Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6692 del 10/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 10/03/2020, (ud. 23/10/2019, dep. 10/03/2020), n.6692

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23325-2014 proposto da:

CASALE MALATESTA SRL, in persona del legale rappresentante,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA EMANUELE FILIBERTO 166, presso

lo studio dell’avvocato SOFIA PASQUINO, che la rappresenta e

difende, giusta procura in calce;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI VELLETRI, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA COSTANTINO MORIN 1, presso lo studio

dell’avvocato ANDREA CLAUDIO MAGGISANO, rappresentato e difeso

dall’avvocato ALESSANDRA CAPOZZI, giusta procura in calce;

– controricorrente –

e contro

VELELTRI SERVIZI SPA;.

– intimata –

avverso la sentenza n. 240/2013 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 04/07/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/10/2019 dal Consigliere Dott. RITA RUSSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

MATTEIS STANISLAO che ha concluso per l’inammissibilità dei primi

tre motivi di ricorso in subordine rigetto, acquisizione del

fascicolo di merito (per i motivi 4, 5, 6 e 7), rigetto dell’ottavo

e del nono motivo, inammissibilità del decimo motivo di ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato CAPOZZI che si riporta al

controricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- La società Casale Malatesta impugna il sollecito di pagamento notificato dall’Azienda speciale Velletri (poi divenuta Velletri servizi s.p.a.) in data 22.12.2008 per mancato pagamento della TARSU anni 2002/2003 assumendo che illegittimamente il Comune aveva applicato la tariffa, riferita ad altre classi e assimilando l’attività agrituristica (svolta dalla società) a quella alberghiera. La società chiama in causa sia l’Azienda che il Comune di Velletri.

Il ricorso è accolto in primo grado. Il Comune di Velletri appella la sentenza ed evidenzia che il sollecito in questione non è il primo atto con cui il contribuente è stato portato a conoscenza del debito perchè preceduto da avvisi (che l’appellante allega) non impugnati, ma avverso i quali era stato proposto solo ricorso in autotutela. Lamenta quindi che la CTP ha omesso di pronunciarsi sulla questione di inammissibilità del ricorso. La società agricola contesta la ammissibilità della produzione in appello dei suddetti documenti.

2.- La CTR del Lazio decide sull’appello del Comune di Velletri con sentenza n. 240/06/13, pronunciata il 3 giugno 2013 e depositata il 4 luglio 2013. Con la predetta sentenza la CTR accoglie l’appello e osserva che il primo giudice ha omesso di pronunciarsi sulla questione della inammissibilità proposta dal Comune e osserva che dai documenti in atti risulta che il sollecito di pagamento è stato preceduto dalla notifica di avvisi non impugnati, ma solo oggetto di ricorso in autotutela. Quindi il contribuente avrebbe potuto far valere solo vizi propri del sollecito, ma non anche il vizio (errata applicazione della tariffa) che doveva essere dedotto con la (tempestiva) impugnazione degli avvisi di accertamento.

3.- Propone ricorso per cassazione la società, affidandosi a dieci motivi. Presenta controricorso il Comune di Velletri.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, e dell’art. 79 c.p.c. in ragione del (dedotto) difetto di legittimazione da parte del sindaco a rappresentare in primo grado il Comune. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta lo stesso vizio, con riferimento al difetto di legittimazione del Sindaco a rappresentare il Comune in secondo grado. In particolare, per quanto attiene al primo grado si deduce che le memorie sono firmate dal Sindaco, e non dal professionista abilitato o dal dirigente dell’ufficio tributi, e per quanto riguarda il secondo grado che l’atto è firmato da un avvocato dell’avvocatura comunale, che è solo un componente dello staff del sindaco, privo di potere di rappresentare l’ente all’esterno. Il Comune resiste deducendo la inammissibilità della censura perchè nuova.

I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono inammissibili per difetto di specificità.

Le questioni dedotte non risultano esaminate nella sentenza impugnata e la parte non deduce che queste censure sono state da lei proposte anche nel giudizio di merito. La parte non precisa quali sarebbero le norme violate se non con un generico riferimento alla L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, e con un inconferente richiamo all’art. 79 c.p.c. nè ha riprodotto nel ricorso, in ossequio al principio di autosufficienza, il contenuto dei documenti a sostegno delle sue deduzioni, passaggio necessario anche qualora si tratti di questione di legitimatio ad processum per difetto di potere rappresentativo, rilevabile anche d’ufficio (Cass. n. 10009/2018). In ogni caso si osserva che il Sindaco, ove non sussista una specifica previsione statutaria (o regolamentare) di conferimento delega, qui non specificamente richiamata, conserva l’esclusiva titolarità del potere di rappresentanza processuale del Comune, ai sensi dell’art. 50 T.U. leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 26 (Cass. 27579/2018).

5.- Con il terzo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, e dell’art. 79 c.p.c. perchè il Comune di Velletri è in stato di dissesto sin dal 1.1.2010 e tutte le attività di gestione economico finanziaria sono state affidate alla competenza dell’Organismo straordinario di liquidazione.

Anche in questo caso si tratta di una questione che non risulta sia mai stata agitata nei giudizi di merito, o esaminata in sentenza, proposta senza specifico riferimento alle norme violate;

si tratta comunque di un motivo infondato. Alla data della dichiarazione di dissesto dell’ente locale e sino all’approvazione del rendiconto non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti dell’ente per i debiti che rientrano nella competenza dell’organo straordinario di liquidazione, mentre nessuna conseguenza si ha per quanto riguarda le azioni di cognizione, le quali possono continuare ad essere promosse da o contro l’ente dissestato, non essendo prevista alcuna perdita della capacità processuale dell’ente locale nè alcuna sostituzione dell’organo della procedura agli organi istituzionali dell’ente (Cass. n. 1191/2001, Cass. n. 15498/2001). Dunque l’ente dissestato, a differenza del fallito, non perde la sua capacità processuale nè, si verifica alcuna sostituzione dell’organo della procedura agli organi istituzionali dell’ente (Cass. n. 1097/2010), nei cui confronti perciò, possono continuare ad esser promosse le ordinarie azioni di cognizione (Cass. sez. un. 16059/2001; Cass. 16959/2016).

6.- Con il quarto e quinto motivo di ricorso si lamenta la omessa e contraddittoria motivazione nonchè la errata valutazione del giudice d’appello sulla notifica e sulla conoscenza dell’avviso di sollecito di pagamento, la falsa ricostruzione dei fatti e la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, e dell’art. 79 c.p.c..

Con il sesto motivo si lamenta la erronea valutazione delle prove presentate in secondo grado e la prescrizione ed inesistenza degli avvisi 65156/745 e 65156/781, con violazione della L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, e dell’art. 79 c.p.c. e della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 163. Con il settimo motivo si lamenta la incompletezza dell’atto impugnato e con l’ottavo motivo la inammissibilità di nuovi mezzi di prova in appello con violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3. I motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono tutti inammissibili, tranne l’ottavo che è infondato.

Iniziando da quest’ultimo motivo, per ragioni di priorità logica, deve osservarsi che la parte è in errore nel ritenere che la controparte non poteva produrre in appello nuovi documenti. Questa Corte ha già più volte affermato, con orientamento cui il Collegio intende dare continuità, che nel processo tributario, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, consente la produzione in appello di qualsiasi documento (Cass. 29568/2018; Cass. 29087/2018).

Quanto al resto, la parte afferma che la CTR ha errato a dichiarare inammissibile il ricorso proposto avverso il sollecito di pagamento nella erronea convinzione i documenti depositatati fossero atti prodromici riferibili a detto sollecito. La società ricorrente, infatti, assume che non vi è corrispondenza tra il sollecito di pagamento e gli avvisi di accertamento prodotti in appello. Si tratta di censure di merito, esposte con riferimenti normativi inconferenti, e con le quali si sollecita una inammissibile revisione del giudizio di fatto operato dalla CTR (Cass. 6519/2019; Cass. 16526/2016).

Con il nono motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione di leggi e regolamenti comunali in materia di agriturismo e TARSU.

In sostanza, la parte ripropone le questioni di merito che sono state ritenute meritevoli di accoglimento da parte della CTP e cioè che l’attività agrituristica deve essere considerata attività agricola a tutti gli effetti e quindi alla predetta attività avrebbe dovuto applicarsi la tariffa corrispondente al genere di attività menzionata e non quella per l’utenza alberghiera o di ristorazione.

Il motivo è inammissibile dal momento che la sentenza impugnata resiste alle censure di cui ai motivi quinto, sesto, settimo, ottavo. Non impugnati gli avvisi di accertamento, la questione di merito sulla pretesa erroneità della tariffa non può essere oggetto di ricorso avverso i solleciti di pagamento.

Con il decimo motivo si lamenta la violazione dell’art. 2041 c.c. per indebito arricchimento del comune di Velletri.

Il motivo è inammissibile.

Si tratta di una questione di cui non vi è traccia nella sentenza impugnata, e rispetto alla quale la parte ricorrente aveva l’onere di specificare l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito (Cass. 15430/2018), nonchè, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, anche di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo avesse fatto. Invece la parte nulla specifica e propone la questione senza riferimento alle difese svolte nei precedenti gradi di giudizio.

Si richiama qui il principio già affermato da questa Corte secondo il quale “è inammissibile, per violazione del criterio dell’autosufficienza, il ricorso per cassazione col quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano “nuove” e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte” (Cass. 17049/2015).

Il ricorso è pertanto da rigettare.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza di parte ricorrente e si liquidano come da dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.300,00, oltre rimborso spese forfetarie ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2020

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