Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6726 del 19/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 19/03/2010, (ud. 09/12/2009, dep. 19/03/2010), n.6726

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

RETE 7 S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore Arch.

M.P., elettivamente domiciliata in Roma, Via della

Camilluccia n. 785, presso lo studio dell’Avv. Chiola Claudio, che la

rappresenta e difende, unitamente all’Avv. Massimo Pozza del foro di

Torino, come da procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

L.L. – T.F. elettivamente domiciliati in Roma,

Via Tacito n. 50, presso lo studio dell’Avv. Cossu Bruno, che li

rappresenta e difende, congiuntamente e disgiuntamele, con l’Avv.

Marino Bin del foro di Torino per procura a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

per la cassazione della sentenza non definitiva della Corte di

Appello di Torino n. 1682/04 del 26.1 1.2004/23.12.2 004 nella causa

iscritta al n. 1355 R.G. 2003 e della sentenza definitiva della

stessa Corte di Appello n. 769/05 del 22.04.2005/30.05.2005 nella

causa iscritta al n. 1355 RG 2003;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

9.12.2009 dal Cons. Dott. Alessandro De Renzis;

udito l’Avv. Claudio Chiola per la ricorrente e l’Avv. Bruno Cossu

per i controricorrenti;

sentito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. PIVETTI Marco

che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con distinti ricorsi, depositati il 5.03.1999, L.L. e T.F. esponevano;

– di avere lavorato per la società RETE 7 rispettivamente dall'(OMISSIS), svolgendo le mansioni di (OMISSIS) e, quanto al L., anche mansioni di (OMISSIS);

– di essere divenuti nel (OMISSIS) soci della cooperativa Equipe e, poi, dal (OMISSIS), della Cooperativa Equipe Service, che l’aveva sostituta;

– di avere sempre fatto riferimento, nell’esercizio delle mansioni, al personale responsabile di Rete 7 e di avere utilizzato macchinari ed attrezzature della stessa società;

– che il rapporto per entrambi si era interrotto nel (OMISSIS) per iniziativa della società.

Ciò premesso, ritenuta la sussistenza della violazione della L. n. 1369 del 1960, art. 1 e del rapporto di lavoro subordinato con la S.r.l. Rete 7, chiedevano la condanna della società convenuta al pagamento delle differenze retributive in relazione al CCNL dipendenti radio televisioni private.

La Rete 7 costituendosi contestava le avverse deduzioni chiedendo il rigetto delle domande.

Riunite le due cause, dopo l’espletamento delle prove orali e di consulenza tecnica di ufficio contabile, il Tribunale di Torino con sentenza non definitiva del 2.01.2003 e con sentenza definitiva del 27.03.2003 accertava l’esistenza di interposizione fittizia di manodopera e quindi vietata tra la Coop. Equipe Service e la società Rete 7 e, conseguentemente, affermava che i soci della prima, L. e T., erano legati da rapporto di lavoro subordinato con l’appellante Rete 7. Venivano riconosciute differenze retributive per Euro 35.511,92 a favore del L. e di Euro 39.193,89 a favore del T..

Proposto appello principale da parte della Rete 7 ed appello incidentale da parte de L. e del T., la Corte di Appello di Torino con sentenza non definitiva n. 1682 del 2004 e con sentenza definitiva n. 769 del 2005 ha respinto l’appello principale e, in accoglimento di quello incidentale, ha condannato la Rete 7 al pagamento a favore del L. di Euro 58.588,45 e a favore del T. di Euro 52.760,87 oltre accessori.

Quanto all’appello principale, la Corte territoriale ha ritenuto la sua infondatezza confermando la ricostruzione del primo giudice in termini di interposizione vietata di mano d’opera, e ciò sulla base delle dichiarazioni dei testi escussi e del legale rappresentante della società appellante.

La stessa Corte ha ritenuto del tutto inconferenti le doglianze, rispetto alla dedotta mancata considerazione da parte del giudice di primo grado, dell’utilizzo – per l’esecuzione dell’appalto – di beni immateriali facenti parte della struttura aziendale della Coop Equipe Service, non essendo emerso – rispetto all’esperienza lavorativa già maturata dai soci della cooperativa nel settore televisivo – un quid plitris rispetto alle capacità lavorative del singolo.

Quanto all’appello incidentale, la Corte ha osservato che il prospetto riepilogativo prodotto da Rete 7 all’udienza del 26.09.2000 era privo di efficacia probatoria e di qualsiasi rilevanza ai fini della causa.

La Rete 7 ricorre contro le anzidette sentenze di appello sulla base di tre motivi.

Il L. e il T. resistono con controricorso.

Le parti hanno depositato rispettive memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente, nel lamentare violazione e falsa applicazione violazione della L. n. 1369 del 1960, art. 1 censura l’impugnata sentenza in ordine all’affermata sussistenza di intermediazione vietata di manodopera. In particolare sostiene che la sentenza impugnata ha ritenuto la sussistenza della fattispecie di cui alla richiamata norma, pur essendo pacifico che la cooperativa Equipe Service – erroneamente ritenuta interposta – utilizzasse per la realizzazione di servizi televisivi anche proprie attrezzature, anche se insieme ad attrezzature della Rete 7.

La ricorrente aggiunge che la sentenza impugnata avrebbe dovuto valutare non solo l’esistenza e la consistenza delle attrezzature della cooperativa, ma anche l’impiego da parte della stessa di propri beni immateriali (cd. know how).

Gli esposti rilievi sono privi di pregio, avendo la sentenza impugnata specificamente considerato entrambe le circostanze e in ordine alle stesse avendo motivato in modo dettagliato ed esaustivo.

Con riguardo alle attrezzature invero la sentenza afferma essere stato accertato – ed enuncia le fonti dell’accertamento nelle dichiarazioni del legale rappresentante della società appellante e dei testi escussi in primo grado – che l’entità e l’impiego delle attrezzature della cooperativa erano del tutto marginali ed irrisori.

Per quanto riguarda l’utilizzo dei beni immateriali la sentenza impugnata ha ritenuto, con motivazione immune da vizi logici e giuridici, che ai fini della valutazione del cd. know how come fattore immateriale della produzione, distinto dalla manodopera, le abilità e le conoscenze di quest’ultima assumano rilievo autonomo soltanto se hanno un quid puris rispetto alla mera capacità professionale dei lavoratori impiegati. Il che non è emerso nella fattispecie, in relazione alla quale il giudice di appello ha accertato la non sussistenza del conferimento da parte dell’appaltatore di know how, inteso come conoscenze attinenti alle tecniche industriali richieste per produrre un bene, per produrre un processo produttivo o per il corretto impiego di una tecnologia (si richiama al riguarda il regolamento CE 772/2004, che all’art. 1, lett. i) definisce il know how come un patrimonio di conoscenze e pratiche di uso non comune ma non brevettate, derivanti da esperienze e prove).

La ricorrente osserva ancora che la cooperativa operava anche in favore di altri soggetti, il che avrebbe dovuto condurre i giudici di merito ad escludere qualsiasi carattere di esclusività nel rapporto Rete 7, Equipe Service e a far rilevare il possesso da parte di quest’ultima di una autonoma capacità imprenditoriale. Anche tale profilo è stato esaurientemente valutato dalla sentenza impugnata, la quale ha rilevato che la L. n. 1369 del 1960, art. 1 non riguarda l’impresa interposta nella sua globalità, ma soltanto il rapporto tra appaltante – appaltatore con riferimento alla prestazione dei lavoratori impegnati nell’esecuzione dell’opera o del servizio in concreto appaltati.

D’altro canto l’indicazione dei soggetti terzi committenti non risponde a criteri di autosufficienza, caratterizzante il ricorso per cassazione, essendo generica e non sostenuta da elementi documentali.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione della L. n. 1369 del 1960, art. 3 nonchè vizio di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla mancata considerazione di quanto prospettato in via subordinata circa la riconducibilità della vicenda in esame nell’ambito del cd. appalto lecito, possedendo la cooperativa una propria autonoma organizzazione, costituente il tratto distintivo della fattispecie, e limitandosi la Rete 7 ad indicare, per il tramite dei propri giornalisti e della direzione, i servizi da svolgere e i luoghi delle riprese.

Questo motivo può ritenersi assorbito e superato per effetto e in conseguenza del rigetto del primo.

3, Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 116 c.p.c, e vizio di motivazione con riferimento alla statuizione della sentenza impugnata, che, in riforma di quella di primo grado, ha ritenuto non provata l’effettuazione di alcuni pagamenti risultanti da un prospetto riepilogativo depositato dalla società ricorrente all’udienza del 26.09.2000.

In particolare la censura è rivolta alla mancanza di motivazione circa la valutazione di non attendibilità delle dichiarazioni, a proposito di somme percepite dai due lavoratori rese da alcuni testi (in particolare S. e G.), considerate del tutto confuse e contraddittorie. La censura è infondata.

Secondo costante orientamento di questa Corte è devoluta al giudice di merito l’individuazione delle fonti del proprio convincimento e pertanto anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta – tra le risultanze probatorie – di quelle ritenute idonee ad accertare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro spessore probatorio, e on l’unico limite dell’adeguata e congrua motivazione del criterio adottato (ex plurimis Cass. sentenza n. 9834 del 1995; Cass. sentenza n. 10896 del 1998).

La Corte territoriale nel caso di specie ha fatto corretta applicazione del richiamato orientamento giurisprudenziale, dando conto delle dichiarazioni dei testi e ritenendo le stesse non attendibili per essere stati riferiti valori diversi nella seconda audizione rispetto a quelli indicati nella prima e comunque essendo gli stesi valori contrastanti con quelli indicati nell’anzidetto prospetto, pur esso ritenuto totalmente privo di efficacia probatoria.

3. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in Euro 57,00, oltre Euro 3.000/00 per onorari ed oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2010

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