Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6731 del 10/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 10/03/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 10/03/2020), n.6731

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5935-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMET SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2678/2017 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

LECCE, depositata il 12/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/12/2019 dal Consigliere Dott. ALDO CRISCUOLO.

Fatto

RITENUTO

che:

L’AGENZIA DELLE ENTRATE ricorre, affidandosi a due motivi, per la cassazione della sentenza n. 2679/22/17 depositata in data 12.7.2017, con la quale la CTR della Puglia aveva respinto l’appello proposto avverso la decisione della CTP di Lecce che aveva accolto il ricorso con il quale la COMET s.r.l. aveva annullato l’avviso di accertamento n. LE 053357/2012 di determinazione del classamento e attribuzione di una nuova rendita catastale per un immobile della predetta s.r.l. sito in Lecce.

LA COMET s.r.l. non si è costituita.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo viene denunziata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione e falsa applicazione dell’art. 295 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 39, per non avere la CTR sospeso il giudizio dell’esito del giudizio pendente presso il Consiglio di Stato sulla legittimità degli atti a monte dell’avviso di classamento per cui è causa.

ritenuto che il motivo non è fondato in quanto la sentenza impugnata è stata pubblicata in un momento successivo all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 156 del 2015 in cui, quindi, non ricorreva più un’ipotesi di sospensione necessaria ai sensi dell’art. 295 c.p.c., essendo eventualmente applicabile l’art. 337 c.p.c., comma 2 che, in caso di impugnazione di una sentenza la cui autorità sia stata invocata in un separato processo, prevede soltanto la possibilità della sospensione facoltativa di quest’ultimo (Cass. n. 29553 del 2017): di conseguenza, anche a voler superare la considerazione che con il vizio denunziato non si censura l’art. 337 c.p.c., comma 2, resta il fatto che tale norma non obbliga il giudice a procedere alla sospensione (Cass. nn. 25766 del 2018; 23789 del 2018; 17413 del 2018; 17412 del 2018);

considerato che il processo tributario può essere sospeso ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 39, comma 1, che regola i rapporti tra processo tributario e processi non tributari (cd. pregiudizialità esterna) solo ove sia stata presentata querela di falso o debba essere risolta una questione sullo stato o sulla capacità delle persone diversa dalla capacità di stare in giudizio, ipotesi non ricorrenti nel caso di specie: tale norma dispone una deroga – in ipotesi predeterminate – al criterio secondo cui le questioni pregiudiziali son risolte “incidenter tantum” dal giudice munito di giurisdizione sulla domanda (Cass.nn. 25766 del 2018; 23789 del 2018; 999 del 2016);

che l’art. 39, successivo comma 1 bis – aggiunto dal D.Lgs. n. 156 del 2015, art. 9, comma 1, lett. o, a decorrere dal 1.1.2016 – (“La commissione tributaria dispone la sospensione del processo in ogni altro caso in cui essa stessa o altra commissione tributaria deve risolvere una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa”) non è evidentemente applicabile al caso di specie, essendo la pregiudizialità invocata rispetto al Consiglio di Stato (Cass. nn. 25766/2018; 23789/2018; 17413/2018; 17412/2018);

considerato che con il secondo motivo di impugnazione l’Agenzia delle Entrate denunzia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 335, – in quanto non sarebbe necessario indicare nell’atto di classamento specifiche caratteristiche dell’immobile – e della L. n. 212 del 2000, art. 7 – laddove intende l’avviso carente di motivazione pur se lo stesso richiama nella parte motiva il contenuto generale, il provvedimento di attivazione del procedimento revisionale nonchè le ragioni che hanno giustificato, nello specifico, il riclassamento effettuato -;

ritenuto che il motivo non è fondato in quanto, come già affermato da questa Corte con riferimento alla procedura di cui alla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 335, in relazione alla L. n. 212 del 2000, art. 7, “la revisione della classificazione di un immobile deve essere motivata in termini che esplicitino in maniera intellegibile le specifiche giustificazioni della riclassificazione concretamente operate” (Cass. nn. 25766/2018; 23789/2018; 11477/2018;

che, ancora, questa Corte ha affermato che in tema di estimo catastale, qualora il nuovo classamento sia stato adottato ai sensi della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 335, nell’ambito di una revisione dei paramenti catastali della microzona in cui l’immobile è situato, giustificata dal significativo scostamento del rapporto tra il valore di mercato e il valore catastale in tale microzona rispetto all’analogo rapporto sussistente nell’insieme delle microzone comunali, non può ritenersi congruamente motivato il provvedimento di riclassamento che faccia esclusivamente riferimento al suddetto rapporto e al relativo scostamento e ai provvedimenti amministrativi a fondamento del riclassamento, allorchè da questi ultimi non siano evincibili gli elementi (come la qualità urbana del contesto nel quale l’immobile è inserito, la qualità ambientale della zona di mercato in cui l’unità è situata, le caratteristiche edilizie del fabbricato) che, in concreto hanno inciso sul diverso classamento e ciò al duplice fine di consentire, da un lato al contribuente di individuare agevolmente il presupposto dell’operata classificazione ed approntare le consequenziali difese e, dall’altro, per delimitare, in riferimento a dette ragioni, l’oggetto dell’eventuale successivo contenzioso, essendo precluso all’Ufficio di addurre, in giudizio, cause diverse rispetto a quelle enunziate nell’atto (Cass. 25766/2010; 23789/2018; 17413/2018; 17412/2018; 8741/2018); nè può ritenersi sufficiente a tal fine il riferimento a non meglio precisati “interventi pubblici effettuati per la riqualificazione della viabilità interna e dell’arredo urbano” nonchè ad “interventi da parte dei privati per la ristrutturazione degli edifici”. E ciò anche considerando che l’attribuzione di una determinata classe è correlata sia alla qualità urbana del contesto in cui l’immobile è inserito (infrastrutture, servizi, ecc.), sia alla qualità ambientale (pregio o degrado dei caratteri paesaggistici e naturalistici) della zona di mercato immobiliare in cui l’entità stessa è situata, sia, infine, alle caratteristiche edilizie dell’unità stessa e del fabbricato che la comprende (l’esposizione, il grado di rifinitura, ecc.). Di talchè, le espressioni surriportate non sono tali da porre il contribuente in condizione di conoscere le concrete ragioni a base della pretesa impositiva, così da consentirgli sia di valutare l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale, sia, in caso positivo, di contestare efficacemente l’an ed il quantum debetur (Cass. 2576672018; 23789/2018; 22900/2017; 3156/2015);

considerato, inoltre, che secondo le Sezioni Unite, l’Agenzia competente deve specificare se il mutamento è dovuto ad una risistemazione dei parametri relativi alla microzona in cui si colloca l’unità immobiliare e, nel caso, indicare l’atto con cui si è provveduto alla revisione dei parametri relativi alla microzona, a seguito di significativi e concreti miglioramenti del contesto urbano (Cass. SU n. 7665/2016; in senso analogo 25766/2018; 23789/2018);

considerato, infine, che la Corte Costituzionale con la pronunzia n. 249 del 2017, ha da un lato affermato che “la scelta fatta dal legislatore con il censurato comma 335 (L. n. 311 del 2004, art. 1) non presenta profili di irragionevolezza (in quanto) la decisione di operare una revisione del classamento per microzone si basa sul dato che la qualità del contesto di appartenenza dell’unità immobiliare rappresenta una componente fisiologicamente idonea ad incidere sul valore del bene”, evidenziando però che “la natura e le modalità dell’operazione enfatizzano l’obbligo di motivazione in merito agli elementi che hanno, in concreto, interessato una determinata microzona, così incidendo sul diverso classamento della singola unità immobiliare; obbligo che, proprio in considerazione del carattere diffuso dell’operazione, deve essere assolto in maniera rigorosa in modo tale da porre il contribuente in condizione di conoscere le concrete ragioni che giustificano il provvedimento”;

ritenuto, pertanto, che il ricorso va respinto e, non essendosi costituito il contribuente, nulla va statuto in merito alle spese.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2020

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