Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6717 del 06/04/2016


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 6717 Anno 2016
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: MANCINO ROSSANA

SENTENZA
sul ricorso 3421-2015 proposto da:
AZIENDA SANITARIA LOCALE CASERTA, in persona del
Direttore Generale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
POMPEO MAGNO 7, presso lo studio dell’avvocato VINCENZA
DI MARTINO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
ANTONIO VALLEBONA giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente contro
VENTRICE LAURA, ZONA ANTONIO, VIGLIOTTI ANDREA,
GAROFAI,0 TOMMASO, ZANNI COSIMO, elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA GABI 24, presso lo studio dell’avvocato

Data pubblicazione: 06/04/2016

LUCIO GREZZI, rappresentati e difesi dagli avvocati PAOLO
GALLUCCIO, ANDREA FERRAR°, VINCENZO MIRRA giusta
procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

NAPOLI del 16/07/2014, depositata il 22/07/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
10/02/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSSANA MANCINO;
udito l’Avvocato Antonio Vallebona difensore della ricorrente che si
riporta agli scritti;
udito l’Avvocato Vincenzo Mirra difensore dei controricorrenti che si
riporta agli scritti.

Svolgimento del processo e motivi della decisione

i.

Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello di Napoli rigettava il
gravame proposto dall’ASL di Casetta avverso la decisione del Tribunale
di S. Maria C.V. che, in accoglimento della domanda proposta
dall’attuale controricorrente, aveva accertato il diritto di quest’ultima a
percepire la retribuzione per il lavoro straordinario prestato, su
imposizione datoriale, nella misura di 15 minuti per giorno lavorativo
nel periodo indicato in ricorso, condannando l’Azienda al pagamento
della relativa somma da liquidarsi in separato giudizio.

2. La Corte territoriale rilevava che l’eccezione di nullità del ricorso

introduttivo del giudizio era stata correttamente disattesa dal primo
giudice in quanto la domanda proposta al Tribunale (di accertare che il
prolungamento dell’orario lavorativo di 15 minuti preteso dall’azienda
per ogni giornata in cui veniva erogato un buono pasto e per il periodo
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avverso la sentenza n. 5937/2014 della CORTE D’APPELLO di

indicato integrava lavoro straordinario) configurava un’azione di
accertamento in cui erano stati allegati tutti gli elementi essenziali
costituiti: – dalla indicazione delle fonti contrattuali collettive che
regolamentavano l’istituto della mensa (art. 29 c.c.n.l. Comparto Sanità
del 20/9/2001); – dalla circostanze di fatto che la dipendente si era vista

percezione dei buoni pasto; – dalle numerose disposizioni aziendali
sull’argomento. Precisava, altresì, la Corte che la specificazione delle
concrete unità temporali in cui erano state rese le prestazioni di lavoro
eccedente l’orario ordinario non assumeva valore essenziale nel
configurare la domanda di accertamento ma al solo fine di formulare
domanda di condanna determinata al pagamento delle differenze
retributive per il lavoro straordinario reso. Nel merito osservava che
correttamente il primo giudice aveva rilevato la insussistenza dei
presupposti per la pretesa da parte dell’azienda nei confronti della
lavoratrice del recupero giornaliero di 15 minuti di orario lavorativo
come contropartita per la fruizione dei buoni pasto alla medesima
corrisposti in sostituzione del soppresso servizio di mensa aziendale in
quanto: – non erano stati predisposti turni di sospensione dell’orario
lavorativo necessari per il consumo del pasto nonostante l’azienda fosse
a ciò .obbligata dal disposto dell’art. 29 del c.c.n.l. citato; – la conseguente
mancata interruzione dell’attività lavorativa faceva sì che il recupero di
15 minuti imposto altro non era se non una indebita imposizione di
lavoro straordinario. Evidenziava, quindi, la Corte: – che con l’Accordo
integrativo del 13/12/1996 le 00.SS. e la direzione generale
dell’azienda avevano regolato l’esercizio del diritto al pasto dei
dipendenti stabilendo che il pasto andava consumato fuori dall’orario
lavorativo; – che detto Accordo era stato trasfuso nella nota n. 820 del
17/2/1997 in cui era previsto un prolungamento dell’orario di uscita dal
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prolungare l’orario lavorativo in relazione alle giornate di effettiva

servizio di 30 minuti (successivamente ridotto a 15 minuti) nell’arco
della stessa giornata di consumo del pasto da attuarsi previa la
predisposizione di un sistema di turnazione da parte delle direzioni delle
strutture sanitarie e dei servizi atto ad evitare la interruzione delle attività
assistenziali; – che con le circolari in data 27/1/1999 e 20/9/2000 il

uscita dei dipendenti era posticipato alle 15.15 per il recupero di 15
minuti al fine della fruizione del ticket giornaliero; – che la mancata
attuazione del sistema delle turnazioni (circostanza questa da ritenere
provata oltre che dalla difesa spiegata dall’azienda, soprattutto dalla
documentazione prodotta dalla quale era emerso che non erano stati
mai stabiliti i turni per la consumazione dei pasti secondo le esigenze di
servizio di ciascun presidio) escludeva la possibilità di effettive pause per
la fruizione dei buoni pasto e, dunque, non poteva trovare
giustificazione alcuna il preteso prolungamento di 15 minuti dell’orario
ordinario di lavoro, visto che non vi era nessuna pausa da recuperare e,
quindi, i buoni pasto erano spendibili solo fuori del detto orario
lavorativo. La Corte di Appello sottolineava che non poteva sussistere
un rapporto di corrispettività contrattuale tra concessione di buoni
pasto fruibili solo fuori dell’orario di lavoro (senza alcuna incidenza sulla
continuità temporale della prestazione lavorativa per le ragioni esposte)
ed il preteso recupero dell’orario di lavoro attraverso il prolungamento
dello stesso in misura di 15 minuti al giorno.
3. Per la cassazione di tale decisione propone ricorso l’ASL Caserta
affidato a due motivi.
4. Resistono, con controricorso, le parti intimate.
Con il primo motivo di ricorso viene denunziata violazione e falsa
applicazione degli arti. 99, 100 e 414 cod. proc. civ. in relazione all’art.
360, n. 4, cod. proc. civ., per avere la Corte del merito erroneamente
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Direttore generale dell’ASL ricorrente aveva disposto che l’orario di

affermato l’interesse ad agire in accertamento dell’asserito diritto alla
retribuzione di prestazioni aggiuntive senza “la specificazione delle
concrete unità temporali in cui sono state rese le prestazioni di lavoro
eccedente” considerando tale specificazione come priva di “valore
essenziale”. Si sostiene che l’azione in giudizio è data solo per accertare

astratte ed ipotetiche e che o era carente l’interesse ad agire, essendo
richiesto non l’accertamento di diritti soggettivi ma un mero parere sulla
qualificazione di un’ipotesi, o il ricorso era da ritenere nullo per omessa
deduzione dei concreti specifici fatti costitutivi del diritto al compenso
dell’asserito lavoro straordinario.
6. Con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione
degli artt. 2108 e 2697 cod. civ. e degli artt. 4 e 5 d.lgs. n. 66/2003, in
relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per asserita violazione del
principio per cui l’onere di deduzione e prova dell’asserito lavoro
straordinario grava sul lavoratore. Osserva la ricorrente che la domanda
si fondava su un’asserita mancata effettuazione della pausa che avrebbe
determinato, insieme al recupero che la presupponeva, un lavoro
straordinario pari al tempo della pausa non effettuata, essendo pacifica
l’effettuazione del recupero, e che in tale situazione l’onere di deduzione
e prova della mancata effettuazione della pausa dovuta, avendola
lavorata in ciascun giorno dei numerosi anni oggetto di causa, gravava
sulla lavoratrice ricorrente. Richiama, in proposito, la costante
giurisprudenza di questa Corte in materia di indennità per ferie non
godute secondo cui il riconoscimento di detta indennità è condizionato
all’onere di deduzione e prova del lavoro svolto nell’intero anno e
quindi del mancato godimento della pausa feriale.
7. Il primo motivo è infondato.

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diritti soggettivi e non per chiedere parere al giudice su situazioni

8. Vale ricordare che l’interesse ad agire con un’azione di mero
accertamento non implica necessariamente l’attuale verificarsi della
lesione di un diritto o una contestazione, essendo sufficiente uno stato
di incertezza oggettiva sull’esistenza di un rapporto giuridico o sulla
esatta portata dei diritti e degli obblighi da esso scaturenti, non

maggio 2008; Cass. n. 17026 del 26 luglio 2006).
9. La sezione lavoro di questa Corte ha ulteriormente precisato che detto
stato di incertezza oggettiva può anche non essere preesistente rispetto
al processo con la conseguenza che in materia di lavoro subordinato,
l’azione di accertamento può riguardare l’esatta determinazione dei
compensi spettanti, anche laddove non siano ancora maturati i
presupposti di fatto di tutte le voci della retribuzione ed il lavoratore
non chieda alcuna condanna a carico del datore di lavoro (cfr. Cass. n.
4496 del 21 febbraio 2008).
10. E’ stata pure ribadita la arrinaissibilità, anche nel rito del lavoro, di una
sentenza di condanna generica (non limitata alle ipotesi di sentenza non
definitiva con rinvio della liquidazione del “quantum” alla prosecuzione
del giudizio), ben potendo la domanda essere limitata fin dall’inizio
all’accertamento dell’an”, con conseguente pronuncia di condanna
generica, che definisce il giudizio, e connesso onere della parte
interessata di introdurre un autonomo giudizio per la liquidazione del
“quantum” (si vedano Cass. n. 4587 del 26 febbraio 2014; Cass. n. 8576

del 5 maggio 2004).
././. Orbene, proprio alla luce dei riportati principi è evidente la ricorrenza di

un interesse ad agire dell’originaria ricorrente la quale, stante lo stato di
incertezza oggettiva sulla esatta portata dei diritti e degli obblighi da
scaturenti dal rapporto di lavoro con la ASL di Caserta e relativo alla
qualificazione o meno di “lavoro straordinario” del prolungamento
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superabile se non con l’intervento del giudice (cfr. Cass. n. 13556 del 26

dell’orario ordinario di lavoro di 15 minuti preteso dall’azienda nel
periodo precisato in ricorso, ha chiesto l’intervento del giudice per
superano.
12. Peraltro, risulta evidente che nel caso in esame non è stato chiesto

l’accertamento dell’infondatezza di una pretesa avanzata nei confronti

prolungamento dell’orario lavorativo già verificatosi (per quanto
appresso si dirà) era da qualificarsi come “lavoro straordinario”, in vista
dell’utile risultato di poter richiedere, in un separato giudizio di
quantificazione, la condanna al pagamento di differenze retributive
calcolate in relazione ai giorni in cui effettivamente detto
prolungamento dell’orario lavorativo sarebbe stato rigorosamente
provato.
13_ Da quanto esposto discende la correttezza dell’affermazione della Corte

di merito laddove chiarisce che la domanda proposta non era affetta da
nullità essendo stati idoneamente allegati i fatti rilevanti e le fonti
regolatrici del rapporto obbligatorio dedotto in causa e che la
specificazione delle concrete unità temporali in cui erano state rese le
prestazioni di lavoro eccedenti l’orario ordinario non assumeva valore
essenziale nel configurare la domanda di accertamento.
14. Che la parte, attraverso l’indicazione delle circostanze di fatto rilevanti e

delle fonti regolatrici del rapporto obbligatorio dedotto in causa nei
termini sopra specificati, avesse correttamente prospettato l’esigenza di
ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non
conseguibile senza l’intervento del giudice, era emerso, del resto, dalla
stessa posizione difensiva della società che, come si evince anche dalla
sentenza impugnata, era stata non solo “piena” in rapporto alle
deduzioni attoree ma decisamente finalizzata a contrastare, con l’offerta
ricostruzione delle condotte aziendali e sindacali realizzatesi nel corso
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della dipendente da parte dell’ASL, bensì il positivo accertamento che il

del tempo, la riferita eliminazione di una pausa mensa e contestuale
imposizione di un recupero giornaliero non retribuito.
15. Del pari infondato è il secondo motivo.
16. Nello storico di lite sono stati riportati i passaggi logici percorsi dalla
Corte di merito per giungere a ritenere che il prolungamento dell’orario

pasto non andava a compensare alcuna pausa effettuata per fruire dei
detti buoni. Ed infatti, il giudice del gravame, una volta acclarato che
l’ASL non aveva provveduto a stabilire dei turni per consentire la
fruizione dei buoni pasto stante la necessità di garantire la continuità
assistenziale ha ritenuto provata la mancata effettuazione della pausa.
17. Peraltro, nella impugnata sentenza è stato anche sottolineato come la
difesa della ASL non aveva negato la mancata predisposizione di turni
ma aveva dedotto che, comunque, la dipendente aveva speso i “tickets

restaurant” assegnatile mensilinente e che non poteva sussistere un
rapporto di corrispettività contrattuale tra la concessione di buoni pasto
fruibili solo fuori dell’orario di lavoro, senza alcuna incidenza sulla
continuità temporale della prestazione lavorativa quotidiana, ed il
preteso recupero dell’orario di lavoro attraverso il prolungamento dello
stesso in misura di 15 minuti. .
18. In effetti l’ASL, non negando di aver preteso il prolungamento
dell’orario di lavoro ordinario (circostanza risultante documentalmente),
ha dedotto che lo stesso era in rapporto di corrispettività con la
fruizione dei buoni pasto ed integrava un recupero della pausa attuata
dalla dipendente per consumare il buono pasto. In siffatta situazione
correttamente il giudice del merito ha ritenuto che dalla mancata
predisposizione dei turni si potesse desumere la insussistenza di pause
durante l’orario lavorativo ordinario destinate al consumo dei pasti

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lavorativo preteso dall’ASL in concomitanza dell’erogazione dei buoni

presupposto per il preteso loro recupero attraverso il prolungamento
dell’orario lavorativo.
19. Ciò invero non confligge con il principio dell’onere della prova posto
che, desunta la prestazione ininterrotta dagli indicati elementi
(erogazione dei buoni pasto utilizzabili solo al di fuori dell’orario di

mensa sostitutivo pur in presenza di un obbligo contrattuale in tal senso,
in un contesto di continuità assistenziale) non poteva che essere a carico
dell’Azienda la prova contraria.
20. Nessun rilievo, infine, possono avere in questa sede le metagiuridiche
considerazioni in merito alla compatibilità di una pausa di 15 minuti
pranzo con la continuità assistenziale.
21. Alla luce di quanto esposto il ricorso va, dunque, rigettato.
22. Quanto alla domanda ex art. 96 cod. proc. civ. formulata dalla difesa
della controricorrente, questa Corte osserva che la condanna per lite
temeraria può essere pronunciata solo se la parte ha agito o resistito
con mala fede o colpa grave. Con riguardo al giudizio di cassazione ai
fini della responsabilità aggravata ex art. 96 cod. proc. civ., l’istanza di
condanna deve essere formulata con una prospettazionc della
temerarietà della lite riferita a tutti i motivi del ricorso, essendo
altrimenti impedito alla Corte l’accertamento complessivo della
soccombenza dolosa o gravemente colposa, la quale deve valutarsi
riguardo all’esito globale della controversia e, quindi, rispetto al ricorso
nella sua interezza (cfr. Cass. n. 21805 del 5 dicembre 2012; Cass. n.
20914 dell’H ottobre 2011); inoltre il ricorso può considerarsi
temerario solo allorquando, oltre ad essere erroneo in diritto, sia tale
da palesare la consapevolezza della non spettanza del diritto fatto
valere, o evidenzi un grado di imprudenza, imperizia o negligenza

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lavoro; mancata predisposizione dei turni per usufruire del servizio

accentuatamente anormali (Cass. 2 giugno 1995, n. 6190; conf. Cass.
26 giugno 2007, n. 14789).
23. Applicando i detti principi al caso di specie si osserva che la domanda
di condanna per lite temeraria, oltre a non essere stata prospettata con
riferimento a tutti i motivi di ricorso (il primo dei quali è, come sopra

(prova dell’altrui malafede ovvero di un grado di imprudenza,
imperizia o negligenza nell’agire in giudizio accentuatamente anormale,
ciò sempre con riferimento a tutti i motivi di ricorso) oltre che
ingiustificata per la mancanza di allegazione e prova di un danno
subito a causa della condotta temeraria della controparte, diverso ed
ulteriore rispetto alla necessità di doversi difendere in giudizio
(risultando, a tal fine, del tutto inidoneo il richiamo a principi affermati
con riguardo alla legge n. 89/2001).
24. L’istanza ex art. 96 cod. proc. civ., pertanto, non può essere accolta.
25. Per il principio della soccombenza le spese del presente giudizio sono
poste a carico della ricorrente e vengono liquidate come da dispositivo
con attribuzione in favore degli avv. Vincenzo Mitra, Andrea Ferraro e
Paolo Galluccio per dichiarato anticipo fattone.
26.11 ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di

entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (art. 1, comma 17 della
legge 24 dicembre 2012, n. 228 del 2012), che ha integrato l’art. 13 del
d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, aggiungendovi il comma 1 quater del
seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta
integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che
l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione,
principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice dà atto nel
provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo
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precisato, di tipo processuale) è avulsa dal presupposto imprescindibile

precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito
dello stesso”.
27. Essendo il ricorso in questione integralmente da respingersi, deve

provvedersi in conformità.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio liquidate in euro 100,00 per esborsi ed euro
2.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso
spese forfetario in misura del 15%, con attribuzione ai difensori
antistatari.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte delle- ,
ricorrenti- dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in

il 10 febbraio 2016.

P.Q.M.

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