Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6711 del 19/03/2010

Cassazione civile sez. II, 19/03/2010, (ud. 04/12/2009, dep. 19/03/2010), n.6711

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –

Dott. MENSITIERI Alfredo – Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.L. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE DELLE BELLE ARTI 7, presso lo studio dell’avvocato AMBROSIO

GIUSEPPE, rappresentato e difeso dagli avvocati MASTALLI UMBERTO,

NOVEL PAOLO ALBERTO;

– ricorrente –

contro

C.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEGLI SCIPIONI 268-A, presso lo studio dell’avvocato FRATTARELLI

PIERO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato BONOMI

IGNAZIO;

C.N. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA LIMA 31, presso lo studio dell’avvocato MACCARRONE

GIUSEPPE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

BOLDIZZONI GIORGIO;

– controricorrenti –

e contro

M.C., CORTE D’APPELLO BRESCIA SEZ. PRIMA CIVILE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 845/2006 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 04/09/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

04/12/2009 dal Consigliere Dott. MAZZACANE Vincenzo;

udito l’Avvocato AMBROSIO Giuseppe con delega depositata in udienza

degli Avvocati MASTALLI Umberto, NOVEL Paolo Alberto, difensori del

ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 30/4/1991 C.E. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Bergamo i propri fratelli N. e L. chiedendo disporsi la divisione ex art. 713 c.c. e segg. e art. 1111 c.c. e segg. del patrimonio immobiliare comune loro pervenuto sia per acquisto che per successione e condannarsi i convenuti a rimborsarle le somme da lei spese anche nel loro interesse per le cose comuni, per spese funerarie, tasse di successione ed altro.

L’attrice esponeva che negli anni ’70 ella, la sorella ed il padre G. avevano acquistato in comunione alcune proprietà; che il padre era poi deceduto nel (OMISSIS) lasciando un testamento in forza del quale il suo patrimonio era destinato per un terzo ai figli E., Gi. e N. e, per la restante parte, in parti uguali, agli stessi e all’altro figlio L., con usufrutto generale in favore della moglie A.L.; che nel (OMISSIS) era morto “ab intestato” Gi. lasciando eredi i fratelli e la madre, e che nel (OMISSIS) anche costei era morta.

C.N. costituendosi in giudizio aderiva alla domanda di divisione pur contestando le altre pretese della sorella.

C.L. si costituiva in giudizio e, pur non opponendosi alla divisione, deduceva la lesione della propria quota di legittima in quanto alcuni immobili di proprietà delle sorelle, identificati con i numeri da 1 a 12, dovevano ritenersi intestazioni fittizie, cosicchè gli stessi avrebbero dovuto essere considerati appartenenti alla sfera giuridica del padre e quindi compresi nell’asse ereditario; aggiungeva che,qualora non fosse risultata provata la simulazione, si sarebbe trattato di donazione indiretta realizzata mediante il conferimento ai donatari del denaro necessario per l’acquisto degli immobili agli stessi poi intestati, pertanto gli immobili medesimi avrebbero dovuto essere imputati dalle sorelle alle rispettive quote.

Successivamente il giudice istruttore, rilevato che la domanda di riduzione di C.L. comportava la partecipazione al giudizio anche di M.C., marito di C.E. e cointestatario di taluni dei beni in tesi fittiziamente intestati, disponeva l’integrazione del contraddittorio nei confronti dello stesso.

Il M. costituendosi deduceva la sua estraneità al giudizio dal quale chiedeva di essere estromesso.

Il Tribunale adito con sentenza dei 16/12/2003 respingeva la domanda di C.L. di simulazione per intestazione fittizia di persona degli atti con i quali le sorelle avevano acquistato gli immobili da questi indicati,riteneva invece parzialmente provata la domanda di simulazione relativa oggettiva reputando che alcune vendite dai terzi ai figli dissimulassero delle donazioni indirette fatte dal “de cuius” ai figli aventi ad oggetto gli immobili; escludeva comunque la lesione della quota di legittima spettante a C.L. e, individuate le quote spettanti a ciascun condividente, provvedeva a predisporre le corrispondenti porzioni; imputava quindi a ciascuno il valore dei beni ricevuti per donazione indiretta e disponeva per l’assegnazione a ciascuna delle parti dei lotti individuati in sede di C.T.U. e condannava C.N. al pagamento dei conguagli in favore dei fratelli.

Proposto gravame da parte del M. resistevano in giudizio C. N., C.L. ed C.E.; gli ultimi due formulavano anche degli appelli incidentali.

Rimessa la causa al Collegio il procuratore di C.L. dichiarava che il proprio assistito aveva acceso su immobili in comproprietà una ipoteca volontaria sostenendo quindi che il creditore ipotecario avrebbe dovuto prendere necessariamente parte al giudizio; alla udienza collegiale del 22/3/2006, a seguito della chiamata da parte di C.E., si costituiva in giudizio la s.p.a Banca di Bergamo, creditore ipotecario, che concludeva per la tutela della propria posizione.

La Corte di Appello di Brescia con sentenza del 4/9/2006 ha dichiarato inammissibile la chiamata in causa della Banca di Bergamo, ha accolto nei limiti di cui in motivazione l’appello principale proposto dal M., ha rigettato gli appelli incidentali ed ha compensato le spese del primo grado di giudizio tra il M. e L., E. e C.N..

Per la cassazione di tale sentenza C.L. ha proposto un ricorso basato su sei motivi cui C.E. e C.N. hanno resistito con separati controricorsi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente, denunciando nullità della sentenza per violazione dell’art. 1113 c.c., comma 3, degli artt. 102 e 354 c.p.c., censura la sentenza impugnata per aver disatteso l’eccezione sollevata dall’esponente di difetto di integrazione del contraddittorio per la mancata partecipazione al giudizio del proprio creditore ipotecario Banca di Bergamo; al riguardo sostiene che la mancata opposizione alla divisione da parte di quest’ultimo non incideva sulla necessità della sua partecipazione al presente giudizio, considerato che ai sensi dell’art. 1113 c.c. i creditori iscritti “devono essere chiamati ad intervenire” allorquando l’iscrizione sia anteriore alla trascrizione della domanda di divisione, nella specie mai effettuata.

Il ricorrente formula in proposito il seguente quesito di diritto:

“Se a) intrapresa la divisione giudiziale di una comunione immobiliare, b) omessa la trascrizione della relativa domanda e c) conclusosi il primo grado di giudizio, venga successivamente concessa da un condividente e pertanto iscritta un’ipoteca volontaria su una quota dei beni comuni, codesta Corte stabilisca se ricorra o meno una fattispecie di litisconsorzio necessario ai sensi dell’art. 1113 c.c., comma 3 e degli artt. 102 e 784 c.p.c., con la conseguente necessità della rimessione della causa al giudice di primo grado ai sensi dell’art. 354 c.p.c..

La censura è infondata.

Il giudice di appello ha ritenuto alla luce dell’art. 1113 c.c., comma 3, che la mancata partecipazione al giudizio divisorio dei creditori iscritti non configura un difetto di integrità del contraddittorio (previsto per il solo mancato intervento dei creditori opponenti) ma determina soltanto la non opponibilità della divisione al creditore iscritto non chiamato; ha poi aggiunto, quanto alla chiamata in causa della predetta banca da parte di C. E., che essa era inammissibile in quanto non consentita nel giudizio di appello, e che infine la costituzione in giudizio della Banca di Bergamo non poteva essere configurata come un intervento volontario, essendo questo inammissibile davanti al Collegio.

Il convincimento della Corte territoriale è corretto, posto che alla luce del disposto dell’art. 1113 c.c., comma 3, la mancata partecipazione al giudizio divisorio del creditore iscritto costituisce soltanto una causa di inefficacia relativa della divisione da far valere dal creditore stesso non intervenuto; in tal senso è stato autorevolmente sostenuto in dottrina che l’intervento nel giudizio di tale creditore è soltanto requisito di efficacia dalla divisione nei suoi confronti, non essendo dubitabile anche ai sensi dell’art. 784 c.p.c. – che non contempla i creditori iscritti, al contrario dei creditori opponenti, tra i soggetti nei cui confronti deve essere proposta la domanda di divisione – che i creditori iscritti non sono litisconsorti necessari nel giudizio divisorio.

Il motivo proposto risulta comunque infondato anche alla luce del rilievo che, come già evidenziato, nella specie la Banca di Bergamo è divenuta creditrice di C.L. nel corso del giudizio di secondo grado, cosicchè non sussistevano in radice i presupposti per rimettere la causa al primo giudice ai sensi dell’art. 354 c.p.c., non essendo tale credito sorto in epoca antecedente alla domanda di divisione.

Con il secondo motivo il ricorrente, deducendo violazione degli artt. 102 e 354 c.p.c., assume che sulla base della domanda formulata dall’esponente nel giudizio di primo grado volta ad accertare che gli acquisti immobiliari da lui menzionati integravano la fattispecie di negozi simulati per interposizione fittizia di persona, atteso che l’effettivo acquirente era soggetto diverso da quello indicato come formale acquirente, il contraddittorio avrebbe dovuto essere integrato nei confronti delle parti venditrici, e che tale omesso adempimento comportava l’annullamento delle pronunce emesse in primo e secondo grado, con conseguente necessità del rinvio della causa al primo giudice ai sensi dell’art. 383 c.p.c., u.c..

La censura è infondata.

Infatti si osserva che nella simulazione relativa della compravendita per interposizione fittizia dell’acquirente, la presenza del venditore in giudizio non è necessaria, ove sia escluso ogni suo interesse a contrastare l’impugnativa de negozio, essendo in tale ipotesi interessati solo il compratore apparente e colui che vanti diritti in base alla dedotta simulazione(Cass. n. 15/12/1975 n. 4122;

Cass. n. 7/7/2009 n. 15955), e che nella specie il ricorrente non ha prospettato nessun interesse al riguardo da parte dei venditori.

Con il terzo motivo C.L., deducendo omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, censura la sentenza impugnata per aver rigettato l’appello incidentale dell’esponente relativo alla omessa inclusione tra i beni ritenuti oggetto di donazione indiretta a favore di C.N. di due appartamenti siti in (OMISSIS) non compresi nella collazione e quindi nella pronuncia di divisione.

Il motivo è inammissibile.

Invero ai sensi dell’art. 366 c.p.c. – applicabile alla fattispecie “ratione temporis” – i motivi di ricorso impugnati per vizio di motivazione devono contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assuma omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, e la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. S.U. 1/10/2007 n. 20603; Cass. Ord. 7/4/2008 n. 8897), requisito quest’ultimo non ricorrente nel motivo in esame.

Con il quarto motivo il ricorrente, denunciando violazione e/o falsa applicazione dell’art. 737 c.p.c., assume che erroneamente la Corte territoriale ha rigettato l’appello incidentale dell’esponente il quale aveva lamentato l’inclusione, tra i beni oggetto di donazione indiretta e, quindi, di collazione, degli immobili da lui indicati “sub” nn. 1 e 2 della comparsa di costituzione e risposta depositata nel primo grado di giudizio ed acquistati il primo in piena proprietà ed il secondo insieme al fratello Gi. in ragione di una quota del 50% ciascuno; infatti tali immobili, sebbene formalmente intestati a C.L. all’atto dell’acquisto, erano stati acquistati dal padre G. il quale, sia pure a distanza di alcuni anni, si era fatto rilasciare una procura irrevocabile utilizzando la quale aveva poi venduto alla moglie A.L. il complesso immobiliare sopra indicato “sub” n. 1 ed al figlio Gi. la quota dell’immobile indicato “sub” n. 2; orbene, contrariamente all’assunto del giudice di appello, il rilascio da parte dei figli formalmente intestatari degli immobili di procure irrevocabili al padre con facoltà di amministrarli e venderli era un evidente sintomo che nella realtà il padre non aveva inteso effettuare alcuna liberalità o donazione indiretta a favore dei figli, ma, al di là della formale intestazione a costoro, si riteneva il sostanziale proprietario degli immobili, riservandosi tramite il rilascio delle procure irrevocabili il potere di disporne.

Il ricorrente ha formulato al riguardo il seguente quesito di diritto: “In presenza di acquisti immobiliari intestati al figlio ed effettuati con denaro fornito dal padre e di rilascio dal primo al secondo di procura irrevocabile ad amministrare gli immobili stessi, codesta Suprema Corte stabilisca se ricorra o meno la fattispecie di donazioni indirette soggette a collazione ai sensi dell’art. 737 c.c.”.

La censura è infondata.

La sentenza impugnata, premesso che C.L. non aveva contestato che gli acquisti dei suddetti immobili erano stati effettuati con denaro fornito dal padre, ha ritenuto che nella specie si era perfezionata una donazione indiretta mediante la liberale fornitura, da parte del padre, della provvista necessaria per quegli acquisti, evidenziando che il rilascio della procura al padre, avvenuto a distanza di parecchi anni, se certamente era stato funzionale ad assicurare al mandatario poteri di amministrazione e disposizione dei beni acquistati con il denaro stesso, nondimeno non appariva tale da far venire meno il significato di quella attribuzione a titolo gratuito; a tal riguardo il giudice di appello ha attribuito giustamente rilievo al fatto che nel mandato irrevocabile rilasciato da C.L. al padre con promessa di “rato e valido”, nondimeno era stato mantenuto “fermo l’obbligo del rendiconto”, posto che da tale riferimento alla specifica obbligazione del mandatario prevista dall’art. 1713 c.c. era evidente che l’attività di gestione ordinaria e straordinaria del bene ed anche la sua eventuale vendita dovevano andare necessariamente a profitto del mandante al quale, infatti, avrebbero dovuto essere rimesse dal mandatario le somme ricevute in esecuzione del mandato stesso; la Corte territoriale ha quindi logicamente concluso che le modalità con le quali il mandato era stato eseguito non incidevano sulla questione riguardante la proprietà di quei beni oggetto di donazione indiretta, come era confermato dal fatto che lo stesso C.L., proprio rivendicando la propria veste di proprietario e mandante, aveva a suo tempo agito nei confronti del padre per far dichiarare a sè inopponibili – in quanto non rientranti tra le attività autorizzate – gli atti di disposizione posti in essere dal mandatario stesso sugli immobili.

Sulla base di quanto esposto è agevole osservare che la Corte territoriale ha proceduto ad un accertamento di fatto sorretto da adeguata e logica motivazione, comunque non censurata dal ricorrente che, con il motivo in esame, ha denunciato, come già esposto, solo la violazione dell’art. 737 c.c.; sotto tale profilo, peraltro, la questione proposta si rivela inconferente, considerato che il quesito di diritto come sopra riportato non considera il non censurato richiamo della sentenza impugnata al previsto obbligo di rendiconto espressamente mantenuto a carico del mandatario C.G. nei confronti del mandante C.L. con le conseguenti logiche ricadute in ordine alla proprietà degli immobili suddetti da parte dell’attuale ricorrente per effetto di donazione indiretta di essi da parte del padre che aveva fornito il denaro necessario per il loro acquisto.

Con il quinto motivo il ricorrente, deducendo violazione e/o falsa applicazione degli artt. 737 – 746 e 747 c.c., sostiene che il giudice di appello, avendo ritenuto che C.G. aveva fornito al figlio L. il denaro da costui poi impiegato per l’acquisto dei due suddetti immobili, avrebbe dovuto porsi il problema se l’oggetto della donazione indiretta fosse il denaro in sè e per sè considerato oppure il denaro quale mezzo per l’unico e specifico fine dell’acquisto dell’immobile, posto che nel primo caso oggetto della donazione sarebbe la somma di denaro, mentre nel secondo caso sarebbe l’immobile.

Con il sesto motivo di ricorso il ricorrente, denunciando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., rileva che, sempre in riferimento alle asserite donazioni indirette degli immobili sopra indicati, in presenza dell’alternativa tra la donazione indiretta avente ad oggetto la somma di denaro e quella avente ad oggetto l’immobile acquistato con il denaro all’uopo erogato da C.G., la Corte territoriale è giunta a quest’ultima conclusione senza che fosse mai stata fornita o acquisita in giudizio la prova dell’erogazione da parte del padre al figlio del denaro quale mezzo per l’unico e specifico fine dell’acquisto dell’immobile.

Le enunciate censure, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono inammissibili.

Come emerge dalla narrativa della sentenza impugnata, già il giudice di primo grado aveva ritenuto che le vendite di alcuni immobili da parte di terzi ai figli di C.G. (tra cui lo stesso C. L.) dissimulavano delle donazioni indirette fatte dal “de cuius” ai figli medesimi che avevano avuto ad oggetto gli immobili (vedi pag. 9 della sentenza impugnata), e tale affermazione non risulta essere stata censurata da C.L., che del resto nel ricorso nulla ha dedotto in proposito; pertanto, rilevato che correttamente la Corte territoriale non ha esaminato la suddetta questione, si deve concludere che i motivi in esame riguardano una statuizione ormai passata in giudicato.

Il ricorso deve quindi essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 3500,00 per onorari di avvocato in favore di ciascuna delle due controricorrenti.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2010

 

 

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