Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6734 del 01/03/2022

Cassazione civile sez. lav., 01/03/2022, (ud. 04/11/2021, dep. 01/03/2022), n.6734

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25658-2019 proposto da:

D.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TARANTO,

21, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO CORVASCE, rappresentato e

difeso

dall’avvocato PASQUALE NASCA;

– ricorrente –

contro

BARLETTA SERVIZI AMBIENTALI S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente, domiciliata in ROMA, VIA

PIETRO BORSIERI 3, presso lo studio dell’avv. DONNINI TIZIANA,

rappresentata e difesa dall’avv. Martire Vito;

– ricorrente –

avverso la sentenza n. 34/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata l’1/03/2019 R.G.N. 2954/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/11/2021 dal Consigliere Dott. FABRIZIA CARRI.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. D.C.A. convenne in giudizio la Barletta Servizi Ambientali s.p.a. (Bar. S.A. s.p.a.) ed espose di aver lavorato alle dipendenze della convenuta dal 2001 al 2004 in virtù di una serie di contratti a termine e di aver ottenuto in data 25.5.2009 una sentenza del Tribunale di Trani che, accertata l’illegittimità dei termini apposti ai contratti, ne aveva ordinato la riammissione in servizio con mansioni riconducibili al 3 livello del c.c.n.l. Nettezza Urbana.

2. Dedusse che la società era rimasta inottemperante all’ordine di reintegrazione e gli aveva proposto di riprendere a lavorare con mansioni inferiori riconducibili al 2 livello del c.c.n.l. citato. Stante l’inadempimento grave da parte della datrice di lavoro il D. non aderì all’invito a riprendere servizio ed in data 25.5.2011 venne perciò licenziato.

3. Ritenendo illegittimo il licenziamento, tardivamente intimato senza verificare la possibilità di ricollocare il lavoratore in mansioni diverse, il D. ne chiese l’annullamento.

4. Il Tribunale di Trani rigettò la domanda compensando le spese e la Corte di appello di Bari confermò la decisione di primo grado e condannò il ricorrente alle spese del giudizio di appello.

5. Il giudice di secondo grado – dopo aver precisato che la sentenza che aveva accertato la illegittimità dei termini apposti ai contratti aveva disposto la riammissione “con la qualifica e le mansioni indicate nei contratti richiamati” e non, come allegato dal lavoratore, nel terzo livello del ccnl nettezza urbana – rilevò che solo in due contratti il livello era il terzo mentre in altri, ed in particolare nell’ultimo, il livello contrattuale era il secondo.

6. Ritenne che a fronte di un non chiaro ordine giudiziale la Bar s.a. non poteva essere ritenuta inadempiente all’ordine di reintegrazione e rilevò che, anche ammesso l’inadempimento datoriale, questo non poteva giustificare comunque il rifiuto del lavoratore di riprendere servizio atteso che tale condotta, calata nelle concrete circostanze, risultava sorretta da buona fede e correttezza.

7. Osservò infatti che il comando giudiziale non era chiaro; che gli inviti a riprendere servizio erano stati ripetuti e numerosi; che non era stata specificatamente allegata la ragione e le circostanze concrete per le quali la ripresa del servizio in quelle mansioni avrebbe potuto essere pregiudizievole; che comunque l’ultimo contratto intercorso tra le parti era proprio per le mansioni di secondo livello offerte; che perciò il rifiuto risultava essere privo di giustificazione tenuto conto dell’allegata impossibilità di assegnarlo alle mansioni auspicate e svolte nel primo dei contratti a termine intercorsi tra le parti.

8. In definitiva la Corte di merito, ritenuta sussistente, in ragione della condotta tenuta dal lavoratore, la giusta causa posta a fondamento del licenziamento intimato, ne confermò la legittimità.

9. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso D.C. affidato a due motivi ai quali ha resistito con controricorso la Bar. S.A. s.p.a.. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

10. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 324 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c. e si deduce che in violazione del giudicato formatosi nel giudizio intercorso tra le stesse parti – conclusosi con sentenza del 25 maggio 2009 che aveva dichiarato illegittimi i termini apposti a contratti stipulati tra il 2001 ed il 2004 dalla Bar. S.A. s.p.a. e il D. – la Corte di merito pur avendo dato atto che il primo dei contratti il cui termine era stato ritenuto illegittimo aveva ad oggetto una prestazione da rendere con inquadramento nel terzo livello del contratto collettivo, ha poi contraddittoriamente ritenuto illegittimo il rifiuto opposto dal lavoratore a riprendere servizio nelle mansioni inferiori svolte successivamente ed in esecuzione di altri contratti. Osserva che una volta dichiarato illegittimo il termine apposto al primo dei contratti il rapporto deve essere costituito con riguardo all’inquadramento riconosciuto in quel contratto e conseguentemente era del tutto legittimo e giustificato il rifiuto opposto dal lavoratore a riprendere servizio in mansioni inferiori. Deduce che, diversamente opinando, si legittimerebbe una condotta datoriale posta in essere in violazione del giudicato.

11. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 92 c.p.c. e si deduce che la Corte di appello aveva condannato l’appellante a rifondere le spese alla società appellata senza verificare se sussistevano le gravi ed eccezionali ragioni che ne avrebbero giustificato la compensazione in linea con quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 77 del 2018.

12. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

12.1. Va ricordato in linea generale che in tema di giudicato esterno formatosi tra le stesse parti in un diverso giudizio, la deducibilità con ricorso per cassazione della violazione dell’art. 2909 c.c., ovvero del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), è possibile solo nel caso in cui il giudice di merito abbia erroneamente accertato ed interpretato il giudicato stesso (cfr. Cass. 14/08/2020 n. 17175). L’accertamento e l’interpretazione del giudicato (cosiddetto esterno) formatosi fra le stesse parti in un giudizio diverso da quello in cui ne è invocata l’efficacia, costituiscono attività istituzionalmente riservate al giudice di merito e possono essere oggetto di ricorso per cassazione sotto il profilo della violazione e falsa applicazione della norma dell’art. 2909 c.c. e dei principi di diritto in tema di elementi costitutivi della cosa giudicata, nonché per vizi attinenti alla motivazione, i quali, peraltro, vanno specificamente dedotti, non essendo sufficiente il mero richiamo all’art. 2909 c.c. o all’art. 324 c.p.c. e non possono comunque sollecitare – essendo i poteri della Suprema Corte limitati al sindacato di legittimità – indagini circa il contenuto sostanziale della pronuncia, la cui ricostruzione, risolvendosi in un apprezzamento di fatto, è demandata in via esclusiva al giudice di merito e resta incensurabile in sede di legittimità (cfr. Cass. 12/12/2006 n. 26523).

12.2. Tanto premesso rileva il Collegio che nel caso in esame il giudice di appello, al pari di quello di primo grado, ha ricostruito il contenuto della pronuncia passata in giudicato e ne ha dato una lettura che non trascura di prendere in esame gli elementi costitutivi del giudicato esterno formatosi tra le parti e, peraltro, non presenta nella sua ricostruzione profili di illogicità tali da poter essere censurati davanti a questa Corte coerentemente con la giurisprudenza su ricordata.

12.3. Inoltre il giudice di secondo grado ha evidenziato che la sentenza in base alla quale era stato costituito tra le parti un rapporto di lavoro a tempo indeterminato “non conteneva un chiaro ed inequivocabile capo condannatorio di riammissione in servizio del D. nel 3 livello Ccnl Nettezza Urbana” ed ha chiarito che in quella sentenza, genericamente, si era fatto riferimento alla “qualifica e mansioni indicate nei contratti innanzi richiamati”. L’interpretazione data dalla Corte di merito a quella decisione, della quale è stata evidenziata la scarsa chiarezza e l’idoneità ad essere suscettibile di più letture, è risultata funzionale, poi, nella decisione qui impugnata, per affermare che in tale contesto il rifiuto del lavoratore di riprendere servizio, seppure in mansioni diverse da quelle auspicate, ma pur sempre svolte nel corso del rapporto dipanatosi in più contratti a termine, non era sorretto da buona fede tenuto conto proprio delle circostanze particolari del caso concreto.

12.4. Orbene la censura che il ricorrente muove alla sentenza appunta le sue critiche esclusivamente sull’interpretazione del giudicato ma non censura l’autonoma ratio decidendi, su cui si fonda la sentenza, in base alla quale la Corte ritiene che, comunque, il reiterato inadempimento del lavoratore all’invito a riprendere servizio non era sorretto da buona fede, non potendo perciò trovare applicazione dell’art. 1460 c.c., l’u.c.. Per tale aspetto la censura oltre che infondata è ancor prima inammissibile.

13. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.

13.1. Premesso che la Corte territoriale si è limitata ad applicare la regola dettata dall’art. 91 c.p.c. che al comma 1 dispone che il giudice condanna la parte soccombente a rifondere le spese alla controparte, va comunque ribadito che la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà. Ne consegue che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (cfr. Cass. 26/04/2019 n. 11329).

14. In conclusione il ricorso va integralmente respinto e le spese del giudizio devono essere poste a carico del ricorrente soccombente e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato D.P.R., art. 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis, citato D.P.R., se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 4 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2022

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA