Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6703 del 19/03/2010

Cassazione civile sez. I, 19/03/2010, (ud. 12/01/2010, dep. 19/03/2010), n.6703

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – rel. Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13611-2005 proposto da:

VILLAGGIO MARINELLO DI GRECO GIOVANNI & C. S.A.S. (c.f. e

P.I.

(OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PREMUDA 6, presso l’avvocato

FIORINO GIUSEPPE, che la rappresenta e difende, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.G. (C.F. (OMISSIS)), A.P.,

H.P. (nata a (OMISSIS);

– intimati –

sul ricorso 16898-2005 proposto da:

A.P. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA LATINA 57/1, presso l’avvocato RAIMONDO

CARMELO, rappresentato e difeso dall’avvocato CELI LUIGI, giusta

procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

VILLAGGIO MARINELLO DI GRECO GIOVANNI & C. S.A.S., in persona

del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA PREMUDA 6, presso l’avvocato FIORINO GIUSEPPE, che la rappresenta

e difende, giusta procura a margine del ricorso principale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

contro

G.G., H.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 130/2004 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 14/04/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/01/2010 dal Consigliere Dott. ALDO CECCHERINI;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato G. FIORINO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso principale e rigetto del ricorso

incidentale;

udito, per il controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato

L. CELI che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e

accoglimento del ricorso incidentale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata in data 10 marzo 1993, A.P. citò la società Villaggio Marinello s.a.s., dalla quale era stato escluso, e gli altri due soci ( G.G. e H. P.), chiedendone la condanna alla liquidazione e al pagamento della quota sociale, pari al 40% del capitale sociale, con gli accessori. La società si difese nel merito, chiedendo tra l’altro che la quota fosse determinata in conformità della scrittura privata stipulata tra tutti i soci il (OMISSIS).

Con sentenza 14 dicembre 2001 il tribunale, esclusa la legittimazione passiva dei soci, e ritenuto che il patto stipulato dai soci circa il valore delle rispettive partecipazioni fosse superato dalla successiva stipulazione, in data 31 dicembre 1984, del contratto di società, condannò la società a pagare per il titolo indicato, in luogo della somma determinata dal consulente tecnico, la maggior somma calcolata senza tener conto del patto da essa invocato, da compensare parzialmente con un minore credito della società medesima, oltre agli interessi legali, e compensò le spese del giudizio.

Proposero appello sia la società, in via principale, e sia l’attore in via incidentale. Con sentenza 16 aprile 2004, la corte d’appello di Messina accolse parzialmente il gravame principale, in punto di decorrenza degli interessi, e respinse tutte le altre doglianze, compensando le spese. La corte, in particolare, considerò che il patto invocato dalla società, in ordine alla determinazione della quota di partecipazione dell’ A. in misura inferiore a quella ritenuta dal tribunale, siccome patto parasociale intervenuto tra i tre soci non aveva efficacia rispetto alla società; che la compensazione delle spese del primo grado di giudizio, censurata dall’appellante incidentale, era giustificata dall’opinabilità, al tempo dell’introduzione del giudizio, della legittimazione passiva rispetto alla liquidazione della quota di società di persone; che al socio creditore non spettava il risarcimento del maggior danno da mora, nella specie ipotizzabile solo dalla data della domanda giudiziale, perchè a quella data, e fino al 31 dicembre 1996 il tasso legale d’interesse era stato del 10%, ampiamente compensativo, mentre la successiva riduzione era coincisa con una forte riduzione della svalutazione monetaria, sicchè gli interessi legali apparivano sufficienti a tenere indenne il creditore dal pregiudizio per la temporanea indisponibilità della somma dovuta.

Avverso la sentenza, non notificata, ha proposto ricorso per Cassazione la Villaggio Marinello s.a.s. per quattro motivi.

Il signor A.P. resiste con controricorso e ricorso incidentale per due motivi. Al ricorso incidentale resiste la società con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I due ricorsi, proposti contro la medesima sentenza, devono essere riuniti a norma dell’art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo del ricorso principale si censura per vizio di motivazione l’omesso esame dei motivi di appello concernenti la validità del patto stipulato dai soci, e ribadito anche dopo la costituzione della società, circa il valore da attribuire alle partecipazioni sociali.

Con il secondo motivo si censura per violazione di norme di diritto (artt. 1322, 2251, 2293 e 2351 c.c.) l’affermazione dell’inopponibilità alla società dei patti parasociali stipulati senza la sua partecipazione, non avendo la corte territoriale considerato che nella fattispecie si tratta di società di persone, e che al patto che aveva preceduto la stipulazione del contratto sociale avevano preso parte tutti i soci, ivi compresi quelli che avrebbero poi assunto la qualità di accomandatari, e quindi legali rappresentanti della società.

Con il terzo motivo si denuncia per violazione delle norme sull’interpretazione dei contratti (artt. 1362, 1363 e 1367 c.c.) l’omessa considerazione della circostanza dedotta, che l’accordo del 19 dicembre 1984, precedente alla stipulazione del contratto sociale, era stato richiamato ed integrato, tre giorni dopo la costituzione della società, dall’accordo 3/1/1985, stipulato dai due soci accomandatari, legali rappresentanti della società.

I tre motivi vertono sul medesimo punto dell’impugnata decisione, che ha ritenuto inefficace per la società il patto parasociale stipulato dai soci, avente ad oggetto una diversa determinazione delle quote sociali. Essi sono infondati.

Il giudice d’appello ha correttamente qualificato il patto in questione come patto parasociale, trattandosi di patto con il quale tutte le parti, soci della costituenda società in accomandita semplice, si impegnavano a determinare le quote rispettive di partecipazione in modo diverso da quanto poi sarebbe stato convenuto nell’atto pubblico. Il patto, come è pacifico in causa, non indicava direttamente delle percentuali diverse, ma indicava un criterio di determinazione delle stesse, che implicava delle stime da eseguire appositamente, e che dovevano essere eseguite dopo la formale costituzione della società. Su questi punti, che emergono con chiarezza dalla sentenza impugnata, non vi è contrasto, essendo condivisi dalla stessa società ricorrente.

Da queste premesse discendeva necessariamente il carattere vincolante, per i soci, dell’accordo circa la modifica dell’atto costitutivo, in relazione al quale la società, peraltro neppure ancora costituita, era l’oggetto delle pattuizioni, e non parte essa stessa. Il carattere meramente obbligatorio per le parti, che al contratto doveva essere attribuito in relazione alla sua predetta qualificazione giuridica, comportava che la società, estranea all’accordo, continuasse ad essere regolata dal contratto sociale stipulato, fino al momento in cui le modifiche concordate non fossero state apportate dai partecipanti al patto. Nè quanto sin qui osservato poteva essere influenzato dalla circostanza che oggetto del patto parasociale fosse una società di persone, e precisamente una società in accomandita semplice, e che esso fosse stato concluso con la partecipazione di tutti i soci. E ciò, non solo perchè, non essendo stata la società in accomandita ancora formalmente costituita, alla predetta circostanza non poteva attribuirsi il significato della presenza e della partecipazione della società medesima al patto. Se si ha riguardo al tipo sociale, anzi, il fatto che si trattasse di una società di persone, nella quale non esiste un organo assembleare, si deve riconoscere che neppure nell’ipotesi che la società in accomandita fosse già costituita sarebbe stato possibile ravvisare nell’insieme dei partecipanti al patto un’assemblea (totalitaria) deliberante in materia di modifiche del contratto sociale. In realtà, tuttavia, il vincolo nascente dal patto parasociale opera su un terreno che è, per definizione, esterno a quello dell’organizzazione sociale, sicchè la qualificazione data dal giudice di merito al patto, e non censurata dalla ricorrente, implicava di per sè l’estraneità della società a quel vincolo. Il carattere meramente obbligatorio del vincolo, del resto, derivava dal suo stesso contenuto, che come s’è detto non sostituiva delle percentuali di partecipazione a quelle indicate nell’atto costitutivo, ma prevedeva solo dei criteri per farlo, all’esito di apposite stime. In definitiva, il patto parasociale in questione obbligava i soci a modificare il contratto sociale, seppure con efficacia estesa a tutta la durata di esso, ma proprio perciò non poteva essere interpretato come tale da modificare esso stesso il contratto sociale.

Di fatto è stato accertato che, sebbene gli accomandatari avessero incaricato della stima un esperto al fine di dare esecuzione al patto, i soci non addivennero mai alla modifica concordata, e conseguentemente la società continuò ad essere retta dal contratto sociale stipulato, senza che le ragioni della mancata esecuzione del patto parasociale potessero assumere rilievo nel giudizio per la liquidazione della quota del socio escluso.

In tale quadro, la validità del patto parasociale non è stata messa in discussione dalla corte d’appello, con la conseguente inammissibilità dei motivi primo e terzo, che erroneamente attribuiscono alla sentenza impugnata un vizio astrattamente predicabile per la sentenza di primo grado, secondo la quale il patto medesimo sarebbe stato caducato dalle determinazioni negoziali assunte in sede di stipulazione del contratto sociale; mentre il secondo motivo è infondato, perchè la società di persone non ha – in quanto tale – alcuna legittimazione sostanziale alla modifica del suo atto costitutivo, che è rimessa interamente alle determinazioni negoziali dei suoi soci, e perchè in ogni caso il patto parasociale non poteva avere altro effetto che obbligare i soci a prestare il loro consenso alla modifica dell’atto costitutivo, e non valeva da solo a giustificare la disapplicazione del contratto sociale stipulato.

Il quarto motivo verte sul diverso regolamento delle spese, che avrebbe dovuto far seguito all’accoglimento dell’appello. Esso è pertanto assorbito dal rigetto dei motivi precedenti.

Con il primo motivo del ricorso incidentale, il socio escluso denuncia la violazione dell’art. 1224 c.c. la falsa applicazione dell’art. 1227 c.c. e vizi di motivazione in relazione al rigetto della domanda di risarcimento del maggior danno sulla tardiva liquidazione della quota sociale. La qualità di imprenditore commerciale, del ricorrente, dispensava dalla prova del danno concreto, potendosi presumere che in caso di tempestivo adempimento la somma sarebbe stata impiegata in modo da sottrarla al deprezzamento.

Le censure sono inammissibili. Il ricorrente non indica le affermazioni della corte del merito che si porrebbero in violazione dei principi invocati, concernenti la risarcibilità del maggior danno che, nelle obbligazioni di valuta, si verifichino durante la mora, in concomitanza con il deprezzamento della moneta, e le censure vertono esclusivamente sulla motivazione del rigetto della domanda.

Il ricorrente, tuttavia, ignora, e pertanto non sottopone a censura puntuale, le osservazioni contenute nell’impugnata sentenza in ordine al fatto che gli elementi di prova addotti dall’appellante non provavano la qualità di operatore commerciale ma la sua attività manageriale, e, soprattutto, che nel periodo della mora debendi, il tasso degli interessi legali era stato superiore a quello di deprezzamento della moneta.

Il secondo motivo censura il difetto di motivazione in punto di compensazione delle spese.

Anche questo mezzo è inammissibile. La corte d’appello ha adeguatamente motivato la disposta compensazione, osservando che il socio A. era soccombente già in primo in punto di risarcimento del maggior danno, mentre, in appello, egli era soccombente anche in punto di decorrenza degli interessi. La censura verte pertanto esclusivamente sull’esercizio del potere che al giudice è conferito dall’art. 92 cpv. c.p.c. e che è di natura discrezionale.

In conclusione entrambi i ricorsi devono essere rigettati. Stante la reciproca soccombenza le spese del giudizio di legittimità sono compensate tra le parti.

P.Q.M.

La corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese del giudizio di legittimità tra le parti.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione della Corte suprema di cassazione, il 12 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2010

 

 

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