Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 669 del 15/01/2020

Cassazione civile sez. I, 15/01/2020, (ud. 07/11/2019, dep. 15/01/2020), n.669

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32614/2018 proposto da:

M.S.M., elettivamente domiciliato in Roma Salita Di San

Nicola Da Tolentino 1/b, presso lo studio dell’avvocato Naso

Domenico che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Dalla

Torre Cristiano;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 1134/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 07/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/11/2019 da Dott. IOFRIDA GIULIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Venezia, con sentenza n. 1134/2018, ha respinto il gravame di M.S.M., cittadino del (OMISSIS), avverso l’ordinanza del Tribunale di Venezia che, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, aveva respinto la richiesta dello straniero di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ed umanitaria.

In particolare, i giudici d’appello hanno rilevato che: nell’atto di appello non era stato fatto alcun richiamo alla vicenda personale, essendovi riferimenti solo alla situazione generale nel Paese d’origine, da valutarsi ai fini della richiesta di protezione sussidiaria, cosicchè la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato doveva essere respinta; quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, premesso che nessuna argomentazione era presente in appello in ordine alla sussistenza dei presupposti di cui del D.Lgs. n. 251 del 2008, lett. a) e b), con riferimento ai presupposti di tutela di cui alla lett. c) della stessa legge, il Punjab, zona di provenienza dello straniero, non era interessato da violenza indiscriminata, come emergeva dai Report Human RightsWatch e EASO 2017; non ricorrevano, inoltre, le condizioni per la concessione del permesso per ragioni umanitarie, non emergendo ragioni di particolare vulnerabilità dello straniero.

Avverso la suddetta pronuncia, M.S.M. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che non svolge attività difensiva).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: 1) sia la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per motivazione apparente, sia l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo, in relazione al rigetto della richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato, deducendo che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello, il ricorrente aveva sempre riportato, sia dinanzi alla Commissione Territoriale sia nei due gradi del giudizio di merito, la propria storia personale di perseguitato, in quanto appartenente alla minoranza dei mussulmani sunniti; 2) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in relazione al rigetto della richiesta di protezione sussidiaria sia D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b) sia ex art. 14, lett. c), ed alla mancata attivazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria; 3) con il terzo motivo, in relazione al rigetto della richiesta di protezione umanitaria, sia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, sia l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo, rappresentato dalla situazione di grave vulnerabilità del richiedente sia per la storia personale (le minacce subite dai mussulmani sciiti) sia per la gravissima situazione in cui versa il Pakistan.

2. La prima censura è inammissibile.

Pur essendo la decisione impugnata motivata, con riguardo al motivo di appello inerente al rigetto della richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato, sulla mancata, persino, allegazione dei presupposti di legge, non essendovi nell’atto di appello riferimenti alla vicenda personale ma solo alla situazione generale del Paese, la doglianza, nel ricorso per cassazione, risulta articolata in maniera del tutto generica, essendovi il richiamo (come già fatto, secondo il ricorrente, nel giudizio di merito) a minacce, imprecisate, subite da parte dei mussulmani sciiti, così da non consentire alcun vaglio da parte di questo giudice di legittimità.

2. Il secondo motivo è del pari inammissibile.

Vero che nella materia in oggetto il giudice ha il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, essendo necessario temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti (Cass. 13 dicembre 2016, n. 25534); ma la Corte di merito ha attivato il potere di indagine nel senso indicato.

Inoltre, da ultimo si è ulteriormente chiarito (Cass. 27593/2018) che “in tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati”, cosicchè “la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (cfr. Cass. 27503/2018 e Cass. 29358/2018).

In sostanza, l’attenuazione del principio dispositivo in cui la cooperazione istruttoria consiste si colloca non sul versante dell’allegazione, ma esclusivamente su quello della prova, dovendo, anzi, l’allegazione essere adeguatamente circostanziata, cosicchè solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda (Cass. 17069/2018; Cass. 29358/2018).

In ogni caso, la censura attinente alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione risulta essere assolutamente generica e, per conseguenza, priva di decisività: non solo il ricorrente manca di indicare quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso, anche ai fini della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b).

Con riguardo poi alla violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), nella sentenza impugnata ed al mancato accertamento officioso della situazione del Paese d’origine, la Corte d’appello ha rilevato che, sulla base di fonti internazionali consultate, la zona di provenienza non è interessata da conflitti armati interni ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), giungendo dunque ad escluderla con valutazione di merito, che non è fatta oggetto di specifica doglianza, sotto il profilo della violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo attuale.

3. Il terzo motivo è del pari inammissibile; la Corte di merito, con incensurabile apprezzamento di fatto, ha spiegato le ragioni per le quali non ha riscontrato l’esistenza di condizioni di vulnerabilità idonee a giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria, risultando pertanto il motivo inammissibile. La censura inoltre difetta di specificità, in relazione alle circostanze (decisive nel senso) che, se dedotte e dimostrate nel giudizio di merito, avrebbero determinato un esito diverso dalla domanda, limitandosi il ricorrente a dedurre la situazione di gravissima insicurezza per i civili in Pakistan ed in Libia.

4. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso. Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 7 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020

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