Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6716 del 23/03/2011

Cassazione civile sez. VI, 23/03/2011, (ud. 11/02/2011, dep. 23/03/2011), n.6716

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 19891/2009 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Po n. 25/b, presso lo

studio dell’avv. PESSI Roberto, che la rappresenta e difende per

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.B.G., elettivamente domiciliata in Roma, Corso

Vittorio Emanuele II nn. 282-284, presso lo studio degli Avv. Maria

Rosaria Russo Valentini ed Emanuela Consoli, rappresentata e difesa

dall’Avv. MONTALTO Giuseppe per procura conferita in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 477/09 della Corte d’appello di Campobasso,

depositata in data 9.07.2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio in

data 11.2.2011 dal Consigliere Dott. Giovanni Mammone;

udito l’Avv. Montalto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Alberto Libertino.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

1.- D.B.G. chiedeva che fosse dichiarata la nullità del termine apposto ad un contratto di assunzione alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a.. Accolta la domanda, conseguiva la declaratoria dell’instaurazione di rapporto di lavoro a tempo indeterminato e la condanna del datore al pagamento delle retribuzioni arretrate.

2.- Proposto appello da Poste Italiane, la Corte d’appello di Campobasso, con sentenza pubblicata il 9.7.09, rigettava l’impugnazione.

Considerato che il contratto era stipulato in forza dell’art. 8 del CCNL Poste 26.11.94, come integrato dall’accordo 25.9.97, per esigenze eccezionali connesse alla fase di ristrutturazione dell’azienda, rilevava che le assunzioni per tale causale erano ammesse fino al 30.4.98 – data fissata dalle parti collettive con accordo integrativo 16.1.98 – di modo che per quella in questione, relativa al periodo 1.6-30.10.99, il termine era illegittimamente apposto.

3.- Avverso questa sentenza Poste Italiane proponeva ricorso per cassazione, cui rispondeva D.B. con controricorso.

Il Consigliere relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., depositava relazione che, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Camera di consiglio, era comunicata al Procuratore generale ed era notificata ai difensori costituiti.

Poste Italiane ha depositato memoria.

4.- I motivi dedotti da Poste Italiane s.p.a. possono essere così sintetizzati:

4.1.- il rapporto di lavoro avrebbe dovuto essere ritenuto risolto per mutuo consenso, costituendo l’ampio lasso di tempo trascorso tra la cessazione del rapporto e l’offerta della prestazione indice di disinteresse del lavoratore a sostenere la nullità del termine, di modo che erroneamente il giudice di merito avrebbe affermato che l’inerzia non costituisce comportamento idoneo a rappresentare la carenza di interesse al ripristino del rapporto;

4.2.- violazione della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, dell’art. 1362 c.c., e segg., e art. 8 del ccnl 26.11.94, nonchè degli accordi 25.9.97, 16.1.98 e 27.4.98, contestandosi l’interpretazione data alla contrattazione collettiva dal giudice di merito, in particolare evidenziandosi la contraddittorietà della sentenza impugnata quando afferma che l’accordo 25.9.97, pur derogando alla disciplina generale del contratto a termine, sarebbe soggetta ad un limite temporale di efficacia;

4.3.- violazione delle normativa in materia di risarcimento del danno, non avendo le ricorrenti provato e quantificato il danno conseguente alla nullità del termine, nè costituito in mora il datore di lavoro, atteso che le attrici avrebbero diritto a titolo risarcitorio alle retribuzioni solo dal momento dell’effettiva ripresa del servizio; si sostiene, inoltre, che erroneamente il giudice di merito non ha considerato l’eventualità che controparte possa avere svolto altre attività lavorative tanto da consentire la deduzione dell’aliunde perceptum da quanto dovuto dal datore a titolo di risarcimento;

5.- Il ricorso è infondato in ragione della giurisprudenza di questa Corte, che sulle questioni oggi sollevate dalla ricorrente ha adottato orientamenti ormai consolidati.

6.- Quanto al primo motivo (risoluzione per mutuo consenso) la giurisprudenza della Corte di Cassazione (v. per tutte Cass. 17.12.04 n. 23554 e numerose altre seguenti) ha ritenuto che “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale scaduto) per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè, alla stregua delle modalità di tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo;

la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto”.

La Corte d’appello ha rilevato che la società appellante, processualmente a tanto onerata, ha omesso di fornire elementi utili a consentire la prospettata valutazione, non ritenendo sufficiente a rappresentare la disaffezione del lavoratore le circostanze che lo stesso avesse atteso prima di intraprendere l’azione giudiziaria (essendo l’attesa ammissibile perchè contenuta nei limiti prescrizionali) e che, in ogni caso il lasso di tempo trascorso era di durata tale (quattordici mesi, prendendo a riferimento la scadenza di una seconda assunzione a termine disposta da Poste Italiane) da rimanere nei limiti della ragionevolezza. Trattasi di considerazioni di merito congruamente motivate, come tali non censurabili sul piano logico, anche per la sostanziale mancanza di autosufficienza del ricorso sul punto, per la carenza di specifica indicazione circa la durata del periodo di tempo atteso dalla ricorrente per iniziare la controversia in sede giudiziaria.

7.- Quanto al secondo motivo, la giurisprudenza ritiene che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1, nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, conv. dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (v. S.u. 2.3.06 n. 4588). Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo integrativo del 25.9.97, la giurisprudenza ritiene corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento agli accordi attuativi sottoscritti lo stesso 25.9.97 e il 16.1.98, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza – dapprima fino al 31.1.98 e poi (in base al secondo accordo) fino al 30.4.98 – della situazione di fatto integrante delle esigente eccezionali menzionate dal detto accordo integrativo. Per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione l’impresa poteva dunque procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale straordinario con contratto tempo determinato, con la conseguenza che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati dopo il 30.4.98 in quanto privi di presupposto normativo.

In altre parole, dato che le parti collettive avevano raggiunto originariamente un’intesa priva di termine ed avevano successivamente stipulato accordi attuativi che avevano posto un limite temporale alla possibilità di procedere con assunzioni a termine, fissato inizialmente al 31.1.98 e successivamente al 30.4.98, l’indicazione di tale causale nel contratto a termine avrebbe legittimato l’assunzione solo ove il contratto fosse scaduto in data non successiva al 30.4.98 (v., ex plurimis, Cass. 23.8.06 n. 18378).

Conseguentemente i contratti scadenti (o comunque stipulati) al di fuori di tale limite temporale sono illegittimi in quanto non rientranti nel complesso legislativo-negoziale costituito dalla L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e dalla successiva legislazione collettiva che consente la deroga alla L. n. 230 del 1962.

8.- Il terzo motivo si prospetta, invece, inammissibile non risultando la questione trattata dal giudice di secondo grado e non essendo al riguardo dedotto il vizio di omesso esame di uno specifico motivo di appello.

Conseguentemente non deve essere presa in esame nel presente giudizio la questione dell’applicabilità del sopravvenuto della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, che pure parte ricorrente aveva sollevato nella sua memoria.

9.- In definitiva, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Il rigetto del ricorso è adottato ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in Euro 30,00 (trenta) per esborsi ed in Euro 2.000,00 (duemila) per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2011

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