Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6719 del 10/03/2021

Cassazione civile sez. lav., 10/03/2021, (ud. 17/12/2020, dep. 10/03/2021), n.6719

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24821-2015 proposto da:

P.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA UGO BARTOLOMEI

23, presso lo studio dell’avvocato ENRICO IVELLA, rappresentata e

difesa dagli avvocati FRANCESCO MARIA CAPITANIO, e AUGUSTO CHIOSI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO,

presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n.

12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6839/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 28/10/2014 R.G.N. 2864/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/12/2020 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Corte d’Appello di Napoli, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva accolto il ricorso, ha rigettato la domanda proposta da P.C., assistente sociale coordinatore inquadrata nella ex VII qualifica funzionale, la quale aveva convenuto in giudizio il Ministero della Giustizia per ottenere l’accertamento del diritto a percepire, ai sensi della L. n. 449 del 1997, con decorrenza dal 1 gennaio 1998 e sino al primo rinnovo contrattuale, il trattamento economico proprio del primo dirigente del comparto Ministero, quantificato in ragione dei maggiori importi previsti dall’art. 2 dell’accordo di rinnovo del c.c.n.l. per la dirigenza ministeriale, stipulato il 26 novembre 1996;

2. la Corte territoriale, esclusa l’eccepita inammissibilità dell’appello, ha ricostruito il quadro normativo ed ha in sintesi osservato che già alla data di entrata in vigore della L. n. 449 del 1997 il legislatore aveva modificato la carriera dirigenziale, prevedendo un ruolo unico articolato in due fasce, e, pertanto, il rinvio contenuto nell’art. 41, comma 4 della legge in parola al D.L. n. 356 del 1987, art. 4 bis del che aveva attribuito il trattamento economico del primo dirigente agli impiegati della carriera direttiva che potevano vantare quindici anni di anzianità, non consentiva di tener conto degli sviluppi contrattuali successivi previsti per la qualifica di equiparazione;

3. infatti, qualora il legislatore avesse voluto tener conto del trattamento retributivo previsto per il dirigente di seconda fascia, avrebbe richiamato le disposizioni contrattuali e non il D.L. n. 356 del 1987, tanto più che solo quest’ultimo rinvio consentiva di differenziare il trattamento economico a seconda dell’anzianità di quindici o venticinque anni;

4. per la cassazione della sentenza P.C. ha proposto ricorso affidato a tre motivi, ai quali ha resistito con tempestivo controricorso il Ministero della Giustizia.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. il primo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c. – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio” e addebita alla Corte territoriale di non avere pronunciato sull’eccezione di inammissibilità dell’appello essendosi limitata al rinvio per relationem ad altra decisione con la quale era stata decisa, quanto al profilo processuale, una questione diversa;

1.1. sostiene la ricorrente che con l’atto d’appello il Ministero non aveva individuato con chiarezza le statuizioni investite dal gravame, non aveva indicato le censure mosse alla motivazione della sentenza del Tribunale, non aveva sviluppato alcuna argomentazione volta a censurare in modo specifico le ragioni poste a fondamento della decisione impugnata;

2. la seconda censura, formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, prospetta la “violazione e falsa applicazione di legge (L. n. 449 del 1997, art. 41, comma 4; D.L. n. 356 del 1987, art. 4 bis convertito in L. n. 436 del 1987) – erronea interpretazione e valutazione delle circostanze di fatto e delle risultanze istruttorie – error in procedendo omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”;

2.1. sostiene, in sintesi, la ricorrente che alla data di entrata in vigore della L. n. 449 del 1997 la qualifica di primo dirigente era confluita in quella unica dirigenziale per cui il calcolo del trattamento economico andava effettuato tenendo conto dell’assetto normativo e contrattuale vigente al momento del rinvio, non essendo logico ipotizzare che il legislatore avesse voluto utilizzare, quale parametro retributivo per la perequazione, quello risalente al gennaio 1991, di gran lunga inferiore al trattamento retributivo riconosciuto alla categoria di comparazione, nel frattempo confluita nella qualifica unica dirigenziale;

3. la medesima rubrica la ricorrente antepone al terzo motivo con il quale sostanzialmente addebita al giudice d’appello di non avere considerato “l’interpretazione autentica” fornita dalla Presidenza del Consiglio del Ministri che, nel rispondere alla richiesta di chiarimenti formulata dal Ministero della Giustizia, aveva appunto affermato che “la parametrazione del relativo trattamento economico deve essere effettuata con riferimento al vigente assetto normativo (ivi incluso quello contrattuale) della categoria, come è noto radicalmente innovato rispetto quello esistente al momento dell’entrata in vigore del citato D.L. n. 356 del 1987, art. 4 bis”;

4. il primo motivo è inammissibile perchè formulato senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione imposti dall’art. 366 c.p.p., n. 6 e art. 369 c.p.p., n. 4;

4.1. la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che, anche qualora venga dedotto un error in procedendo, rispetto al quale la Corte è giudice del “fatto processuale”, l’esercizio del potere/dovere di esame diretto degli atti è subordinato al rispetto delle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo del giudice di legittimità (Cass. S.U. n. 8077/2012 e Cass. S.U. n. 20181/2019);

4.2. la parte, quindi, non è dispensata dall’onere di indicare in modo specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti, non essendo consentito il rinvio per relationem agli atti del giudizio di merito, perchè la Corte di Cassazione, anche quando è giudice del fatto processuale, deve essere posta in condizione di valutare ex actis la fondatezza della censura e deve procedere solo ad una verifica degli atti stessi non già alla loro ricerca;

4.3. dal principio di diritto discende che, qualora, come nella fattispecie, il ricorrente assuma che l’appello doveva essere dichiarato inammissibile per difetto della necessaria specificità dei motivi di impugnazione, la censura potrà essere scrutinata a condizione che vengano riportati nel ricorso, nelle parti essenziali, la motivazione della sentenza di primo grado e l’atto di appello;

4.4. occorre, poi, che il ricorrente assolva al distinto onere previsto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., n. 4, indicando la sede nella quale l’atto processuale è reperibile, perchè l’art. 366 c.p.c., come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 5 richiede che al giudice di legittimità vengano forniti tutti gli elementi necessari per avere la completa cognizione della controversia, senza necessità di accedere a fonti esterne, mentre la produzione è finalizzata a permettere l’agevole reperibilità del documento o dell’atto la cui rilevanza è invocata ai fini dell’accoglimento del ricorso (fra le tante, sulla non sovrapponibilità dei due requisiti, Cass. n. 19048/2016);

4.5. il ricorso si limita ad argomentare sulle ragioni giuridiche per le quali la Corte territoriale avrebbe dovuto ritenere l’appello del Ministero privo della necessaria specificità, ma non riporta il contenuto degli atti rilevanti nè indica la sede di allocazione degli atti stessi nel fascicolo processuale;

4.6. non determina nullità della sentenza impugnata il rinvio per relationem ad altra pronuncia della stessa Corte territoriale resa in fattispecie analoga perchè “la motivazione per relationem della sentenza, ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1, può fondarsi anche su precedenti di merito, e non solo di legittimità, allo scopo di massimizzare, in una prospettiva di riduzione dei tempi di definizione delle controversie, l’utilizzazione di riflessioni e di schemi decisionali già compiuti per casi identici o caratterizzati dalla decisione di identiche questioni” (Cass. n. 17640/2016 e Cass. n. 2861/2019);

5. il secondo ed il terzo motivo, da trattare congiuntamente in ragione della loro connessione logica e giuridica, sono infondati perchè la sentenza impugnata è conforme al principio di diritto che questa Corte, in continuità con quanto già statuito da Cass. S.U. n. 23855/2012, ha affermato nel respingere il ricorso proposto avverso la decisione richiamata per relationem dal giudice d’appello, principio secondo cui “la L. n. 449 del 1997, art. 41, comma 4, che ha previsto l’estensione, in funzione perequativa e transitoria, a decorrere dall’1 gennaio 1998 sino al primo rinnovo contrattuale, del trattamento economico di cui al D.L. n. 356 del 1987, art. 4-bis conv., con modif., dalla L. n. 436 del 1987, al personale civile dell’Amministrazione penitenziaria transitato nella 7 qualifica funzionale, appartenente ai profili professionali di assistente sociale coordinatore e di educatore coordinatore, in presenza dei presupposti di cui alla medesima norma, contiene un rinvio statico al trattamento economico ivi previsto per la previgente figura del “primo dirigente” ” (Cass. n. 12725/2017);

5.1. il Collegio intende dare continuità all’orientamento già espresso perchè ne condivide le ragioni, alle quali si rinvia ex art. 118 disp. att. c.p.c., e perchè il ricorso non prospetta argomenti che possano indurre a rimeditare il principio affermato;

5.2. in particolare la tesi sostenuta dalla P. contrasta con il dato, particolarmente significativo, costituito dal fatto che la L. n. 449 del 1997 è intervenuta quando già era stato sottoscritto il CCNL per la dirigenza del comparto ministeri sicchè il richiamo al trattamento economico previsto dal D.L. n. 356 del 1987, ormai superato per il personale con qualifica dirigenziale, rivela senza alcun dubbio la scelta consapevole del legislatore di attribuire, in funzione perequativa e transitoria, proprio quel trattamento da poco cessato;

5.3. nè a diverse conclusioni si può giungere facendo leva sull’interpretazione fornita dal Dipartimento della Funzione Pubblica con la circolare del 15 ottobre 1998 perchè, come già evidenziato nella pronuncia sopra citata, gli atti unilaterali adottati dalla Pubblica Amministrazione non vincolano i giudici, non costituiscono fonte del diritto e, pertanto, la loro violazione non può essere denunciata ex art. 360 c.p.c., n. 3 in sede di legittimità;

6. in via conclusiva il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo;

7. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione. liquidate in Euro 5.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 17 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2021

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