Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6693 del 10/03/2021

Cassazione civile sez. I, 10/03/2021, (ud. 17/11/2020, dep. 10/03/2021), n.6693

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17877/2019 proposto da:

U.Z., elettivamente domiciliato in Prato via Baldinucci 71,

presso lo studio dell’avv. Massimo Goti, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2594/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 13/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/11/2020 da Dott. RUSSO RITA.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1.- Il ricorrente ha chiesto la protezione internazionale, narrando di essere originario del Pakistan, paese ove egli corre il rischio di essere esposto a danno grave da violenza indiscriminata. La richiesta è stata respinta dalla competente Commissione territoriale e il Tribunale ha confermato il rigetto, rendendo tuttavia un provvedimento che in grado d’appello è stata dichiarato nullo, perchè riferito ad altre fattispecie e quindi affetto da carenza di motivazione. La Corte d’appello di Firenze, riesaminando il merito, ha comunque confermato la decisione di rigetto.

2.- Avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione il richiedente affidandosi a due motivi. Non ha spiegato difese il Ministero intimato.

Diritto

RITENUTO

Che:

3.- Con il primo motivo del ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8,D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio per la mancata valutazione della situazione esistente in Pakistan, nonchè l’omessa attività istruttoria in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5). Lamenta l’errore del giudice d’appello in ordine al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria per non avere tenuto conto del fatto che è notorio che nel Punjab pakistano, area di provenienza del ricorrente, emerge una situazione di violenza indiscriminata generale, come risulta da una sentenza emessa dalla Corte d’appello di Trieste in data 12 luglio 2016, che ha riconosciuto a un cittadino pakistano la protezione sussidiaria per la situazione di instabilità del paese. Cita altresì una sentenza del Tribunale di Firenze ove si dà atto che la regione è teatro di violenza da parte dei sunniti verso gli sciiti.

Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente si limita ad affermazioni generiche sulla sussistenza di uno stato di violenza indiscriminata nel suo paese di origine, sovrapponendo però i concetti di conflitto interno con quello di instabilità dato dagli attacchi terroristici, con censure prive di specificità e di riferimenti concreti alla ratio decidendi della Corte d’appello, così violando i parametri dati dall’art. 366 c.p.c., comma 1 n. 4 (cfr. Cass. 14578/2018; Cass. 30535/2018).

Nella sentenza impugnata si precisa infatti che il rischio di danno grave per violenza indiscriminata derivante da conflitto, rilevante del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14 lett. c), è cosa diversa dal rischio di attacchi terroristici; la Corte di merito si adegua così alla rigorosa interpretazione data dalla CGUE nelle sentenze del 17 febbraio 2009 (Elgafaji, C-465/07) e del 30 gennaio 2014, (Diakitè C- 285/12), fatta propria anche dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 13858/2018, Cass. n. 11103/2019).

La Corte di merito ha inoltre escluso che nel Punjab, secondo le informazioni fornite dal Ministero degli esteri, sussista una situazione di conflitto interno e che il ricorrente sia un possibile bersaglio di attacchi terroristici in ragione della sua appartenenza alla religione musulmana sunnita, e cioè al gruppo aggressore e non a quello aggredito, nonchè in ragione del fatto che dopo le vicende da lui narrate è rimasto in patria senza subire danni per altri due anni. Di contro il ricorrente ribadisce che nella regione i sunniti esercitano violenze contro gli sciiti, senza avvedersi di andare contra se, posto che la Corte d’appello, leggendo le dichiarazioni rese dal richiedente innanzi alla Commissione, ha appunto rilevato che egli è sunnita. Il motivo non coglie pertanto la ratio decidendi e si risolve in una generica e stereotipata reiterazione delle ragioni della richiesta, già esaminate e respinte.

4.- Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Deduce che erroneamente la Corte d’appello gli ha negato la protezione umanitaria, ritenendo di immediata applicazione lo ius superveniens di cui al D.L. n. 113 del 2018 (convertito in L. 1 dicembre 2018, n. 132), entrato in vigore dopo la proposizione della domanda ma prima della deliberazione della sentenza. Deduce che la abrogazione del permesso per motivi umanitari riguarda solamente coloro che hanno fatto domanda di asilo dopo il 5 ottobre 2018, data di entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018.

La Corte d’appello ha infatti negato la invocata protezione umanitaria ritenendo che la modifica legislativa di cui si è detto consente soltanto il riconoscimento del permesso speciale di soggiorno per gli specifici motivi indicati dagli artt. 18, 18 bis, 20 bis, 22 comma 12 quater e 42 bis della normativa, oltre al permesso di soggiorno ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e per motivi di cura medica, abolendo il permesso di soggiorno per motivi umanitari già previsto del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Ha quindi ritenuto la normativa di immediata applicazione, anche al giudizio in corso.

Il motivo è fondato.

Sul punto sono intervenute le sezioni unite di questa Corte (Cass. sez. un. 29459/2019) affermando il seguente principio di diritto: “In tema di successione di leggi nel tempo in materia di protezione umanitaria, il diritto alla protezione, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta a ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile; ne consegue che la normativa introdotta con D.L. n. 113 del 2018, convertito con la L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina contemplata del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, ma, in tale ipotesi, l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno per “casi speciali” previsto dall’art. 1, comma 9, del suddetto D.L.”.

Pertanto, ha errato la Corte d’appello a non scrutinare la domanda del ricorrente sulla base della normativa ratione temporis applicabile alla fattispecie e cioè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nella formulazione previgente alle modifiche apportate dal D.L. n. 113 del 2018.

Ne consegue, in accoglimento del secondo motivo del ricorso, inammissibile il primo, la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, per un nuovo esame sulla richiesta di protezione umanitaria, attenendosi ai principi di diritto enunciati dalle sezioni unite con la sentenza n. 29459/2019. Il giudice di rinvio deciderà anche sulle spese.

PQM

Accoglie il secondo motivo del ricorso, dichiara inammissibile il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia per un nuovo esame e anche per la decisione sulle spese alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2021

 

 

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