Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6730 del 19/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 19/03/2010, (ud. 22/12/2009, dep. 19/03/2010), n.6730

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21633-2007 proposto da:

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO S.P.A., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA G. VERDI, presso lo studio dell’avvocato TURCO CHIARA, (c/o

l’Ufficio della Funzione Affari Legali e Societari), che lo

rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

A.L.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1402/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 11/08/2006 r.g.n. 6496/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/12/2009 dal Consigliere Dott. STEFANO MONACI;

udito l’Avvocato TURCO CHIARA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per improcedibilità in subordine

accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La controversia ha per oggetto la richiesta di un dipendente dell’Istituto Poligrafico Zecca dello Stato, il sig. A.L., il quale, dopo avere premesso di avere effettuato ore di lavoro straordinario ed obbligatorio, richiedeva la declaratoria del diritto al computo dei compensi relativi nelle indennità di anzianità e nel trattamento di fine rapporto, nonchè, dal 1982, il ricalcolo, in relazione ad esse, della retribuzione corrisposta per le mensilità aggiuntive e le ferie.

La richiesta veniva accolta dal giudice di primo grado, confermata da quello di appello.

Contro la sentenza di appello l’Istituto ha proposto, in termine, ricorso per cassazione con quattro motivi.

L’intimato non ha presentata difese in questa fase.

Il ricorrente, infine, ha depositato una memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Debbono essere esaminati per primi, perchè da risolvere sulla base di una considerazione di carattere preliminare, il terzo ed il quarto motivo di impugnazione.

Proprio per questo, del resto, i due motivi debbono anche essere trattati unitariamente.

Va precisato, per completezza, che nel terzo motivo in cui il ricorrente lamenta l’errata interpretazione del CCNL grafici anche in violazione e falsa applicazione dell’art. 2120 c.c. ed in correlazione all’art. 1322 c.c..

L’Istituto critica a questo proposito l’interpretazione, da parte del giudice di merito, del concetto di retribuzione normale, e della conseguente sua computabilità, o meno, nel TFR. Nel quarto motivo il ricorrerete deduce, invece, sul ricalcolo dei cosiddetti istituti collaterali, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1322 c.c. anche in relazione alla normativa collettiva applicabile alla fattispecie.

2. I due motivi contengono critiche all’interpretazione da parte del giudice del merito alle norme contrattuali collettive, e comportano perciò l’interpretazione di queste ultime. Proprio per questo sono inammissibili, perchè i contratti collettivi cui si richiama il ricorrente (ad eccezione, per la verità, di una prima “ipotesi di accordo” del 1974) sono stati riportati nel ricorso solamente per stralci più o meno ampi e non nel loro testo integrale;

Nè sono stati allegati nel ‘testo integrale, e neppure viene specificato che fossero già stati depositati nei fascicoli del giudizio di merito, appositamente ridepositati nel giudizio di cassazione per consentire al Collegio ogni opportuno riscontro. Si deve ritenere, invece, che, quando, in applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (nella sua nuova formulazione a seguito della modifica introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2) un ricorso per cassazione venga proposto per violazione falsa applicazione di norme dei contratti ed accordi collettivi nazionale di lavoro del settore privato (che, a differenza delle disposizioni normative in senso proprio e degli stessi contratti ed accordi collettivi del settore pubblico, non sono soggetti a forme ufficiali di pubblicità che ne garantiscano la conoscenza), il ricorrente non possa limitarsi a riportare semplici stralci idei testi con le norme che si assumono violate.

Come ritiene la giurisprudenza ormai maggioritaria e più convincente, occorre, invece, che il ricorrente depositi, o ridepositi, i contratti e/o gli accordi collettivi asseritamene violati nel loro testo integrale (in questo senso, per tutte, recentemente 5 febbraio 2009, n. 2855, e 2 luglio 2009, n. 15495).

3. Valgono in questo senso innanzi tutto due considerazioni di carattere decisivo.

Sul piano formale l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (anch’esso nella nuova formulazione introdotta dal già ricordato D.Lgs. n. 4 del 2006, art. 7), prevede espressamente l’obbligo di depositare, a pena di inammissibilità del ricorso, anche “i documenti, o contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”, senza prevedere la possibilità che il teso depositato possa essere parziale.

Dal punto di vista sostanziale il giudice deve essere posto in condizione di verificare non solo le singole norme collettive, ma interpretarle all’interno del testo complessivo dei contratti o accordi collettivi in cui sorto inserite.

Nel contesto complessivo, infatti, quelle norme possono acquisire un valore diverso.

4. Nel caso di specie Istituto, come si è detto, si limitato a riportare semplici stralci, èquesto è insufficiente, e non può valere ad escludere l’inammissibilità del ricorso, o, più esattamente, dei motivi di ricorso, che, come questo, richiedono un controllo delle fonti contrattuali collettive. Vale la pena di sottolineare, per opportuna chiarezza, che questa interpretazione rigida dell’obbligo di deposito dei contratti collettivi non si traduce in un formalismo fine a se stesso.

Anche astraendo dalla formulazione letterale del nuovo testo, già richiamato, dell’art. 369 c.p.c., se è vero che non si può escludere che in un caso specifico gli stralci riportati contengano tutte le norme contrattuali effettivamente rilevanti per la risoluzione del caso, è anche vero che non si può escludere neppure il contrario: il dubbio può essere risolto soltanto con la lettura del testo completo del contratto richiamato (oppure, dei contratti richiamati), e perciò, a maggior ragione, questo ultimi debbono necessariamente essere acquisiti nella loro interezza.

5. Nel primo motivo di impugnazione il ricorrente ripropone l’eccezione di prescrizione del diritto al computo della prescrizione sugli istituti di fine rapporto, nonchè l’insufficiente motivazione, la violazione e falsa applicazione della L. n. 297 del 1982, dell’art. 2120 c.c., comma 4 degli artt. 2934 e 2935 c.c..

Il motivo è infondato.

Il diritto all’erogazione del trattamento di fine rapporto nasce soltanto con la cessazione, del rapporto (prima si possono ottenere soltanto, ed a determinate condizioni, degli anticipi parziali).

Perciò la prescrizione del diritto al trattamento, e di quello al suo esatto computo, decorre soltanto dalla cessazione del rapporto.

6. Nel secondo motivo il ricorrente deduce, infine, l’omessa e comunque insufficiente e contraddittoria motivazione nella reiezione della domanda riconvenzionale eccezione di compensazione proposta dall’istituto e la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 2120 c.c., come modificato dalla L. n. 297 del 1982.

Il ricorrente critica l’interpretazione data dal giudice di merito all’accordo del 1974, per avere ritenuto che la clausola di riassorbibilità (di un maggior compenso consistente nell’erogazione di un compenso aggiuntivo consistente in un’ora di retribuzione) riguardasse soltanto i compensi di produttività, e non fosse ^collegabile alla effettuazione di lavoro straordinario ed alla ^erogazione di compensi correnti a fronte del suo svolgimento. ‘ Anche questo motivo è infondato.

L’accordo del 1974 configura semplicemente un compenso aggiuntivo riassorbibile, ma non espressamente collegato alla effettuazione di lavoro straordinario.

Non sussiste perciò nessuna ragione perchè questa previsione contrattuale incida sul calcolo del trattamento di Fine rapporto e dei vari istituti di retribuzione indiretta.

L’interpretazione che ne ha dato il giudice del merito appare convincente, mentre non è quella opposta del ricorrente, che presuppone, senza riscontri letterali, nè consequenzialità logica, che quel compenso aggiuntivo non fosse diretto a conseguire una maggiore produttività, ed a prevenire eventuali controversie relative al compenso stesso, ma fosse riassorbibile anche in caso di vertenze di altro genere, e specificamente di quelle relative alla inclusione nel calcolo dell’indennità di anzianità (e successivamente del TFR), dei compensi per lavoro straordinario.

Anche questa censura non può trovare accoglimento.

4. In conclusione, il ricorso non può che essere disatteso. Dato che l’intimato non ha presentato difese in questa fase, la Corte non deve provvedere sulle spese.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso. Nulla per spese.

Così deciso in Roma, il 22 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2010

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