Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6720 del 10/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 10/03/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 10/03/2020), n.6720

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. VECCHIO Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1971-2015 proposto da:

M.P.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE

ZEBIO 7, presso lo studio dell’avvocato LUCA PERONE, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIA PAOLA ROULLET;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DEL TERRITORIO in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2/2014 della COMM.TRIB.REG. di AOSTA,

depositata il 28/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/12/2019 dal Consigliere Dott. VECCHIO MASSIMO.

Fatto

RITENUTO

1. – La Commissione tributaria regionale della Valle di Aosta con sentenza n. 2/01/2014 del 10 marzo 2014, pubblicata il 28 maggio 2014, giudicando su rinvio della Corte suprema di cassazione – giusta ordinanza della Sezione VI, n. 15495 del 20 giugno 2013, di annullamento della sentenza della ridetta Commissione tributaria regionale n. 29/02/2009 del 16 ottobre 2009, depositata il 25 novembre 2009 – ha confermato la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Aosta n. 49/03/2008 di rigetto del ricorso proposto dal contribuente M.P.P., nei confronti della Agenzia del territorio, avverso l’avviso di accertamento in rettifica, con elevazione della categoria (A/1 contro A/2 proposta), notificato il 4 ottobre 2007, in relazione alla denunzia di variazione catastale dell’unità immobiliare del contribuente, sita in (OMISSIS) (e riportata in catasto al foglio 40, particella 244, subalterno 46).

2. – Il contribuente, mediante atto del 9 gennaio 2015, ha proposto ricorso per cassazione.

E, con memoria del 28 novembre 2019, ha insistito per l’accoglimento della impugnazione.

3. – L’Avvocatura generale dello Stato ha resistito mediante controricorsi del 13 e del 16 febbraio 2015.

Diritto

CONSIDERATO

1. – Dopo aver premesso che, colla ordinanza di annullamento con rinvio, la Corte suprema di cassazione aveva stabilito che, dovendo la Amministrazione finanziaria “fornire gli elementi di fatto giustificativi della propria pretesa”, spettava al giudice a quo procedere alla relativa valutazione ed “esprimersi sulla fondatezza del provvedimento impugnato, soffermandosi se la categoria e la classe attribuita (all’immobile) risultasse adeguatamente sostenuta dai dati indicati nella motivazione dell’atto”, la Commissione regionale tributaria ha motivato la conferma della sentenza appellata osservando quanto segue: “il fabbricato in cui insiste l’unità immobiliare di cui si discute, era precedentemente classato in categoria A/1”; il contribuente ha presentato la denunzia di variazione in seguito alla esecuzione di lavori di miglioria; “le migliorie apportate non sono da ritenersi peggiorative rispetto al precedente classamento”; altre unità immobiliari del medesimo edificio “risultano classate in categoria A/1”; l’avviso di accertamento risulta adeguatamente motivato.

2. – Il ricorrente sviluppa tre motivi di ricorso.

2.1 – Con il primo motivo denunzia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 violazione e falsa applicazione di norma di diritto in relazione alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7.

Deduce il ricorrente: la Commissione tributaria regionale ha disatteso le prescrizioni della sentenza di rinvio; la sentenza del giudice a quo è “totalmente carente di motivazione” in ordine alla eccezione di nullità dell’avviso di accertamento per vizio di motivazione; la Amministrazione finanziaria non ha dato conto della rettifica operata; la Commissione tributaria regionale ha omesso di verificare se la attribuzione della categoria catastale superiore fosse “adeguatamente sostenuta dai dati indicati nella motivazione dell’atto” e se l’Ufficio avesse adempiuto l’onere della prova relativa; la Commissione tributaria regionale ha, invece, “invertito l’onus probandi”; e ha violato la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1 che, richiamando la L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, prescrive l’obbligo della motivazione per gli atti di imposizione tributaria; tale obbligo non è adempiuto colla mera indicazione dei “dati oggettivi acclarati dall’ufficio”, ma esige la indicazione “delle ragioni” della rettifica del classamento proposto dal contribuente, affinchè questi possa tutelarsi in sede giurisdizionale.

Il ricorrente soggiunge che la circostanza che esso contribuente ” abbia potuto svolgere le proprie difese non vale a rendere sufficiente la motivazione ” dell’avviso di accertamento impugnato; oppone che nello stesso edificio ” diverse unità abitative “, di analoghe caratteristiche alla propria risultano accatastate sotto la categoria inferiore, siccome indicato nel corso del giudizio e non contestato ex adverso.

E conclude asserendo che “risulta evidente l’erroneità della sentenza oggetto in considerazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5”.

2.2 – Con il secondo motivo il ricorrente reitera la medesima censura.

2.3 – Con il terzo motivo il ricorrente denunzia congiuntamente (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e n. 5) “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso per il giudizio, relativamente alla esposizione del processo logico-deduttivo compiuto dal giudice nella valutazione probatoria e violazione e falsa applicazione della norme di diritto con riferimento alla mancata considerazione degli elementi forniti dall’appellante per la classificazione della unità immobiliare”.

La parte sostiene: l’Amministrazione finanziaria non ha adempiuto l’onere della prova “dei concreti elementi di fatto” atti sorreggere l’accertamento operato, nè ha esposto le relative “ragioni giuridiche”.

3. – Il ricorso è inammissibile.

3.1 – In ordine ai primi due motivi di impugnazione (da esaminarsi congiuntamente presentando di analogo contenuto) esattamente la controricorrente Avvocatura generale dello Stato ha eccepito che la relativa censura è stata disattesa, perchè ritenuta infondata, da questa Corte suprema di cassazione colla ordinanza di annullamento n. 15495 del 20 giugno 2013.

3.1.1 – Per vero, premesso che il contribuente, col primo motivo di ricorso “improntato alla violazione e falsa applicazione di norme di legge, che nel corpo del motivo risultano identificate con la L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1” aveva censurato che la sentenza impugnata aveva “attribuito sufficiente idoneità alla motivazione del provvedimento di rettifica della proposta di classamento consistente nella mera indicazione dei dati oggettivi acclarati dall’Ufficio e della classe conseguentemente attribuita all’immobile (per quanto questi siano elementi inidonei a consentire di intendere le ragioni della classiricazione)”, l’ordinanza in parola ha stabilito: il motivo de quo “non può ritenersi fondato. La questione della adeguata motivazione del provvedimento di classamento ed attribuzione della rendita è stata molteplici volte risolta da questa Corte nel senso che essa può ritenersi correttamente esplicitata anche mediante la mera indicazione dei dati oggettivi acclarati dall’ufficio tecnico erariale e della classe conseguentemente attribuita all’immobile, trattandosi di dati idonei (specie allorquando il provvedimento costituisca l’atto terminale di una procedura di tipo fortemente partecipativo quale è la c.d. DOCFA, che implica l’indicazione degli elementi fattuali rilevanti da parte dello stesso contribuente, dati che nella specie di causa costituiscono la base oggettiva dello stesso provvedimento di classamento, che si è limitato a farne difforme valutazione rispetto alla proposta) a consentire al contribuente, mediante il raffronto con quelli indicati nella propria dichiarazione, di intendere il petitum provvedimentale, sì da essere, in condizione di tutelarsi mediante ricorso alle commissioni tributarie”.

3.1.2 – La riproposizione della medesima questione, operata dal ricorrente con i primi due motivi, non è pertanto ammissibile, in quanto è preclusa dal giudicato interno.

3.2 – Neppure è ammissibile il residuo, terzo motivo del ricorso.

Laddove, alla stregua di quanto illustrato nel precedente paragrafo sub 1., la Commissione tributaria regionale ha dato conto (sebbene in maniera estremamente succinta) delle ragioni della decisione, il motivo di impugnazione ngn appare riconducibile alla ipotesi prevista dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il ricorrente ha trascurato di enunciare lo specifico fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, che suppone sia stato pretermesso e, tampoco, di illustrare le ragioni della decisività. Nè ricorre – alla evidenza – alcuna delle patologie della motivazione suscettibile di sindacato in sede di legittimità.

Questa Corte suprema di cassazione ha chiarito al riguardo che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in legge dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, il vizio della motivazione della sentenza che ne comporta la nullità, deve essere interpretato, “alla luce dei canoni errreneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione”.

Sicchè, a tal fine, rileva “solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali”.

E la anomalia in parola – esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione – è ravvisabile esclusivamente nei casi a) della “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, b) del “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, c) della “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, d) della motivazione apparente (Sez. U, sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 – 01; Sez. 6 – 3, ordinanza n. 22598 del 25/09/2018, Rv. 650880 – 01; Sez. 3, sentenza n. 23940 del 12/10/2017, Rv. 645828 – 01; Sez. 6 – 3, sentenza n. 23828 del 20/11/2015, Rv. 637781 – 01), nessuno dei quali ricorre nella specie.

3.3 – Consegue la declaratoria della inammissibilità del ricorso.

3.4 – Le spese del presente giudizio, congruamente liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.

3.5 – La reiezione del ricorso comporta, infine, trattandosi di impugnazione notificata dopo il 31 gennaio 2013, la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, se dovuto.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2.600,00 per compensi, oltre rimborso spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione Civile, il 11 dicembre 2019.

Depositato in cancelleria il 10 marzo 2020

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