Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6709 del 06/04/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 6709 Anno 2016
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: D’ANTONIO ENRICA

SENTENZA

sul ricorso 3756-2011 proposto da:
CLAUWO

VISCARDI

VSCCLD56D28E839H,

VIVENZIO

LUCIANO C.F. VVNLCN55C30F839Z, domiciliati in ROMA,
PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE
SUPREMA Di CASSAZIONE, rappresentati e difesi
dall’avvocato

2016

f

TULlANA UUATTROMINI, PAOLA QUATTROMINI,

giusta delega In atti;
– ricorrenti –

201
contro

S.E.P.S.A.
legale

.P.A. C.E.

002768b0633,

rappresentante pro tempore,

in persona del
elettivamente

Data pubblicazione: 06/04/2016

domiciliata n ROMA VIA UGO DE CAROLIS, 101, presso lo
studio dell’avvocato GI IDA LAVIANO, rappresentata e
difesa dall’avvocat() SEVERINO NARRI, giusta delega in
atti;

controricorrente

di NAPOLI, deposit.aa il 29/11/2010 r.g.n. 10, /20104–1
udita la re_ E one della causa svolta nella pubblica
udienza del 19/01/:.016 dal Consigliere Dott. ENRICA
D’ANTONIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RENATO FTNOCCHI GHERSI, che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n. 7883/2010 della CORTE.

RG n 3756/2011
Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di rigetto della domanda
di Claudio Viscardi e Luciano Vivenzio , dipendenti della società SEPSA con mansioni prevalenti
di conducenti di automezzi su tratte urbane ed extraurbane, avente ad oggetto la condanna del
datore di lavoro al risarcimento del danno da stress lavorativo con lesioni alla integrità psicofisica e danno esistenziale derivante dalla mancata fruizione delle soste fra una corsa e l’altra

La Corte territoriale , dopo un articolato excursus della normativa statuale e comunitaria di
riferimento, ha accertato che la regolamentazione aziendale, nel prevedere il diritto alla pausa
di 15 minuti sui percorsi extraurbani, ovvero comunque superiori ai cinquanta chilometri,
garantiva una disciplina omogenea, se non più favorevole, a quella sancita dalle esaminate
disposizioni normative nazionali e sovranazionali.
La Corte di merito ha rilevato, poi, che sulla base della istruttoria espletata in analoghi giudizi
con ripetuta escussione degli stessi testi indicati dalle parti anche nel presente giudizio i cui
verbali erano stati acquisiti agli atti , non risultava dimostrata la generalizzata violazione del
diritto alle pause e non era emersa l’asserita violazione del predetto diritto su percorsi
effettuati dal lavoratore in causa e tanto, anche, in considerazione delle carenti allegazioni
circa le tratte ed il tempo in cui si sarebbe effettivamente verificato il mancato riposo.
Secondo la Corte , inoltre, a fronte di tali carenze non era possibile disporre un’istruttoria
esplorativa al fine di verificare l’eventuale concretarsi del danno. D’altro canto, secondo la
Corte territoriale , il danno lamentato dai lavoratori non risultava nemmeno sufficientemente
allegato essendosi genericamente “parlato di un ritenuto danno esistenziale” e di uno stress
lavorativo.
Avverso questa sentenza i due lavoratori ricorrono in cassazione sulla base di sette motivi.
Resiste con controricorso la società intimata.
MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va rilevato che non si prospettano i profili di inammissibilità
denunciati essendo delineati con chiarezza e proprietà tutti gli elementi necessari ad individuare le
ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza .
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 1218 e 2697 c.c..
Deducono che la Corte del merito ha confuso tra onere probatorio della violazione del diritto
alle pause ed onere probatorio del danno conseguente a tale violazione non tenendo conto che
incombeva alla controparte provare l’adempimento contrattuale.
Con la seconda censura i ricorrenti, allegando violazione degli artt. 1218, 2043 e 2059
c.c. nonché dell’art. 414 c.p.c., assumono che la Corte del merito ha erroneamente considerato
carenti le allegazioni circa la violazione del loro di diritto alle pause non potendosi pretendere
che fossero indicate le precise circostanze di luogo e di tempo in cui si sarebbero verificate
siffatte violazioni.

a decorrere dal 2000.

RG n 3756/2011

Con il terzo motivo i ricorrenti, denunciando violazione degli artt. 1218, 2043 e
2059 c.c. nonché dell’art. 414 c.p.c., prospettano che la Corte non correttamente ha ritenuto
carente l’allegazione del danno non patrimoniale patito non tenendo conto che dedotto il danno
il relativo accertamento può avvenire anche in via presuntiva.
Con la quarta censura i ricorrenti, assumono – ex art. 360 c.p.c., n. 4 – omessa
pronuncia sul motivo di appello con il quale si era dedotto che difettando le allegazioni in

giudizio.
Con il quinto motivo Id ricorrenti, asserendo violazione dell’art. 414 c.p.c. e dell’art.
156 c.p.c., comma 2, denunciano che la Corte del merito a fronte delle carenti allegazioni sui
danno anziché dichiarare nullo il ricorso Io aveva respinto.
Con il sesto motivo i ricorrenti, deducendo violazione degli dell’art. 115 c.p.c. e dell’art.
111 Cost. rilevano che la Corte ha erroneamente rigettato le richieste istruttorie ed in
particolare l’ ordine di esibizione.
Con la settima censura i ricorrenti,prospettando vizio di motivazione, fanno valere sotto
il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 le argomentazioni di cui al motivo che precede.
Le questioni sollevate con il ricorso in esame sono state già decise da questa Corte in giudizi
del tutto analoghi a quello in esame e relativets a sentenzg-della medesima Corte d’appello ( cfr
Cass n 11410/13 e 10167/2013 nonché 288612014).
Preliminarmente occorre evidenziare che la sentenza impugnata risulta ancorata a due distinte
rationes decidendi, autonome l’una dall’altra, e ciascuna, da sola, sufficiente a sorreggerne il
decisum: da un lato, all’affermazione della mancata prova della non fruizione del riposo;
dall’altro, al rilievo della non dimostrata ricorrenza di un danno. Orbene è ius receptum, nella
giurisprudenza di questa Corte, il principio per il quale qualora la sentenza impugnata sia
basata su una motivazione strutturata in una pluralità di ordini di ragioni, convergenti o
alternativi, autonomi l’uno dallo altro, e ciascuno, di per sé solo, idoneo a supportare il relativo
dictum, la resistenza di una di queste rationes agli appunti mossi con l’impugnazione comporta
che la decisione deve essere tenuta ferma sulla base del profilo della sua

ratio non, o mal,

censurato, privando in tal modo l’impugnazione dell’idoneità al raggiungimento del suo
obiettivo funzionale, rappresentato dalla rimozione della pronuncia contestata (cfr., in merito,
ex muitis, Cass. n. 4349 del 2001, Cass. n. 4424 del 2001, Cass. n. 24540 del 2009).
Applicando siffatto principiodcaso di specie consegue che se una delle indicate rationes
decidendi “resiste” all’impugnazione proposta dal ricorrente è dei tutto ultronea la verifica di

detta resistenza rispetto all’autonoma, alternativa e distinta regione della decisione.
Tanto precisato ritiene il Collegio che la ratio della sentenza impugnata, secondo la quale non
vi è prova della mancata fruizione dei riposo di cui è causa essendo emerso, a seguito della
espletata istruttoria, che non vi era stata violazione da parte dell’azienda nella concessione di
detto riposo, resiste alla denuncia dei vizi lamentati in proposito da parte ricorrente.
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ordine al danno da mancata sosta si sarebbe dovuto dichiarare nullo il ricorso introduttivo del

RG n 3756/2011

Innanzitutto occorre esaminare il primo motivo di gravame con cui si lamenta che la sentenza
impugnata avrebbe violato i criteri di ripartizione dell’onere della prova in materia di
inadempimento contrattuale in quanto incombeva sulla convenuta società debitrice dimostrare
l’avvenuto concreto godimento delle soste spettanti al conducente creditore. La doglianza non
è fondata proprio perché secondo la Corte napoletana la società ha “convincentemente
dimostrato che solo in casi eccezionali poteva essersi verificata la mancata fruizione della sosta
al capolinea per 15 minuti”, per cui l’inadempimento dedotto dal ricorrente nel senso che a

era mai realizzato così come denunciato; ne risulta di conseguenza che secondo i giudici del
merito la società aveva fornito la prova della fruizione delle soste, con un accertamento di fatto
estraneo al giudizio di legittimità.
Inoltre costituisce regula iuris nella giurisprudenza di questa Corte che il principio generale di
riparto dell’onere probatorio di cui all’art. 2697 c.c. deve essere conternperato con il principio
di acquisizione, desumibile da alcune disposizioni del codice di rito (quale ad esempio l’art. 245
c.p.c., comma 2) ed avente fondamento nella costituzionalizzazione del principio del giusto
processo, in base al quale le risultanze istruttorie, comunque acquisite al processo, e quale che
sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale si siano formate, concorrono tutte alla
formazione dei convincimento del giudice (per tutte cfr. Cass. SS.Ult n. 28498 del 2005; Cass.
n. 1516 del 2008, Cass. n. 12131 del 2009). E la Corte distrettuale, appunto sulla base degli
elementi agli atti, indipendentemente dalla parte ad iniziativa della quale erano stati acquisiti,
ha accertato che non vi è stata da parte della società la violazione del diritto alla fruizione delle
soste di cui trattasi.
Tale convincimento ha espresso nonostante le ritenute carenze dell’atto introduttivo, per cui
perde di rilievo il secondo motivo di ricorso, rispetto al quale occorre tuttavia osservare in
generale che se corrispondesse al vero quanto dedotto dalla difesa del ricorrente – e cioè che
non poteva pretendersi che fossero indicate dall’attore le precise circostanze di tempo e di
luogo in cui si sarebbero verificate le violazioni del diritto alle pause – non si vede poi come il
giudice avrebbe Wpotuto procedere all’istruttoria su allegazioni indefinite dal punto di vista
spazio-temporale, accertando le medesime e garantendo anche il diritto di difesa della
controparte.
Sulla ricostruzione del fatto storico – fruizione delle soste – così come offerta dalla Corte di
Appello parte ricorrente articola poi una serie di censure, lamentando la mancata ammissione
di mezzi istruttori tempestivamente richiesti in ricorso e coltivati con l’appello, anche con
specifico riguardo all’esibizione di documenti

(sesto

motivo), l’omessa, insufficiente e

contraddittoria motivazione circa tale fatto controverso e decisivo per il giudizio (settimo
motivo).

Orbene è pacifico che l’accertamento dei fatti che hanno dato origine alla controversia compete
al giudice del merito ed è sindacabile in sede di legittimità nei ristretti ambiti del

vizio di

motivazione, che è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come
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partire dall’anno 2000, per ogni turno lavorativo espletato, non aveva mai fruito di soste non si

RG n 3756/2011
risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero
condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel
complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base
degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità
rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo
attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile
istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di

di cassazione (in termini, Cass. SS.UU. n. 24148 del 2013).

• Invero il motivo di ricorso ex art. 360, co. 1, n.. 5, c.p.c., non conferisce alla Corte di
cassazione il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo
vaglio, ma solo quello di controllare, sul piano della coerenza logico-formale e della correttezza
giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di
individuare le fonti del proprio convincimento, controllarne l’attendibilità e la concludenza
nonché scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute maggiormente idonee a
dimostrare la veridicità dei fatti in discussione, dando così liberamente prevalenza all’uno o
all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (tra
numerose altre: Cass. SS.UU. n. 5802 del 1998 nonché Cass. n. 1892 del 2002, n. 15355 del
2004, n. 1014 del 2006; n. 18119 del 2008).
In particolare, avuto riguardo al sesto motivo, occorre poi ribadire il principio secondo cui il
vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può
essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’omissione di
motivazione su di un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa
ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un
giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che
hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la rado decidendi venga
a trovarsi priva di fondamento (Cass. n. 11457 del 2007; conformi: Cass. n. 4369 del 2009;
Cass. n. 5377 del 2011). Il che non si verifica nella specie, anche tenendo conto – in ordine al
mancato accoglimento dell’istanza di esibizione proposta al fine di acquisire al giudizio
documenti ritenuti indispensabili dal lavoratore – dei limiti del sindacato di questa Corte:
Infatti, trattandosi di strumento Istruttorio residuale, utilizzabile soltanto quando la prova del
fatto non sia acquisibile al/onde e l’iniziativa non presenti finalità esplorative, la valutazione
della relativa indispensabilità è rimessa al potere discrezionale del giudice di merito e non
necessita neppure di essere esplicitata nella motivazione con la conseguenza che il mancato
esercizio di tale potere non è sindacabile neppure sotto il profilo del difetto di motivazione (per
tutte: Cass. n. 4375 del 2010 e Cass. n. 23120 del 2011).
Quanto alle censure relative al danno ed alla mancanza di prova della sua sussistenza
affermata dalla Corte l’accertata correttezza della sentenza con riferimento all’insussistenza di

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una nuova pronuncia sui fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio

RG n 3756/2011

prova circa la mancata fruizione delle pause rende superfluo l’esame degli altri motivi relativi
alla sussistenza del danno .
Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato con condanna dei ricorrenti
a pagare le spese processuali
PQM
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a pagare le spese del presente giudizio liquidate in
Euro 100,00 per esborsi ed Euro 2.500,00 per compensi professionali oltre 15% per spese

Roma 19/1/2016

generali e accessori di legge .

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