Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6694 del 10/03/2021

Cassazione civile sez. I, 10/03/2021, (ud. 17/11/2020, dep. 10/03/2021), n.6694

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17948/2019 proposto da:

D.E., elettivamente domiciliato in Roma Via G. P. da

Palestrina 63, presso lo studio dell’avvocato Contaldi Gianluca,

rappresentato e difeso dall’avvocato Consoli Daniela;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 584/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 13/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/11/2020 da Dott. RUSSO RITA.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1.- Il ricorrente, cittadino (OMISSIS), ha chiesto la protezione internazionale narrando di essere stato perseguitato per le sue idee politiche ed in particolare che nel 2011 dopo un forte impegno nella campagna elettorale, quale membro dell'(OMISSIS) in opposizione al dittatore J., è stato arrestato, torturato, rilasciato dopo 15 giorni e di essere fuggito dopo il rilascio. La domanda è stata respinta dalla competente Commissione territoriale e la decisione è stata confermata dal Tribunale di Firenze, che ha ritenuto la storia narrata non veritiera. Il richiedente ha proposto appello e la Corte d’appello di Firenze ha confermato il provvedimento di primo grado, condividendo la valutazione di non credibilità già espressa dal Tribunale; sulla richiesta di protezione umanitaria, ha osservato che non vi è prova che le pur maturate condizioni di inserimento sociale lavorativo in Italia verrebbero pregiudicate dal ritorno nel paese di origine.

2.- Avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione il richiedente affidandosi a quattro motivi. Non ha spiegato difese il Ministero intimato.

Diritto

RITENUTO

Che:

3.- Con il primo motivo del ricorso la parte lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e la mancanza assoluta della motivazione o comunque la motivazione apparente ed incomprensibile sul punto della valutazione di credibilità; nonchè la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in riferimento all’omesso esercizio del dovere di cooperazione istruttoria, al fine di elaborare il giudizio di credibilità e attendibilità.

Deduce che la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto il difetto di credibilità soltanto perchè egli avrebbe mostrato di “non conoscere quale fosse la struttura grafica della tessera e il motto del partito cui ha riferito di appartenere”. Di contro egli trascrive le dichiarazioni rese innanzi alla Commissione territoriale, dalle quali risulta che egli ha descritto la tessera del partito, il colore e il logo in essa riportati; afferma che non ha saputo indicare il “motto” solo in ragione della equivocità del termine e della sua difficoltà di traduzione; la Corte d’appello avrebbe dovuto dunque procedere a una nuova audizione del ricorrente al fine di approfondire le ragioni della mancata comprensione della domanda sul motto del partito. Con il secondo motivo del ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in riferimento alla ritenuta mancanza di prove dell’appartenenza al partito (OMISSIS) nonchè la violazione dell’art. 115 c.p.c., in riferimento alle prove documentali; ancora lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio atteso che la Corte non ha indicato in motivazione le ragioni per cui le prove documentali dalla appartenenza all'(OMISSIS) sono state ritenute insufficienti; la Corte non ha inoltre tenuto conto della pubblicazione di Amnesty International 2016 che denuncia le gravi violazioni dei diritti umani posti in essere ai danni dei membri dell'(OMISSIS).

I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente, sono infondati.

Si deve in primo luogo rilevare che la richiesta è stata respinta sia in primo che in secondo grado per le medesime ragioni di fatto e che pertanto la parte non può dolersi del vizio di omessa motivazione se non dimostrando che le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e di quella di rigetto dell’appello sono tra loro diverse (Cass. 8515/2020).

In ogni caso la censura non coglie esattamente la ratio decidendi esposta dal giudice d’appello in punto di credibilità e soprattutto non censura le altre ragioni esposte nella motivazione, di per sè sufficienti ad escludere la attuale sussistenza di rischio persecutorio o di danno grave.

La dichiarata appartenenza al partito (OMISSIS) è stata ritenuta dalla Corte priva di supporto probatorio non solo per la questione del “motto” del partito, indicata a titolo esemplificativo, ma riportandosi alla istruttoria già condotta innanzi alla Commissione e alle ragioni esposte dal primo giudice, non trascritte in ricorso.

Inoltre, il giudice d’appello esclude il rischio dando atto, sulla base di informazioni tratte dal Report di Amnesty International 2017, già utilizzate dal primo giudice, della evoluzione del contesto sociopolitico del paese d’origine; evidenziando in particolare che nel (OMISSIS) è caduto il regime del precedente dittatore J. (quello di cui il richiedente si dichiara oppositore politico) ed è stato avviato un percorso democratico grazie all’opera del nuovo presidente eletto.

La valutazione dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale deve farsi all’attualità (Cass. 28990/2018; Cass. 2954/2020) sicchè una volta che il giudice ha assolto all’onere di cooperazione istruttoria assumendo informazioni aggiornate sulla condizione del paese di origine, mutate in melius, la parte non può lamentare che non siano stati considerati Report meno aggiornati di quelli utilizzati dal giudice, che descrivono un rischio ormai appartenente al passato. Lo specifico rischio individuale che il ricorrente ha dedotto e cioè di essere perseguitato in quanto oppositore politico dell’ex dittatore è esattamente quello che in ragione del mutamento politico descritto dai giudici di merito, sulla base di informazioni tratte da fonte ritenuta attendibile e che è stata espressamente citata, può considerarsi ormai non più attuale.

Del resto, lo stesso ricorrente nell’illustrare l’ultimo motivo di ricorso, ai fini di sostenere la richiesta di protezione umanitaria, riferisce che la condizione personale che ha determinato la sua partenza nel 2012 è maturata “in un contesto socio politico del tutto difforme”.

4.- Con il terzo motivo del ricorso la parte lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e l’omessa motivazione sul punto della ritenuta insussistenza della condizione di rifugiato o beneficiario della protezione internazionale. Deduce che il mero riferimento alla caduta dell’ex presidente dopo una dittatura trentennale non è di per sè sufficiente a ritenere che il Gambia abbia dato prova di un mutamento effettivo non temporaneo e che si abbia la sicurezza della protezione del paese di origine nei confronti dei cittadini; evidenzia che i rapporti delle principali ONG sottolineano la necessità di interventi strutturali fondamentali per porre fine alle gravissime violazioni dei diritti umani esistenti nel paese.

Il motivo è inammissibile perchè generico.

La protezione internazionale è riconosciuta su base individuale, salvo che ricorrano i presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), nei termini rigorosi indicati dalla giurisprudenza della CGUE (17.2. 2009 Elgafaji, C-465/07 e 30.1.2014 Diakitè C- 285/12), che qui non sono in discussione.

Pertanto dal momento in cui la Corte ha escluso la sussistenza del rischio individuale paventato in ragione della evoluzione delle condizioni del paese di origine, non è sufficiente affermare che il cambiamento non è ancora stabilizzato e che occorrono interventi strutturali, ma dovrebbe allegarsi una specifica ragione per la quale il rischio persecutorio o di danno grave può ritenersi ancora attuale.

5.- Con il quarto motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nel testo previgente all’entrata in vigore della L. n. 132 del 2018; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, D.P.R. n. 394 del 1999, art. 28, art. 10 Cost., artt. 3 e 14 della CEDU, art. 3 della Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo, dell’art. 6 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

La parte deduce che la motivazione esposta dal giudice d’appello non consente di comprendere se abbia effettivamente svolto un giudizio di bilanciamento comparativo tra l’integrazione sociale acquisita in Italia e la situazione oggettiva del paese di origine del richiedente, correlata alla sua condizione personale che ne ha determinato la partenza avvenuta nel 2012 in un contesto politico del tutto difforme. Deduce che il ricorrente è fuggito quando nel paese sussisteva una violazione sistematica dei diritti umani e dopo avere subito gravissime violazioni degli stessi e che oggi la sua permanenza in Italia deve essere tutelata ai sensi dell’art. 8 CEDU.

Il motivo è infondato.

La Corte di merito, infatti, premessa l’analisi all’attualità del contesto socio economico nel paese di origine, ha escluso che il richiedente possa oggi subire, in caso di rimpatrio, violazione dei diritti umani ed in particolare che verrebbe irreversibilmente pregiudicata la condizione di inserimento sociale e lavorativo; il giudice d’appello si è quindi attenuto ai principi enunciati in materia da questa Corte che ha più volte rimarcato come la integrazione non può essere considerata isolatamente ed astrattamente, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza e che la valutazione deve farsi in ogni caso all’attualità e su base individuale (Cass. 4455/2018, Cass. 17072/2018; Cass. 18808/2020; Cass. 28990/2018).

Ne consegue il rigetto del ricorso. Nulla sulle spese in difetto di costituzione dell’intimato.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto del sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2021

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