Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6720 del 06/04/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. 6 Num. 6720 Anno 2016
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: MAROTTA CATERINA

SENTENZA
sul ricorso 7855-2015 proposto da:
AZIENDA SANITARIA LOCALE CASERTA (03519500619), in
persona del Direttore Generale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
POMPEO NLAGNO 7, presso lo studio dell’avvocato VINCENZA DI
NIARTINO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
ANTONIO VALLEBONA giusta mandato a margine del ricorso;
– ricortente –

contro
10DICE

CA’ l’I RI N A

(DCICRN 6614413963E),

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA GABI 24, presso lo studio dell’avvocato
LUCIO GREZZI, rappresentata e difesa dagli avvocati VIN’CENZO.
.

,

Data pubblicazione: 06/04/2016

MIRRA, ANDREA FERRAR°, PAOLO GALLUCCIO giusta procura
a margine del controricorso;

– controricorrente avverso la sentenza n. 6403/2014 della CORTE D’APPELLO di

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/2/2016
dal Consigliere Relatore Dott. CATERINA MAROTTA;
udito l’Avvocato ANTONIO VALLEBONA, difensore del ricorrente,
che si riporta ai motivi;
udito l’Avvocato VINCENZO MIRRA, difensore della controricorrente,
che si riporta ai motivi.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello di Napoli rigettava il
gravame proposto dall’ASL di Casetta avverso la decisione del Tribunale
di S. Maria C.V. che, in accoglimento della domanda proposta dall’attuale
controricorrente, aveva accertato il diritto di quest’ultima a percepire la
retribuzione per il lavoro straordinario prestato, su imposizione datoriale,
nella misura di 15 minuti per giorno lavorativo dal 2007 al 2010.
La Corte territoriale rilevava che l’eccezione di nullità del ricorso
introduttivo del giudizio era stata correttamente disattesa dal primo
giudice in quanto la domanda proposta al Tribunale – di accertare che il
prolungamento dell’orario lavorativo di 15 minuti preteso dall’azienda per
ogni giornata in cui veniva erogato un buono pasto e per il periodo
indicato (2007 – 2010) integrava lavoro straordinario – configurava
un’azione di accertamento in cui erano stati allegati tutti gli elementi
essenziali costituiti: – dalla indicazione delle fonti contrattuali collettive
che regolamentavano l’istituto della mensa (art. 29 c.c.n.l. Compatto
Sanità del 20/9/2001); – dalla circostanze di fatto che la dipendente si era

Ric. 2015 n. 07855 sez. ML ud. 10-02-2016
2-

NAPOLI del, depositata il 25/9/2014;

vista prolungare l’orario lavorativo in relazione alle giornate di effettiva
percezione dei buoni pasto; – dalle numerose disposizioni aziendali
sull’argomento. Precisava, altresì, la Corte che la specificazione delle
concrete unità temporali in cui erano state rese le prestazioni di lavoro
eccedente l’orario ordinario non assumeva valore essenziale nel

domanda di condanna determinata al pagamento delle differenze
retributive per il lavoro straordinario reso. Nel merito osservava che
correttamente il primo giudice aveva rilevato la insussistenza dei
presupposti per la pretesa da parte dell’azienda nei confronti del
lavoratore del recupero giornaliero di 15 minuti di orario lavorativo come
contropartita per la fruizione dei buoni pasto alla medesima corrisposti in
sostituzione del soppresso servizio di mensa aziendale in quanto: – non
erano stati predisposti turni di sospensione dell’orario lavorativo necessari
per il consumo del pasto nonostante l’azienda fosse a ciò obbligata dal
disposto dell’art. 29 del c.c.n.l. citato; – la conseguente mancata
interruzione dell’attività lavorativa faceva si che il recupero di 15 minuti
imposto altro non era se non una indebita imposizione di lavoro
straordinario. Evidenziava, quindi, la Corte: – che con l’Accordo
integrativo del 13/12/1996 le 00.SS. e la direzione generale dell’azienda
avevano regolato l’esercizio del diritto al pasto dei dipendenti stabilendo
che il pasto andava consumato fuori dall’orario lavorativo; – che detto
Accordo era stato trasfuso nella nota n. 820 del 17/2/1997 in cui era
previsto un prolungamento dell’orario di uscita dal servizio di 30 minuti
(successivamente ridotto a 15 minuti) nell’arco della stessa giornata di
consumo del pasto da attuarsi previa la predisposizione di un sistema di
turnazione da parte delle direzioni delle strutture sanitarie e dei servizi
atto ad evitare la interruzione delle attività assistenziali; – che con le
circolari in data 27/1/1999 e 20/9/2000 il Direttore generale dell’ASL
Ric. 2015 n. 07855 sez. ML – ud. 10-02-2016
3-

configurare la domanda di accertamento ma al solo fine di formulare

ricorrente aveva disposto che l’orario di uscita dei dipendenti era
posticipato alle 15.15 per il recupero di 15 minuti al fine della fruizione
del ticket giornaliero; – che la mancata attuazione del sistema delle
turnazioni (circostanza questa da ritenere provata oltre che dalla difesa
spiegata dall’azienda, soprattutto dalla documentazione prodotta dalla

consumazione dei pasti secondo le esigenze di servizio di ciascun
presidio) escludeva la possibilità di effettive pause per la fruizione dei
buoni pasto e, dunque, non poteva trovare giustificazione alcuna il
preteso prolungamento di 15 minuti dell’orario ordinario di lavoro, visto
che non vi era nessuna pausa da recuperare e, quindi, i buoni pasto erano
spendibili solo fuori del detto orario lavorativo. La Corte di Appello
sottolineava che non poteva sussistere un rapporto di corrispettività
contrattuale tra concessione di buoni pasto fruibili solo fuori dell’orario di
lavoro (senza alcuna incidenza sulla continuità temporale della prestazione
lavorativa per le ragioni esposte) ed il preteso recupero dell’orario di
lavoro attraverso il prolungamento dello stesso in misura di 15 minuti al
giorno.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso l’ASL Caserta
affidato a due motivi.
Resiste con controricorso la lavoratrice.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 cod.
proc. civ..

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso viene denunziata violazione e falsa
applicazione degli arti. 99, 100 e 414 cod. proc. civ. in relazione all’art.
360, n. 4, cod. proc. civ., per avere la Corte del merito erroneamente
affermato l’interesse ad agire in accertamento dell’asserito diritto alla
retribuzione di prestazioni aggiuntive senza “la specificazione delle
Ric. 2015 n. 07855 sez. ML – ucl, 10-02-2016
4-

quale era emerso che non erano stati mai stabiliti i turni per la

concrete unità temporali in cui sono state rese le prestazioni di lavoro
eccedente” considerando tale specificazione come priva di “valore
essenziale”. Si sostiene che l’azione in giudizio è data solo per accertare
diritti soggettivi e non per chiedere parere al giudice su situazioni astratte
ed ipotetiche e che o era carente l’interesse ad agire, essendo richiesto non

di un’ipotesi, o il ricorso era da ritenere nullo per omessa deduzione dei
concreti specifici fatti costitutivi del diritto al compenso dell’asserito
lavoro straordinario.
2. Con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa
applicazione degli artt. 2108 e 2697 cod. civ. e degli artt. 4 e 5 d.lgs. n.
66/2003, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per asserita
violazione del principio per cui l’onere di deduzione e prova dell’asserito
lavoro straordinario grava sul lavoratore. Osserva la ricorrente che la
domanda si fondava su un’asserita mancata effettuazione della pausa che
avrebbe determinato, insieme al recupero che la presupponeva, un lavoro
straordinario pari al tempo della pausa non effettuata, essendo pacifica
l’effettuazione del recupero, e che in tale situazione l’onere di deduzione e
prova della mancata effettuazione della pausa dovuta, avendola lavorata in
ciascun giorno dei numerosi anni oggetto di causa, gravava sulla
lavoratrice ricorrente. Richiama, in proposito, la costante giurisprudenza
di questa Corte in materia di indennità per ferie non godute secondo cui il
riconoscimento di detta indennità è condizionato all’onere di deduzione e
prova del lavoro svolto nell’intero anno e quindi del mancato godimento
della pausa feriale.
3. Il primo motivo è infondato.
Vale ricordare che l’interesse ad agire con un’azione di mero
accertamento non implica necessariamente l’attuale verificarsi della
lesione di un diritto o una contestazione, essendo sufficiente uno stato di
Ric. 2015 n. 07855 sez. ML

ud. 10-02-2016

l’accertamento di diritti soggettivi ma un mero parere sulla qualificazione

incertezza oggettiva sull’esistenza di un rapporto giuridico o sulla esatta
portata dei diritti e degli obblighi da esso scaturenti, non superabile se non
con l’intervento del giudice (cfr. Cass. n. 13556 del 26 maggio 2008; Cass.
n. 17026 del 26 luglio 2006).
La sezione lavoro di questa Corte ha ulteriormente precisato che detto

processo con la conseguenza che in materia di lavoro subordinato,
l’azione di accertamento può riguardare l’esatta determinazione dei
compensi spettanti, anche laddove non siano ancora maturati i
presupposti di fatto di tutte le voci della retribuzione ed il lavoratore non
chieda alcuna condanna a carico del datore di lavoro (cfr. Cass. n. 4496
del 21 febbraio 2008).
E’ stata pure ribadita la ammissibilità, anche nel rito del lavoro, di una
sentenza di condanna generica (non limitata alle ipotesi di sentenza non
definitiva con rinvio della liquidazione del “quantum” alla prosecuzione del
giudizio), ben potendo la domanda essere limitata fin dall’inizio
all’accertamento delran”, con conseguente pronuncia di condanna
generica, che definisce il giudizio, e connesso onere della parte interessata
di introdurre un autonomo giudizio per la liquidazione del “quantum” (si
vedano Cass. n. 4587 del 26 febbraio 2014; Cass. n. 8576 del 5 maggio
2004).
Orbene, proprio alla luce dei riportati principi è evidente la ricorrenza

stato di incertezza oggettiva può anche non essere preesistente rispetto al

di un interesse ad agire dell’originaria ricorrente la quale, stante lo stato di
incertezza oggettiva sulla esatta portata dei diritti e degli obblighi da
scaturenti dal rapporto di lavoro con la ASL di Caserta e relativo alla
qualificazione o meno di “lavoro straordinario” del prolungamento
dell’orario ordinario di lavoro di 15 minuti preteso dall’azienda nel
trascorso periodo dal 2007 al 2010, ha chiesto l’intervento del giudice per
superano. Peraltro, risulta evidente che nel caso in esame non è stato
Ric. 2015 n. 07855 sez. ML – ud. 10-02-2016
6-

f

chiesto l’accertamento dell’infondatezza di una pretesa avanzata nei
confronti della dipendente da parte dell’ASL, bensì il positivo
accertamento che il prolungamento dell’orario lavorativo già verificatosi
(per quanto appresso si dirà) era da qualificarsi come “lavoro
straordinario”, in vista dell’utile risultato di poter richiedere, in un

differenze retributive calcolate in relazione ai giorni in cui effettivamente
detto prolungamento dell’orario lavorativo sarebbe stato rigorosamente
provato.
Da quanto esposto discende la correttezza dell’affermazione della
Corte di merito laddove chiarisce che la domanda proposta non era
affetta da nullità essendo stati idoneamente allegati i fatti rilevanti e le
fonti regolatrici del rapporto obbligatorio dedotto in causa e che la
specificazione delle concrete unità temporali in cui erano state rese le
prestazioni di lavoro eccedenti l’orario ordinario non assumeva valore
essenziale nel configurare la domanda di accertamento.
Che la parte, attraverso l’indicazione delle circostanze di fatto rilevanti
e delle fonti regolatrici del rapporto obbligatorio dedotto in causa nei
termini sopra specificati, avesse correttamente prospettato l’esigenza di
ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile
senza l’intervento del giudice, era emerso, del resto, dalla stessa posizione
difensiva della società che, come si evince anche dalla sentenza
impugnata, era stata non solo “piena” in rapporto alle deduzioni attoree
ma decisamente finalizzata a contrastare, con l’offerta ricostruzione delle
condotte aziendali e sindacali realizzatesi nel corso del tempo, la riferita
eliminazione di una pausa mensa e contestuale imposizione di un
recupero giornaliero non retribuito.
4. Del pari infondato è il secondo motivo.

Ric. 2015 n. 07855 sez. ML – ud. 10-02-2016
7-

separato giudizio di quantificazione, la condanna al pagamento di

Nello storico di lite sono stati riportati i passaggi logici percorsi dalla
Corte di merito per giungere a ritenere che il prolungamento dell’orario
lavorativo preteso dall’ASL in concomitanza dell’erogazione dei buoni
pasto non andava a compensare alcuna pausa effettuata per fruire dei detti
buoni. Ed infatti, il giudice del gravame, una volta acclarato che l’ASL

buoni pasto stante la necessità di garantire la continuità assistenziale ha
ritenuto provata la mancata effettuazione della pausa.
Peraltro, nella impugnata sentenza è stato anche sottolineato come la
difesa della ASL non aveva negato la mancata predisposizione di turni ma
aveva dedotto che, comunque, la dipendente aveva speso i “tickets
restaurant assegnatile mensilmente e che non poteva sussistere un
rapporto di corrispettività contrattuale tra la concessione di buoni pasto
fruibili solo fuori dell’orario di lavoro, senza alcuna incidenza sulla
continuità temporale della prestazione lavorativa quotidiana, ed il preteso
recupero dell’orario di lavoro attraverso il prolungamento dello stesso in
misura di 15 minuti.
In effetti l’ASL, non negando di aver preteso il prolungamento
dell’orario di lavoro ordinario (circostanza risultante documentalrnente),
ha dedotto che lo stesso era in rapporto di corrispettività con la fruizione
dei buoni pasto ed integrava un recupero della pausa attuata dalla
dipendente per consumare il buono pasto. In siffatta situazione
correttamente il giudice del merito ha ritenuto che dalla mancata
predisposizione dei turni si potesse desumere la insussistenza di pause
durante l’orario lavorativo ordinario destinate al consumo dei pasti
presupposto per il preteso loro recupero attraverso il prolungamento
dell’orario lavorativo.
Ciò invero non confligge con il principio dell’onere della prova posto
che, desunta la prestazione ininterrotta dagli indicati elementi (erogazione
Ric. 2015 n. 07855 sez. ML – ud. 10-02-2016
8-

non aveva provveduto a stabilire dei turni per consentire la fruizione dei

dei buoni pasto utilizzabili solo al di fuori dell’orario di lavoro; mancata
predisposizione dei turni per usufruire del servizio mensa sostitutivo pur
in presenza di un obbligo contrattuale in tal senso, in un contesto di
continuità assistenziale) non poteva che essere a carico dell’Azienda la
prova contraria.

considerazioni in merito alla compatibilità di una pausa di 15 minuti
pranzo con la continuità assistenziale.
5. Alla luce di quanto esposto il ricorso va, dunque, rigettato.
6. Quanto alla domanda ex art. 96 cod. proc. civ. formulata dalla
difesa della controricorrente, si rileva innanzitutto un profilo di
inammissibilità atteso che la Corte territoriale si è pronunciata su analoga
istanza formulata nel giudizio di appello e nessun rilievo è stato mosso,
sul punto, dalla controricorrente.
In ogni caso, questa Corte osserva che la condanna per lite temeraria
può essere pronunciata solo se la parte ha agito o resistito con mala fede o
colpa grave. Con riguardo al giudizio di cassazione ai fini della
responsabilità aggravata ex art. 96 cod. proc. civ., l’istanza di condanna
deve essere formulata con una prospettazione della temerarietà della lite
riferita a tutti i motivi del ricorso, essendo altrimenti impedito alla Corte
l’accertamento complessivo della soccombenza dolosa o gravemente
colposa, la quale deve valutarsi riguardo all’esito globale della controversia
e, quindi, rispetto al ricorso nella sua interezza (cfr. Cass. n. 21805 del 5
dicembre 2012; Cass. n. 20914 dell’11 ottobre 2011); inoltre il ricorso può
considerarsi temerario solo allorquando, oltre ad essere erroneo in diritto,
sia tale da palesare la consapevolezza della non spettanza del diritto fatto
valere, o evidenzi un grado di imprudenza, imperizia o negligenza
accentuatamente anormali (Cass. 2 giugno 1995, n. 6190; conf. Cass. 26
giugno 2007, n. 14789).
Ric. 2015 n. 07855 sez. ML ud. 10-02-2016
9-

Nessun rilievo, infine, possono avere in questa sede le metagiuridiche

Applicando i detfi principi al caso di specie si osserva che la domanda
di condanna per lite temeraria, oltre a non essere stata prospettata con
riferimento a tutti i motivi di ricorso (il primo dei quali è, come sopra
precisato, di tipo processuale) è avulsa dal presupposto imprescindibile
(prova dell’altrui malafede ovvero di un grado di imprudenza, imperizia o

con riferimento a tutti i motivi di ricorso) oltre che ingiustificata per la
mancanza di allegazione e prova di un danno subito a causa della
condotta temeraria della controparte, diverso ed ulteriore rispetto alla
necessità di doversi difendere in giudizio (risultando, a tal fine, del tutto
inidoneo il richiamo a principi affermati con riguardo alla legge n.
89/ 2001).
L’istanza ex art. 96 cod, proc. civ., pertanto, non può essere accolta.
7. Per il principio della soccombenza le spese del presente giudizio
sono poste a carico della ricorrente e vengono liquidate come da
dispositivo con attribuzione in favore degli avv. Andrea Ferraro,
Vincenzo Mirra e Antonio Galluccio per dichiarato anticipo fattone.
8. Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013)
di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (art. 1, comma 17 della
legge 24 dicembre 2012, n. 228 del 2012), che ha integrato l’art. 13 del
d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, aggiungendovi il comma 1 quater del
seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta
integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che
l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o
incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della
sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di
pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.

Rtc. 2015 n. 07855 sez. ML – ud. 10-02-2016
10-

negligenza nell’agire in giudizio accentuatamente anormale, ciò sempre

Essendo il ricorso in questione integralmente da respingersi, deve
provvedersi in conformità.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in
favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio liquidate in

accessoti di legge e rimborso forfetario in misura del 15%, con
attribuzione ai difensori antistatari.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il O febbraio 2016.

euro 100,00 per esborsi ed curo 2.000,00 per compensi professionali, oltre

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA