Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6691 del 10/03/2021

Cassazione civile sez. I, 10/03/2021, (ud. 17/11/2020, dep. 10/03/2021), n.6691

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16731/2019 proposto da:

K.I., elettivamente domiciliato in Roma Piazza Dei Consoli, 62,

presso lo studio dell’avvocato Inghilleri Enrica, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione

Internazionale, Ministero dell’interno, (OMISSIS);

– intimato –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12

Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2648/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 26/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/11/2020 da Dott. RUSSO RITA.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1.- Il ricorrente, cittadino (OMISSIS), ha chiesto la protezione internazionale narrando di essere fuggito dal suo paese di origine per la violenza subita da alcuni parenti come conseguenza di una contesa per la proprietà di alcuni appezzamenti di terreno. La richiesta è stata respinta dalla competente Commissione territoriale, decisione che il Tribunale di Ancora ha confermato ritenendo che si tratti di una vicenda personale generica e non documentata. Ha proposto appello il richiedente e la Corte d’appello di Ancona ha confermato la decisione impugnata, osservando che la vicenda è priva di riferimenti di contesto cronologico e personale e che era comunque possibile denunciare i fatti alla polizia o all’autorità locale. Ha escluso che sussista in Ghana una situazione di conflitto armato secondo quanto risulta dal rapporto di Amnesty International 2016, e infine ha escluso anche la sussistenza di una condizione di vulnerabilità rilevante ai fini della protezione umanitaria atteso che il richiedente ha dedotto soltanto di essere privo in patria di una rete di relazioni familiari.

2.- Avverso la sentenza di secondo grado propone ricorso per cassazione il richiedente affidandosi a tre motivi. Si è costituito con contro ricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RITENUTO

Che:

3.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1A della convenzione di Ginevra nonchè del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 2, 3, 4, 5, art. 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, commi 1 e 11. La parte deduce che ha errato la Corte a ritenere non credibile la vicenda a causa di un’errata applicazione dei presupposti di configurazione della persecuzione o comunque del danno grave perchè ha omesso di verificare se in concreto gli episodi di violenza generalizzata e diffusa presenti in tutto il Ghana avessero assunto il livello di intollerabilità denunciato nella domanda di protezione. Deduce che la Corte d’appello ha respinto la domanda proposta ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per non avere acquisito informazioni sulla situazione del paese, accertamento che avrebbe quantomeno dovuto condurre ad un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie

Il motivo è infondato.

3.1.- La difesa del ricorrente denuncia la “svalutazione” della vicenda privata i cui fatti salienti sarebbero invece riconducibili ai modelli normativi della protezione sussidiaria, in virtù della erronea applicazione del concetto di persecuzione o di danno grave da parte della Corte che avrebbe dovuto assumere informazioni sulla situazione del paese di origine.

Si deve osservare che è piuttosto la difesa della parte che non inquadra correttamente i presupposti della protezione sussidiaria, sovrapponendo il profilo di rischio cui dell’art. 14 cit., lett. b), con quello di cui alla lett. c). Il richiedente ha infatti raccontato una storia di danno che gli potrebbe derivare da agente privato (i familiari) ritenuta non rilevante dalla Corte, per la genericità del racconto e la mancata allegazione di un elemento importante per la valutazione del profilo di rischio e cioè la possibilità (o di contro la inutilità) di rivolgersi alle autorità competenti. Il timore di essere danneggiato da un parente e cioè una vicenda privata, rileva, ai fini della protezione sussidiaria prevista dall’art. 14 cit., solo se lo Stato non è in grado di assicurare protezione, e anche su questo elemento la parte deve fornire elementi, anche eventualmente solo in termini di allegazioni. Questa Corte ha già precisato che il giudice non può supplire ad eventuali carenze delle allegazioni (Cass. n. 2355/2020; Cass. 8819/2020), posto che il ricorrente è l’unico ad essere in possesso delle informazioni relative alla sua storia personale e quindi deve indicare gli elementi relativi all’età, all’estrazione, ai rapporti familiari (v. CGUE 5 giugno 2014, causa C-146/14; nello stesso senso Cass. 8819/2020).

3.2.- Punto cruciale per verificare se sussistono i presupposti della invocata protezione sussidiaria nel caso in cui il pericolo di danno grave provenga dall’attività di un agente privato è la valutazione della capacità dello Stato di proteggere il suo cittadino da eventuale persecuzione privata, che deve essere eseguita in concreto e non in astratto. In astratto esiste sempre, in percentuale maggiore o minore, il rischio di fallibilità dello Stato nella protezione del cittadino, anche nei paesi che hanno sistemi giudiziari evoluti e fondati su base democratica. L’esame della domanda di protezione internazionale è su base individuale, come stabilisce del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e quindi non è rivolta a giudicare la efficienza del sistema di pubblica sicurezza e giudiziario di un determinato Stato in astratto o in termini percentuali, quanto il rischio concreto che un soggetto corre nel quadro della vicenda individuale da lui allegata, se ritenuta credibile. Pertanto la vicenda privata narrata non doveva essere letta alla luce delle informazioni sulle violenze generalizzate asseritamente esistenti nel paese, ma sul profilo di rischio pertinente, che non può valutarsi se la parte non allega le ragioni per le quali non si è rivolta alla polizia o comunque la protezione dello Stato è stata nel caso di specie, inefficiente.

3.3- Quanto alla protezione sussidiaria ai sensi dell’art. 14, lett. c), deve osservarsi che la Corte ha assunto le pertinenti informazioni esaminando e citando il rapporto annuale 2016 di Amnesty e ha escluso la esistenza di un conflitto interno.

Si tratta di fonte la cui attendibilità, in questo caso, è convalidata anche dall’inserimento del Ghana, con D.M. 4 ottobre 2019, nell’elenco dei paesi sicuri, il che costituisce quantomeno una presunzione relativa di assenza di conflitto, e che non è contrastata dalle generiche affermazioni del ricorrente. La nozione di violenza indiscriminata da conflitto armato proposta dal ricorrente, il quale parla – peraltro genericamente – di violenze diffuse e violazione dei diritti umani, non collima affatto con quella rigorosa data dalla CGUE nelle sentenze del 17 febbraio 2009 (Elgafaji, C-465/07) e del 30 gennaio 2014, (Diakitè C- 285/12), fatta propria anche dalla giurisprudenza di questa Corte.

La determinazione del significato e della portata del concetto di conflitto armato va stabilita sulla base del significato abituale nel

linguaggio corrente, prendendo in considerazione il contesto nel quale sono utilizzati e gli obiettivi perseguiti dalla normativa in materia di protezione internazionale (Diakitè, cit. p.27) e quindi “senza che l’intensità degli scontri armati, il livello di organizzazione delle forze armate presenti o la durata del conflitto siano oggetto di una valutazione distinta da quella relativa al livello di violenza che imperversa nel territorio in questione” (Diakitè, cit. p.35).

Ai fini della protezione internazionale il conflitto rileva se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Secondo questo indirizzo ormai consolidato, il grado di violenza indiscriminata deve aver raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 13858/2018, Cass. n. 11103/2019). La Corte Europea ha infatti precisato che tanto più il richiedente è eventualmente in grado di dimostrare di essere colpito in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale, tanto meno elevato sarà il grado di violenza indiscriminata richiesto affinchè egli possa beneficiare della protezione sussidiaria (Elgafaji, cit., p. 39). Con la conseguenza, a contrario, che se il riscontro individuale, come nel caso di specie, è del tutto assente, per beneficiare della protezione ex art. 14, lett. c), è richiesto l’accertamento di un grado molto elevato di violenza indiscriminata.

La violenza indiscriminata derivante da conflitto, intesa in questi termini, è dunque cosa ben diversa dalle violenze che un soggetto può subire dai familiari, dalle aggressioni criminali e dalla limitazione delle libertà individuali.

4.- Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32. Si deduce che la Corte è incorsa nella violazione delle norme suddette con riferimento alla valutazione dei presupposti per il permesso di soggiorno per motivi umanitari. La difesa del ricorrente afferma che il rimpatrio porrebbe il ricorrente in una situazione di concreto pericolo per l’incolumità personale e di estrema difficoltà economica e sociale, imponendogli condizioni di vita del tutto inadeguate; egli, già provato dalle vicende familiari e personali, ha trovato assistenza in Italia dove è inserito da tre anni nel contesto della città di residenza. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, ex art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti. In particolare si lamenta che la Corte non abbia verificato la gravità dei “pericoli subiti” dal richiedente nel suo paese d’origine; il fatto che gravi crimini, quali l’aggressione delle persone a motivo della militanza politica a scopo di intimidazione, non vengono puniti nel paese di provenienza e ivi sono endemici; la circostanza che il richiedente è un bersaglio primario degli autori di violenze in relazione alla gravità dello scontro tra opposte fazioni, alla sua appartenenza ed al suo status sociale. Neppure è stato valutato che il sito “(OMISSIS)” curato dalla Farnesina riporta la gravità della situazione della sicurezza interna del paese, descritta come “particolarmente precaria”.

I motivi sono palesemente infondati in quanto si allegano quali fatti di cui si sarebbe omesso l’esame fatti non pertinenti e che non risultano dedotti nei gradi di merito. Dal racconto del ricorrente come riportato in ricorso e in sentenza non si evince che egli sia (o sia stato) un militante politico nè che abbia preso parte a scontri tra fazioni, ma solo che è stato minacciato e aggredito dai parenti per ragioni economiche. Quanto alla violazione di legge, la Corte ha ritenuto, con giudizio di fatto in questa sede incensurabile, non dedotta alcuna particolare condizione di vulnerabilità personale, nè allega oggi diversamente il ricorrente, che si limita ad affermare di essere inserito da tre anni nel contesto nazionale italiano e si riferisce a criticità del paese di origine che come si è detto non sono pertinenti alla sua condizione personale.

Ne consegue il rigetto del ricorso.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del giudizio che liquida in Euro 2.100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2021

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