Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6724 del 24/03/2011

Cassazione civile sez. III, 24/03/2011, (ud. 28/10/2010, dep. 24/03/2011), n.6724

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA SAN TOMMASO D’AQUINO 119, presso lo studio dell’avvocato

FAMIANI SALVATORE, rappresentato e difeso dall’avvocato GATTO PAOLO

giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.R. (OMISSIS), G.A.

(OMISSIS), G.D. (OMISSIS), G.

A. (OMISSIS), G.M. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA presso la CANCELLARIA DELLA CORTE

DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’Avv. CANGEMI LUIGI in

98123 MESSINA, Via Risorgimento 12, giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 581/2005 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

SEZIONE SECONDA CIVILE, emessa il 22/12/2005, depositata il

29/12/2005 R.G.N. 9/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/10/2010 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato GATTO PAOLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso con il rigetto del ricorso con

condanna alle spese.

Fatto

IN FATTO

F.R., insieme con gli eredi G. odierni controricorrenti, convenne S.M. dinanzi al tribunale di Messina, intimandogli sfratto per morosita’ da un terreno concessogli in locazione dal proprio dante causa, G.A..

Il giudice di primo grado accolse la domanda.

La sentenza fu impugnata dallo S. dinanzi alla corte di appello di Messina, la quale ne rigetto’ il gravame.

La decisione della corte territoriale e’ stata impugnata dall’appellante con ricorso per cassazione sorretto da 7 motivi di gravame, oltre ad un’ottava censura avente ad oggetto la disciplina delle spese processuali.

Resistono con controricorso F.R. e gli eredi G..

Diritto

IN DIRITTO

Il ricorso (che riproduce pedissequamente i motivi di appello gia’ rappresentati dinanzi alla corte territoriale) e’ infondato.

Con il primo motivo, si denuncia violazione dell’art. 420 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

La censura – che lamenta una pretesa omissione, da parte del giudice di primo grado (che procedeva con il rito del lavoro), della fissazione della udienza di discussione – e’ privo di pregio.

Esso si infrange, difatti, sul corretto impianto motivazionale adottato dalla corte d’appello nella parte in cui ha ritenuto che la norma di cui all’art. 420 era stata rettamente applicata in primo grado, non essendo esplicitamente prevista, nella specie, una apposita udienza di discussione, preceduta dalla precisazione delle conclusioni (come nel rito ordinario), disponendo la norma citata, di converso, che la causa sia decisa addirittura in prima udienza, se possibile.

Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 81 e 100 c.p.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

La censura – che lamenta una pretesa, mancata rilevazione della carenza di legittimazione attiva degli appellati – e’ anch’esso infondato.

Correttamente la corte territoriale ha desunto, in capo ad G. A., la qualita’ tanto di locatore quanto di dante causa degli attuali resistenti da una plurima congerie di univoche circostanze di fatto rifluite in una motivazione che, scevra da vizi logico – giuridici, si sottrae ad ogni censura in questa sede. Non senza considerare, ancora, che, vertendo la doglianza qui esaminata non su questione di legitimatio ad causam delle parti, bensi’ su quella della titolarita’ del rapporto sostanziale, la relativa eccezione andava provata dalla parte che l’aveva proposta, mentre (come correttamente rileva la corte territoriale) “il carattere meramente strumentale dell’eccezione e’ chiaramente desumibile dalla circostanza che lo S. non cura affatto di individuare il soggetto in assunto differente dal dante causa degli appellati col quale egli avrebbe stipulato 1 contratto e al quale avrebbe corrisposto il canone”. Anche questa argomentazione, corretta in punto di diritto, non merita censure, e va integralmente confermata.

Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1988 e 1321 c.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Il motivo – che ripete la doglianza svolta con il quarto motivo di appello, relativa alla mancata sottoscrizione del contratto di locazione da parte del G. ed alla conseguente, mancata sottoscrizione della clausola riguardante gli aggiornamenti ISTAT – non ha giuridico fondamento, avendo la corte messinese correttamente riconosciuto tranquillante efficacia probatoria alle due dichiarazioni sottoscritte dallo S. (f. 7 della sentenza oggi impugnata, che discorre del tutto correttamente, in proposito, di efficacia dichiarativo – ricognitiva unilaterale) che danno atto dell’avvenuta stipulazione del negozio e del contenuto delle singole clausole contrattuali.

Con il quarto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, art. 32 con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

La doglianza non puo’ essere accolta.

Decisiva, difatti, appare la considerazione svolta dalla corte messinese in ordine ai limiti di operativita’ della clausola di aggiornamento del canone – i soli immobili urbani -, ed alla carenza di qualsivoglia allegazione probatoria, da parte dell’odierno ricorrente (che per altro verso, in spregio al principio di autosufficienza del ricorso, non riporta, nemmeno in parte qua, il contenuto della clausola di cui lamenta la nullita’), dell’effettiva destinazione dell’immobile.

Con il quinto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 214 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

La censura e’ infondata, avendo la corte territoriale fatto buon governo del principio di diritto piu’ volte affermato da questa corte regolatrice in tema di tempestivo disconoscimento delle copie fotostatiche (ex multis, Cass. 15856/04), mentre del tutto incomprensibile risulta la doglianza svolta nella seconda parte del motivo, che lamenta una presunta, mancata prova dell’importo del canone dovuto dal conduttore, importo calcolato, viceversa, sulla base del contenuto di atti documentali e su basi di calcolo del tutto oggettive e certe.

Con il sesto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1455 c.c. L. n. 392 del 1978 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 33 e 5.

La doglianza e’ priva di pregio, avendo la corte di merito, con motivazione del tutto condivisibile, fondato il proprio convincimento di gravita’ dell’inadempimento avuto riguardo al calcolo degli importi dovuti e debitamente rivalutati (calcolo che la corte stessa dichiara non contestato specificamente nei suoi dati numerici), senza che il ricorrente, in quella sede e ancor oggi, abbia opposto alcuna valida argomentazione in diritto per confutare tale statuizione (del tutto conforme alla giurisprudenza di questa corte regolatrice: Cass. 7934/1991, tra le altre), statuizione che, per altro verso, e contrariamente a quanto oggi sostenuto, contiene anche un espresso riferimento al tema della prescrizione, confermando nonostante essa la gravita’ dell’inadempimento (f. 12 dell’impugnata sentenza).

Del tutto inammissibile appare, infine, il settimo motivo di doglianza, avendo la corte territoriale rettamente rilevato la formazione del giudicato sulla questione relativa al fallimento del locatore, mentre l’ottavo, relativo alle spese, non puo’, alla luce del principio della soccombenza correttamente applicato dalla corte messinese, trovare a sua volta accoglimento.

Il ricorso e’ pertanto rigettato.

La disciplina delle spese, improntata a sua volta al principio della soccombenza, segue come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 1700,00, di cui Euro 200,00 per spese generali.

Cosi’ deciso in Roma, il 28 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2011

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