Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6741 del 01/03/2022

Cassazione civile sez. lav., 01/03/2022, (ud. 07/12/2021, dep. 01/03/2022), n.6741

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5476-2020 proposto da:

T.M., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato DAVIDE VERLATO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI (OMISSIS) –

SEZIONE DI (OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI

12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 3249/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 01/08/2019 R.G.N. 89/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/12/2021 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte di appello di Venezia ha confermato l’ordinanza del Tribunale della stessa città che aveva rigettato la domanda di protezione internazionale e umanitaria avanzata da T.M., cittadino senegalese della regione di (OMISSIS) e religione musulmana, espatriato per fuggire alle minacce di morte del fratello e del padre che pretendevano da lui i soldi per ricostruire un magazzino accidentalmente bruciato.

2. Per la cassazione della sentenza ricorre T.M. che articola due motivi. Il Ministero dell’Interno ha depositato memoria al solo fine di partecipare all’udienza di discussione. Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

3. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., e degli artt. 115 e 116 c.p.c., oltre che la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, commi 2 e 3, e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e c), e si deduce che la Corte di merito avrebbe rigettato le domande trascurando di procedere, come dovuto, ad acquisire informazioni in particolare sulla situazione di violenza e sull’esistenza di atti di terrorismo nella regione, sul funzionamento del sistema giudiziario, carcerario e sulla tutela dei diritti fondamentali rilevante anche ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria. Ugualmente carente sarebbe poi l’indagine sulla situazione sociale del paese con riguardo alla compromissione delle libertà fondamentali.

4. Con il secondo motivo di ricorso è denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio con riguardo alla protezione umanitaria chiesta, rispetto alla quale è denunciata la carenza di motivazione e l’errata valutazione e difetto di motivazione sull’integrazione in Italia del richiedente ed anche con riguardo alla sua vulnerabilità. Denuncia, inoltre, la violazione dell’art. 8 CEDU. In particolare deduce che la Corte di merito non avrebbe tenuto in alcun conto il periodo da lui trascorso in Libia, nel transito verso l’Italia.

5. Il ricorso è fondato e deve essere accolto.

5.1. Con riguardo alla protezione sussidiaria richiesta si deve rilevare che la Corte territoriale a fondamento della sua decisione di rigetto utilizza fonti internazionali che affrontano in generale il tema della situazione di violenza generalizzata in danno della popolazione civile del paese e non approfondisce affatto quello specifico devoluto della corruttibilità e affidabilità o meno situazione della polizia giudiziaria e del potere giudiziario, limitandosi apoditticamente a affermare che si trattava di questione di rilievo penale che avrebbe dovuto essere denunciata nelle sedi opportune, senza verificare se da fonti specifiche era possibile riscontrare la praticabilità o meno della tutela ordinaria come denunciato dal richiedente.

5.2. In tal modo il giudice di appello è venuto meno a quel dovere che su di lui incombeva di acquisire informazioni sullo specifico punto rilevante della narrazione del richiedente; è venuto meno al dovere di cooperazione istruttoria (Dir. n. 2013/32/UE, artt. 10/16, già Dir. n. 2005/85/CE; del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3; del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e art. 27), inteso come attività di cooperazione dello Stato con il richiedente asilo per determinare gli elementi significativi della domanda. Il dovere di cooperazione impone al giudice di acquisire da fonti attendibili informazioni complete, puntuali pertinenti e aggiornate sulle condizioni del Paese di origine, citando la fonte nel provvedimento giurisdizionale (Cass. n. 11096/2019; Cass. n. 25545/2020; Cass. n. 8819/2020; Cass. n. 13897/2019; sull’onere di allegazione si vedano Cass. n. 11103/2019 e Cass. n. 2355/2020).

6. Del pari è fondato il secondo motivo di ricorso atteso che effettivamente il giudice di appello ha del tutto trascurato di considerare il lungo periodo di tempo trascorso in Libia anche in regime di detenzione. Al riguardo va rammentato che con riguardo alla richiesta di permesso di soggiorno per motivi umanitari, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata alla situazione personale vissuta prima della partenza, a quella alla quale si troverebbe esposto in ipotesi di rimpatrio, ed anche a quella vissuta nel paese di transito se ne risulta (Ndr: testo originale non comprensibile), non potendosi tipizzare le categorie soggettive meritevoli di tale tutela che e’, invece, atipica e residuale, nel senso che copre tutte quelle situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello “status” di rifugiato o della protezione sussidiaria, tuttavia non possa disporsi l’espulsione (cfr. Cass. 27/07/2021 n. 21522 e 06/05/2020n. 8571). A ciò si aggiunga che ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre operare una valutazione comparativa tra la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine e la situazione d’integrazione raggiunta in Italia, attribuendo alla condizione del richiedente nel paese di provenienza un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nella società italiana, fermo restando che situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel paese originario possono fondare il diritto alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione in Italia; qualora poi si accerti che tale livello è stato raggiunto e che il ritorno nel paese d’origine renda probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare tali da recare un “vulnus” al diritto riconosciuto dalla Convenzione EDU, art. 8, sussiste un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per riconoscere il permesso di soggiorno (cfr. Cass. Sez U. 09/09/2021 n. 24413).

7. Alla luce delle esposte considerazioni la sentenza deve essere cassata e rinviata alla Corte di appello di Venezia che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 7 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2022

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