Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6718 del 23/03/2011

Cassazione civile sez. VI, 23/03/2011, (ud. 11/02/2011, dep. 23/03/2011), n.6718

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 23412/2009 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliata in Roma, Via Federico

Confalonieri n. 5, presso lo studio dell’Avv. Andrea Manzi,

rappresentata e difesa dagli Avvocati LOVELLI Cosimo e Daniele

Oliviero per procura conferita a margine del ricorso;

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Po n. 25/b, presso lo

studio dell’avv. PESSI Roberto, che la rappresenta e difende per

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1001/09 della Corte d’appello di Potenza,

depositata in data 16.07.2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio in

data 11.2.2011 dal Consigliere Dott. Giovanni Mammone;

udito l’Avv. Federica Manzi per delega Andrea Manzi;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Alberto Libertino.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

1.- M.A. chiedeva che fosse dichiarata la nullità del termine apposto ad un contratto di assunzione alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a..

2.- Rigettata la domanda, la predetta proponeva appello e la Corte d’appello di Potenza, con sentenza pubblicata il 16.7.09, rigettava l’impugnazione. Considerato che il contratto era cessato il 29.2.00 e che la richiesta di nullità del termine era stata proposta solo il 14.7.06, la Corte riteneva che la lavoratrice avesse prestato adesione alla risoluzione del contratto e che, quindi, non vantasse un interesse al suo ripristino.

3.- Avverso questa sentenza M. proponeva ricorso per cassazione, cui rispondeva Poste Italiane con controricorso.

Il Consigliere relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., depositava relazione che, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Camera di consiglio, era comunicata al Procuratore generale ed era notificata ai difensori costituiti.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

4.- Il ricorso è infondato.

I motivi dedotti dalla M. possono essere così sintetizzati:

4.1.- violazione degli artt. 1372 e 2697 c.c., in quanto il rapporto di lavoro non avrebbe potuto essere ritenuto risolto per mutuo consenso dato che il mero silenzio assume rilevanza sul piano giuridico nel senso di tacita dichiarazione allorchè la condotta della parte contrattuale possa essere apprezzata come oggettiva manifestazione di volontà;

4.2.- carenza di motivazione in quanto il giudice di merito non ha indicato da quali ulteriori elementi abbia dedotto la volontà delle parti di ritenere definitivamente cessato il rapporto di lavoro.

5.- Il primo motivo è infondato. La giurisprudenza della Corte di cassazione (v. per tutte Cass. 17.12.04 n. 23554) ritiene che nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al relativo contratto di un termine finale ormai scaduto) è configuratale la risoluzione del rapporto per mutuo consenso ove sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè, alla stregua delle modalità di tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà di porre fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata di tali elementi compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto.

Nel caso di specie il giudice di merito si è attenuto a questo principio valutando ai fini dell’individuazione del mutuo consenso quelle che, a suo avviso, erano le circostanze significative emergenti dagli atti.

6.- E’ infondato anche il secondo motivo, non riscontrandosi la dedotta carenza di motivazione, atteso che il giudice ha considerato non solo la circostanza di per sè neutra della percezione delle spettanze di fine contratto da parte della lavoratrice, ma, a completamento dell’argomentazione, anche la considerevole durata del lasso temporale intercorso tra la cessazione del contratto e la proposizione della domanda in sede giudiziaria (oltre sei anni), ritenendola del tutto sovradimensionata rispetto alle esigenze di ponderazione e riflessione che l’azione giudiziaria impone, anche per la mancanza di prova di iniziative prodromiche all’azione giudiziaria (quali comunicazioni al datore di lavoro o contratti con organizzazioni sindacali).

Il giudice ha, inoltre, tratto elementi di convinzione dal comportamento processuale dell’attrice, ponendo in evidenza che essa, di fronte all’evidenziazione della circostanza in sede giudiziale, non ha preso posizione alcuna.

7.- Considerata la congruità della motivazione della sentenza impugnata e l’inammissibilità delle censure di merito sollevate in sede di legittimità, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 30,00 (trenta) per esborsi ed in Euro 2.000,00 (duemila) per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2011

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