Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6742 del 15/03/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 15/03/2017, (ud. 28/02/2017, dep.15/03/2017),  n. 6742

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 8078/2012 R.G. proposto da:

GIDIEMME Srl, rappresentata e difesa dall’Avv. Ruggero STENDARDI, con

domicilio eletto presso di lui, in Roma, Corso Italia, n. 19, giusta

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Piemonte n. 83/36/11, depositata il 18 ottobre 2011.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 28 febbraio 2017

dal Cons. Giuseppe Fuochi Tinarelli;

udito l’Avv. Pietro Garofoli che si riporta al ricorso;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Sorrentino Federico, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

L’Agenzia delle entrate di Torino sulla base degli studi di settore per l’anno d’imposta 2004 emetteva avviso di accertamento nei confronti della società Gidiemme Srl, esercente attività nel settore delle vendite all’ingrosso, in qualità di distributore, di macchine per ufficio e accessori, determinando maggiori ricavi per 481.468,00 Euro ai fini IRES, IRAP ed IVA.

La Commissione tributaria provinciale di Torino accoglieva il ricorso del contribuente ritenendo infondata la pretesa fiscale. Sull’appello dell’Agenzia delle entrate, peraltro, la decisione era riformata dalla Commissione tributaria regionale del Piemonte.

Ha proposto ricorso per cassazione il contribuente con sette motivi, cui resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.

Il collegio delibera l’utilizzazione di motivazione semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. Con il primo motivo la contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, la violazione o falsa applicazione dell’art. 145 c.p.c., D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 58 e 60 per inesistenza della notifica dell’avviso di accertamento, rilevabile d’ufficio, con conseguente inefficacia ed inopponibilità dello stesso.

Rileva, in particolare, che l’atto venne notificato presso indirizzo del tutto estraneo alla società, ivi ricevuto da persona genericamente qualificata come “al servizio del destinarlo”.

2.1. Il motivo è inammissibile.

La doglianza, infatti, ha ad oggetto un profilo lamentato per la prima volta in sede di legittimità, senza che la parte abbia indicato ove eventualmente sia stato in precedenza dedotto.

Il ricorso introduttivo, del resto, risulta ritualmente proposto.

3. Con il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per inesistente e/o omessa motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, per essersi la CTR, quanto all’applicabilità dello studio di settore, limitata ad una mera enunciazione (“l’applicazione degli studi di settore”).

3.1. Il motivo, prima ancora che infondato, è inammissibile.

E’ infatti inammissibile il motivo di ricorso nel cui contesto trovino formulazione, al tempo stesso, una pluralità di profili relativi ad una questione e, dunque, censure aventi ad oggetto violazione di legge e vizi della motivazione nonchè, come nella specie, anche per error in procedendo (v. tra le altre Cass. n. 21611 del 2013; Cass. n. 18021 del 2016).

Va comunque sottolineato che la CTR, nel valutare gli elementi probatori allegati dalla parte, ha affermato la loro inidoneità “a giustificare lo scostamento rilevato dall’ufficio”, così ritenendo la piena operatività e validità dello studio di settore applicato.

4. Con il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, la violazione dell’art. 112 c.p.c. ed omessa motivazione in riferimento all’inammissibilità dell’appello per mancata produzione/apposizione della procura sull’originale dell’atto D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 22 rilevando che sul ricorso in appello non risulta apposta alcuna delega e/o procura del Direttore provinciale al funzionario, che, quale difensore, sottoscriveva il ricorso nella sua dichiarata qualità di “Capo Area Legale”.

4.1. Il motivo è infondato.

E’ vero, in effetti, che la CTR non ha esplicitamente disatteso l’eccezione sollevata dal contribuente in appello.

Il giudice di merito, il quale era ben conscio della questione avendola riportata tra le controdeduzioni della parte, nel decidere l’appello ha, peraltro, implicitamente ritenuto l’infondatezza dell’eccezione essendo il ricorso sottoscritto dal dirigente dell’Area Legale.

Tale soluzione, del resto, è conforme a diritto atteso che, come ripetutamente affermato dalla Corte, “In tema di contenzioso tributario, la sottoscrizione dell’atto di appello, pur non competendo ad un qualsiasi funzionario sprovvisto di specifica delega da parte del titolare dell’Ufficio, deve ritenersi validamente apposta quando proviene dal funzionario preposto al reparto competente, poichè la delega da parte del titolare dell’Ufficio può essere legittimamente conferita in via generale mediante la preposizione del funzionario ad un settore dell’Ufficio con competenze specifiche (nella specie il settore del contenzioso)” (Cass. n. 13908 del 2008; da ultimo v. Cass. n. 20628 del 2015).

5. Con il quarto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, la violazione dell’art. 112 c.p.c. e omessa motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio per non aver la CTR esaminato il motivo relativo alla nullità insanabile dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione, in particolare per non aver preso posizione sulle deduzioni offerte dal contribuente nel previo contraddittorio.

5.1. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.

Va rilevato, in primo luogo, che il ricorrente ha omesso, innanzitutto, di indicare e riprodurre le specifiche doglianze con le quali, in sede di appello, aveva censurato l’omessa motivazione e aveva riproposto il dedotto vizio dell’avviso di accertamento.

Considerato, poi, che non è contestato che il contraddittorio è stato regolarmente instaurato e il ricorrente ha potuto dedurre le proprie ragioni in tale sede e che, infine, l’Ufficio, ha ritenuto non rilevanti tali ragioni e non le ha accolte, la doglianza si incentra sul tenore della motivazione con cui l’Agenzia ha ritenuto di non accogliere quanto da esso sostenuto; su tale punto, peraltro, il ricorrente ha omesso di indicare e riprodurre gli atti, e, in ispecie, lo stesso avviso di accertamento, da cui sarebbe dovuta emergere, in ipotesi, la dedotta insufficienza e inadeguatezza motivazionale.

6. Con il quinto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, dell’art. 112 c.p.c. e omessa motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio per non aver la CTR esaminato il motivo relativo alla nullità dell’avviso di accertamento per violazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3, conv. nella L. n. 427 del 1993, sotto il profilo dell’esistenza o meno della grave incongruenza tra ricavi dichiarati e ricavi risultanti dall’applicazione parametrica.

6.1. Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente, anche con riguardo a tale motivo, ha omesso di riprodurre le specifiche doglianze con le quali, in sede di appello, aveva censurato l’omessa motivazione e aveva riproposto il dedotto vizio dell’avviso di accertamento in ordine alla assenza di gravi incongruenza tra ricavi dichiarati ed accertati, e tale mancanza costituisce già di per sè ragione di inammissibilità

Va peraltro osservato che la CTR ha ritenuto sussistente uno scostamento tale da giustificare l’accertamento, sì da considerare le dichiarazioni del contribuente in relazione ad esso seppure le abbia valutate inidonee a contrastare quanto rilevato dall’Ufficio, sicchè non ricorre il lamentato difetto di omessa motivazione.

Le doglianze dedotte, in ogni caso, prefigurano, in realtà, una ulteriore e alternativa lettura delle risultanze di fatto, contrapposta a quella del giudice di merito, in vista di una nuova autonoma ricostruzione dei fatti da parte della Corte, in sè inammissibile.

7. Con il sesto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, l’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso per il giudizio sull’attribuzione dell’onere della prova, nonchè la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38, 39 e 42 e art. 2697 c.c. in tema di ripartizione dell’onere della prova per aver la CTR ritenuto onere del contribuente provare gli elementi che inficiavano la pretesa erariale a fronte dell’inadeguata prova da parte dell’Amministrazione fiscale.

7.1. Il motivo è infondato.

In disparte le ragioni di inammissibilità del motivo per il cumulo dei profili dedotti, tanto più rilevante nella specie poichè le diverse prospettazioni – il vizio di falsa applicazione della legge (che si risolve in un giudizio sul fatto contemplato dalle norme di diritto positivo applicabili al caso specifico) e il vizio per incongruità della motivazione (che comporta un giudizio sulla ricostruzione del fatto giuridicamente rilevante) – sono strettamente tra loro intrecciate, la doglianza è comunque infondata.

L’accertamento mediante ricorso agli studi di settore, infatti, determina una inversione dell’onere della prova, ponendosi in capo alla parte la dimostrazione, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, della sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato (Cass. n. 14288 del 2016).

Il ricorrente contesta l’inadeguatezza della prova della pretesa erariale raggiunta con lo studio di settore, ma tale contestazione, peraltro già disattesa, non può comunque tradursi nella richiesta nei confronti dell’Amministrazione finanziaria di ulteriori elementi indiziari a fronte della avvenuta personalizzazione conseguente all’instaurato contraddittorio.

In ogni caso, per quanto rileva, la CTR, con valutazione qui non censurata, ha escluso che le dichiarazioni del contribuente fossero idonee ad inficiare lo scostamento rilevato dall’Agenzia.

8. Con il settimo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e la falsa applicazione della L. n. 146 del 1998, art. 10 e della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 410, della L. n. 212 del 2000, art. 3 nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38, 39 e 42 e art. 2697 c.c., per l’errata individuazione del triennio nel quale individuare i due esercizi consecutivi non congrui – il triennio 2002-2004 anzichè quello 2006-2004 – essendo stata estesa l’applicabilità dell’accertamento mediante studi di settore solo dalla L. n. 311 del 2004 cit..

8.1. Il motivo è infondato.

La questione ha ad oggetto l’applicabilità generalizzata dello strumento degli studi di settore alle imprese in contabilità ordinaria.

In tale ambito la disciplina di rilievo è costituita dalla L. n. 146 del 1998, art. 10, comma 2, come modificato dalla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 410, secondo il quale “Nei confronti degli esercenti attività d’impresa in regime di contabilità ordinaria, anche per effetto di opzione, e degli esercenti arti e professioni, la disposizione del comma 1 trova applicazione quando in almeno due periodi d’imposta su tre consecutivi considerati, compreso quello da accertare, l’ammontare dei compensi o dei ricavi determinabili sulla base degli studi di settore risulta superiore all’ammontare dei compensi o ricavi dichiarati con riferimento agli stessi periodi di imposta. La disposizione del comma 1 trova applicazione in ogni caso nei confronti degli esercenti attività d’impresa in regime di contabilità ordinaria, anche per effetto di opzione, quando emergono significative situazioni di incoerenza rispetto ad indici di natura economica, finanziaria o patrimoniale, individuati con apposito provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, sentito il parere della commissione di esperti di cui al comma 7”.

Il testo previgente, invece, statuiva la possibilità del ricorso allo strumento standardizzato nei confronti dei soli “esercenti attività d’impresa in regime di contabilità ordinaria per effetto di opzione” e non illimitatamente;

Rileva, infine, della L. n. 311 del 2004, il comma 411 che ha individuato l’ambito di efficacia del nuovo testo a partire “dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2004”.

Va anche evidenziato che, sia nel testo previgente che in quello modificato, la possibilità di dare corso allo strumento standardizzato presuppone che “in almeno due periodi d’imposta su tre consecutivi considerati, compreso quello da accertare, l’ammontare dei compensi o dei ricavi determinabili sulla base degli studi di settore risulta superiore all’ammontare dei compensi o ricavi dichiarati con riferimento agli stessi periodi d’imposta”.

Orbene, nella fattispecie in esame l’accertamento ha riguardato l’anno d’imposta del 2004, sicchè legittimamente l’Amministrazione finanziaria, con riferimento al regime dell’impresa, ha fatto ricorso allo studio di settore, ed ha fatto ciò secondo le immutate modalità procedurali considerando un triennio d’imposta che includesse l’anno da accertare.

Occorre considerare, sul punto, che la non retroattività della modifica non può che riguardare il periodo d’imposta rispetto all’impiego degli studi di settore, non anche le modalità procedurali che presiedono al suo utilizzo.

Del resto, gli studi di settore sono strumento di accertamento, con cui si accertano imposte dovute e non imposte retroattivamente introdotte, sicchè possono essere utilizzati anche per accertare pure in bonis ove venga in rilievo uno studio più evoluto – anni precedenti (v. Cass. n. 23554 del 2015; Sez. U n. 26635 del 2009). Depone in tal senso, inoltre, al di là della natura procedurale dell’adempimento (suscettibile di immediata applicazione), sia il dettato della norma, che impiega il termine “determinabili” e non determinati (e dunque, non richiede che sia già stato redatto uno studio di settore), sia la mancata modifica della modalità nell’intervento normativo, sia infine, l’incongruenza che ne deriverebbe per l’inapplicabilità dello strumento fino alla piena decorrenza dell’anno d’imposta del 2006.

Ne consegue che “in tema di accertamento standardizzato, l’estensione generalizzata dell’applicabilità degli studi di settore alle imprese in regime di contabilità ordinaria operata dalla L. n. 146 del 1998, art. 10, comma 2, come modificato dalla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 410, è efficace, in forza della L. n. 311 cit., successivo comma 411, dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2004, potendosi considerare, ai fini del triennio nel quale individuare i due esercizi consecutivi non congrui, ferma la necessaria inclusione di quello da accertare, anche le annualità precedenti al 2004”.

4. Il ricorso, pertanto, va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre accessori di legge e spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2017

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