Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6704 del 19/03/2010

Cassazione civile sez. I, 19/03/2010, (ud. 13/01/2010, dep. 19/03/2010), n.6704

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28643/2005 proposto da:

RODOLFO BORGHINI S.R.L. IN LIQUIDAZIONE (C.F. e P.I. (OMISSIS)), in

persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA F. DENZA 27, presso l’avvocato PIPERNO PAOLO, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati PIPERNO ALBERTO,

SENSI GIOVANNI, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

BALDASSINI – TOGNOZZI – PONTELLO COSTRUZIONI GENERALI S.P.A. (c.f.

(OMISSIS)), già BALDASSINI TOGNOZZI COSTRUZIONI GENERALI S.P.A., in

persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA ATTILIO FRIGGERI 106, presso l’avvocato TAMPONI MICHELE,

rappresentata e difesa dall’avvocato CESARONI MASSIMO, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso le sentenze n. 944/97 non definitiva e n. 616/2005 della

CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositate rispettivamente il 17/6/97 e

il 02/05/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/01/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato ROSSELLA CINI, per delega, che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con lodo pronunciato il 1 luglio 1996,il Collegio arbitrale di cui all’art. 11 dell’atto di conferimento di azienda da parte della s.r.l. Rodolfo Borghini Costruzioni alla s.p.a. Baldassini Tognozzi Costruzioni generali, condannò quest’ultima a rifondere alla controparte la differenza fra gli importi di L. 1.100.000.000 e L. 696.091.657, nonchè a saldare i debiti verso gli istituti bancari comprese tutte le spese accessorie,su richiesta della Borghini; ed infine a risarcirle il danno commerciale all’immagine nella misura di L. 1.000.000.

La Corte di appello di Firenze,con sentenza non definitiva del 17 giugno 1997 ha accolto l’impugnazione della Baldassini Tognozzi, e dichiarato la nullità del lodo perchè i consulenti avevano violato il principio del contraddittorio utilizzando documentazione posta a disposizione della Baldassini soltanto a perizia ormai conclusa, ed effettuando attività esterna senza informarne i consulenti delle parti che pur avevano diritto a parteciparvi. Con sentenza definitiva del 2 maggio 2005 ha condannato la s.r.l. Borghini al pagamento in favore della controparte della somma di Euro 568.350,00,osservando che la nuova c.t. disposta aveva accertato: a) che la differenza di netto patrimoniale dovuto dalla Borghini in forza dell’atto di conferimento ammontava a L. 595.633.787; b) che il debito della società conferente a titolo di utile garantito era di L. 504.846.654; c) che la Baldassini nelle more aveva dedotto di avere provveduto al pagamento dei crediti vantati da alcune banche senza contestazioni dalla controparte;per cui doveva considerarsi fondata l’eccezione di inadempimento avanzata da quest’ultima.

Per la cassazione della sentenza la soc. Borghini ha proposto ricorso per 10 motivi; cui resiste la Baldassini con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso, la s.r.l. Borghini,deducendo omessa ed insufficiente motivazione e travisamento dei fatti censura la sentenza non definitiva 944/1997 per avere annullato il lodo, dichiarando che era stato violato il diritto di difesa della soc. Baldassini Tognozzi per il fatto che i consulenti avevano acquisito documentazione senza renderla disponibile alla suddetta società se non a perizia conclusa; nonchè dichiarazioni delle parti e di terzi senza porre le parti in grado di conoscerle: senza considerare che in realtà si era trattato di documentazione richiesta dagli ausiliari al Borghini che era stata agli stessi consegnata nella seduta del 21 giugno 1995 in conferenza con i periti di entrambe le parti.

Con il secondo motivo,deducendo violazione degli artt. 816 ed 829 c.p.c., nonchè art. 194 c.p.c. e segg., si duole che la Corte territoriale abbia ravvisato la violazione del principio del contraddittorio anche nell’attività dei consulenti di acquisizione di dichiarazioni, informazioni ed altri elementi delle parti o di terzi, considerandola esterna e non espletabile senza previa comunicazione alle parti e/o partecipazione dei loro consulenti;laddove proprio il disposto dell’art. 194 c.p.c.: a) li faculta ad attingere autonomamente “aliunde” notizie e dati,nonchè a richiedere alle parti o a terzi ogni elemento utile per il compimento della consulenza; b) non richiede per alcuna di dette attività la comunicazione alle parti o l’autorizzazione da parte delle stesse; e d’altra parte nel caso tutta la documentazione poi effettivamente utilizzata era stata acquisita alla presenza dei consulenti di parte, che ben avrebbero potuto esaminarla e formulare le opportune contestazioni. Senza considerare che difetta in radice la motivazione in merito all’affermazione che alla Baldassini non sia stato consentito di prospettare le proprie difese; ed ancor più in ordine al fatto che si era in tal modo consumata una mera irregolarità procedurale,tuttavia sufficiente a violare la regola del contraddittorio pur in mancanza di alterazione sostanziale degli elementi acquisiti. Le doglianze sono fondate.

Nè la sentenza impugnata nè alcuna delle parti hanno mai riferito che esse nella clausola compromissoria abbiano stabilito specifiche regole da seguire per lo svolgimento dell’istruzione e del procedimento arbitrale in genere;per cui doveva nel caso trovare applicazione il principio del tutto consolidato nella giurisprudenza di legittimità per il quale nel relativo giudizio qualora le parti non abbiano determinato nel compromesso o nella clausola compromissoria le regole processuali da adottare, gli arbitri – soprattutto quando siano chiamati ad emettere, come nella specie, un giudizio di equità e senza formalità di procedura – sono liberi di regolare l’articolazione del procedimento nel modo che ritengano più opportuno; e, quindi, anche di discostarsi dalle prescrizioni dettate dal codice di rito, purchè rispettino, sia pure con gli opportuni adattamenti, il principio inderogabile del contraddittorio, posto dall’art. 101 c.p.c. (Cass. 19949/2007; 23670/2006; 473/2006).

L’art. 816 c.p.c., infatti, stabilisce tra l’altro, nel comma 2, che “le parti possono stabilire nel compromesso, nella clausola compromissoria o con atto scritto separato, purchè anteriore all’inizio del giudizio arbitrale, le norme che gli arbitri debbono osservare nel procedimento”; nel comma 3, che “in mancanza di tali norme gli arbitri hanno facoltà di regolare lo svolgimento del giudizio nel modo che ritengono più opportuno”; e nel comma 4, che “essi debbono in ogni caso assegnare alle parti i termini per presentare documenti e per esporre le loro repliche”.

I principi suindicati trovano riscontro nella previsione di cui all’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 7, secondo cui il lodo è impugnabile per nullità “se nel procedimento non sono state osservate le forme prescritte per i giudizi sotto pena di nullità quando le parti ne avevano stabilita l’osservanza a norma dell’art. 816 c.p.c., e la nullità non è stata sanata”.

Tale previsione ha trovato integrazione con la introduzione, operata dalla L. 5 gennaio 1994, n. 25, art. 21, nell’art. 829 c.p.c., comma 1, del n. 9 che configura, quale ulteriore autonomo motivo di nullità del lodo, l’inosservanza nel procedimento arbitrale del principio del contraddittorio, che del resto anche in precedenza veniva considerata – così come la violazione di ogni altro principio processuale con il contraddittorio connesso – ricompresa nell’area di applicazione del n. 7.

E, d’altra parte, l’esigenza del rispetto del suddetto principio nel procedimento arbitrale riceve specificazione nella giurisprudenza nel senso che: a) gli arbitri devono consentire alle parti di esporre i rispettivi assunti, di conoscere le prove e le risultanze del processo, di presentare entro un termine prefissato memorie e repliche e di prendere visione in tempo utile delle istanze e richieste avversarie (Cass. 23670/2006; 20828/2004; 1496/2001); b) nel caso in cui, più in particolare, sia stata disposta una consulenza tecnica di ufficio, sussiste per gli arbitri l’obbligo (soltanto) di far conoscere alle parti i risultati della perizia e di concedere a queste ultime termine per le deduzioni e difese, non escluso il deposito di una relazione, affidata a tecnici di fiducia, la quale rechi osservazioni e rilievi al contenuto della consulenza stessa (Cass. 19949/2007; 923/1992; 64/1988); c) in tal caso, dunque, il principio dettato dall’art. 101 c.p.c., adattato al procedimento dinanzi agli arbitri, deve essere opportunamente riferito al momento della chiusura della trattazione, in modo da assicurare – senza che ne risulti leso l’altro principio di libertà delle forme espresso dall’art. 816 c.p.c., commi 2 e 3 – l’osservanza della regola “audiatur et altera pars”, secondo il precetto inderogabile del comma 4, della stessa disposizione.

In definitiva, gli arbitri chiamati a decidere secondo equità hanno la facoltà di regolare l’assunzione delle prove e di qualsiasi accertamento nel modo ritenuto più opportuno, ma devono, dopo il compimento dell’istruttoria e prima di emettere la pronuncia, assegnare alle parti un termine, onde consentire loro, sulla base delle risultanze istruttorie, la presentazione delle rispettive osservazioni e difese (Cass. fin da 5 luglio 1957 n. 2638): essi devono far conoscere alle parti i risultati dell’istruttoria e concedere termine per le loro deduzioni e difese a seguito della istruttoria espletata (Cass. 18918/2004, – 11936/2001; 7346/2001; 5788/2000).

Nella specie,quindi, non è dato di ravvisare violazione alcuna dei principi in questione in base a quanto accertato dalla stessa sentenza impugnata e confermato con maggiori specificazioni dalla società controricorrente ogni volta che: 1) i consulenti di ufficio richiesero a ciascuna delle parti l’opportuna documentazione necessaria all’espletamento della consulenza avente natura soprattutto contabile; la quale venne formalmente consegnata nella riunione del 21 giugno 1995, alla presenza di entrambi i consulenti di parte: nel senso che ciascuno di essi – e quindi anche quello della società Baldassini (pag. 25 controric.) – con apposito verbale provvide alla consegna ai consulenti di ufficio di quella di pertinenza della società rappresentata,secondo richiesta di costoro; b) seppure non risulta che nella medesima riunione detta documentazione sia stata posta a disposizione della controparte e/o da questa esaminata,è certo che la stessa venne depositata dai consulenti di ufficio unitamente alla relazione di perizia il 2 ottobre 1995 (pag.28 controric.): come del resto ha ribadito la sentenza non definitiva,laddove ha rilevato che fu resa “disponibile alla Baldassini Tognozzi Costruzioni s.p.a. soltanto a perizia ormai conclusa…” (pag. 6 sent.; 30 e 31 controric.); c) alle parti fu dato immediatamente un termine per dedurre in ordine alle risultanze della consulenza tecnica e della documentazione depositata da ciascuna di esse: puntualmente utilizzato dalla Baldassini, la quale ha assunto di avere depositato al riguardo “memoria in data 6 novembre 1995, successiva al deposito della perizia”; d) gli arbitri esaminarono ì loro rilievi e disposero il richiamo dei consulenti per disporre gli opportuni chiarimenti anche in ordine alle deduzioni delle parti, che depositarono gli scritti difensivi conclusionali (pag. 9 controric.).

Non è poi esatto che la disposizione dell’art. 194 c.p.c., attribuisse alla Baldassini il diritto di prendere visione della documentazione suddetta anche prima del compimento della consulenza: in quanto detta norma e quelle degli artt. 90 e 91 disp. att. c.p.c., pongono a carico del c.t.u. l’obbligo di dare comunicazione ai procuratori delle parti ed ai loro consulenti unicamente dell’inizio delle relative operazioni: senza dover ripetere analoga comunicazione per le singole successive operazioni dirette all’espletamento dell’incarico; la cui mancanza non è ricompresa nel nucleo essenziale del rispetto del contraddittorio, inderogabile anche quando gli arbitri sono dispensati dall’osservanza delle regole del processo davanti al giudice ordinario. Il quale principio impone invece che alle stesse non venga preclusa la facoltà di discutere le risultanze della C.T.U. anche tramite propri tecnici di fiducia:nel caso osservata per avere la stessa società ammesso di avere avuto a disposizione la suddetta documentazione dal momento del deposito della relazione di consulenza,nonchè di aver avuto concesso un congruo termine onde presentare osservazioni e memorie (Cass. 18598/2008; 4271/2004; 15/2003). Con la conseguenza che in tali casi la giurisprudenza di questa Corte ne ha ritenuto configurabile la violazione ipotizzata dalla Corte di appello con conseguente nullità del lodo (art. 829 c.p.c.), non certamente in ogni ipotesi di mera “irregolarità procedurale, anche se eventualmente non abbia determinato una alterazione sostanziale degli elementi acquisiti e della decisione” (pag. 6 sent.); bensì soltanto quando gli arbitri non consentano alle parti di conoscere le prove e le risultanze del processo, di presentare entro un termine prefissato memorie e repliche e di prendere visione in tempo utile delle istanze e delle richieste avversarie (Cass. 20828/2004; 8540/2000); ed a maggior ragione quando, concessa ad una parte la facoltà di depositare memorie e documenti anche dopo la chiusura dell’istruttoria, non sia data comunicazione all’altra del deposito nè assegnato termine per eventuali osservazioni (Cass. 6579/1994). Non anche quando i propri consulenti acquisiscano la documentazione ritenuta necessaria senza esibirla ai consulenti di parte e/o la esaminano senza convocarli, per poi depositarla insieme all’elaborato al termine degli accertamenti: in tal modo ponendola a disposizione di ciascuna di esse prima della discussione e della decisione della controversia.

Ancor meno sostenibile è che siffatta violazione sia ravvisabile per avere i consulenti “compiuto accessi”, “assunto dichiarazioni delle parti o di terzi”, “chiesto chiarimenti e ricercato documentazione” senza avere preventivamente avvertito i consulenti delle parti, ovvero posto costoro in grado di partecipare ai relativi atti; avendo questa Corte ripetutamente affermato fin da pronunce assai lontane nel tempo (cfr. Cass. 6569/1980), ed anche con riguardo al giudizio ordinario, che il consulente tecnico può attingere “aliunde” notizie non rilevabili dagli atti processuali e concernenti fatti e situazioni che formano oggetto dei suoi accertamenti, quando ciò sia necessario per espletare convenientemente il compito affidatogli: così come nello svolgimento delle indagini che è stato autorizzato a compiere da solo, è abilitato ad acquisire, anche di sua iniziativa, ogni altro elemento necessario per rispondere ai quesiti, ancorchè risultante da documenti non prodotti in causa, sempre che si tratti di fatti accessori, rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza: con il solo doppio limite – che qui non viene in discussione e non è neppure menzionato dalla sentenza impugnata – che non si tratti di fatti o situazioni che dovevano costituire oggetto di prova gravante per il disposto dell’art. 2697 c.c., da parte di queste; e che delle indagini ed elementi acquisiti e poi dal consulente effettivamente utilizzati siano indicate le fonti in modo che le parti siano messe in grado di effettuarne il dovuto controllo (Cass. 13428/2007; 3936/2007; 13686/2001). Proprio questa situazione si è verificata nel caso concreto in cui tutti gli atti, le acquisizioni e le dichiarazioni assunte dai consulenti sono stati verbalizzati, pur quando provenivano da una delle parti con la conseguenza che dal momento del deposito della consulenza, la Baldassini è stata posta in grado di conoscerli unitamente alla loro fonte,nonchè di contestarne sotto ogni profilo la valenza probatoria;ed infine di formulare ogni possibile richiesta istruttoria rivolta ad escluderne gli effetti ad essi ricollegati dalla consulenza. Laddove neppure detta parte ha mai prospettato sotto quale profilo taluno di essi abbia fuorviato l’esame contabile condotto dagli ausiliari ed i risultati cui gli stessi sono pervenuti; ma ha lamentato soltanto con il primo motivo dell’impugnazione proposto alla Corte di appello – e da questa disatteso – che i consulenti non si erano limitati a fornire giudizi tecnici da sottoporre al vaglio degli arbitri, bensì su richiesta di questi ultimi si erano spinti a prospettare anche la soluzione di parte dei quesiti (pag. 6 sent.) cui invece soltanto il lodo era chiamato a dare risposta.

Assorbiti pertanto gli altri motivi di impugnazione,la sentenza impugnata che non si è attenuta a questi principi va cassata unitamente a quella definitiva 616/2005 (3 motivo del ricorso) che ha deciso il giudizio rescissorio, con rinvio alla stessa Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, che provvederà ad esaminare i restanti motivi di impugnazione del lodo nonchè a liquidare le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie i primi tre motivi del ricorso, ed assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2010

 

 

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