brevemente motivata.

D’altronde, il vizio di omessa pronuncia esige la completa mancanza del provvedimento, in ciò distinguendosi dal vizio di inidonea motivazione (Cass. 17 luglio 2007, n. 15882, Rv. 598651; Cass. 18 giugno 2014, n. 13866, Rv. 631333).

3. Il ricorso deve essere respinto e le spese regolate per soccombenza.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna D.B.P. a rifondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.200,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2017

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