Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6689 del 19/03/2010

Cassazione civile sez. I, 19/03/2010, (ud. 10/12/2009, dep. 19/03/2010), n.6689

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 30106/2006 proposto da:

V.R.A. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE 88, presso l’avvocato RECCHIA

GIORGIO, rappresentata e difesa dall’avvocato DELLA MORTE Bartolomeo,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI – FUNZIONARIO DELEGATO CIPE, in

persona del Presidente pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

contro

CONSORZIO AS.CO.SA.;

– intimato –

sul ricorso 1578/2007 proposto da:

CONSORZIO AS.CO.SA. (P.I. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DELL’ORSO 74, presso l’avvocato DI MARTINO PAOLO, che lo rappresenta

e difende, giusta procura a margine del controricorso e ricorso

incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

V.R.A., P.C.M. – FUNZIONARIO DELEGATO CIPE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3727/2005 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 28/12/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

10/12/2009 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato BARTOLOMEO DELLA MORTE che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il Tribunale di Napoli, con sentenza del 27 gennaio 2001, condannò il Consorzio Ascosa e la Presidenza del Consiglio dei Ministri a corrispondere ad R.A., la somma di L. 1.707.439.077 oltre accessori per l’avvenuta occupazione espropriativa verificatasi nel corso dell’anno 1991 di alcuni terreni di sua proprietà, ubicati nel comune di (OMISSIS) (in catasto al fg. (OMISSIS), part. (OMISSIS)) onde realizzare una bretella stradale facente parte del Programma di ricostruzione di cui alla L. n. 219 del 1981, – e determinò l’indennità per la precedente occupazione temporanea autorizzata con decreti 31 dicembre 1986 e 5 gennaio 1988 del Commissario di governo, di detti fondi nella misura di L. 610.152.174.

In riforma di detta decisione, la Corte di appello di Napoli, con sentenza del 28 dicembre 2005, ha respinto tutte le domande di V. R.A., succeduta all’originario attore nelle more deceduto, nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri; ha dichiarato inammissibile la domanda di determinazione dell’indennità di occupazione della proprietaria nei confronti del Consorzio Ascosa, perchè formulata tardivamente nel corso del giudizio di primo grado, e perchè su di essa l’ente non aveva accettato il contraddittorio;

ha respinto nel resto l’impugnazione del Consorzio confermando il verificarsi dell’occupazione espropriativa dei terreni R. a partire dal (OMISSIS). Ed ha dichiarato, infine, la titolarità passiva esclusiva del Consorzio per i relativi rapporti obbligatori, in quanto concessionario dell’opera pubblica in attuazione del disposto della L. n. 219 del 1981, art. 81, e quindi titolare dei poteri ablativi ed unico responsabile dell’espropriazione attuata in nome proprio, sia pure per conto del Commissario di Governo.

Per la cassazione della sentenza V.R.A. ha proposto ricorso per 3 motivi; cui resiste il Consorzio Ascosa con controricorso, recante ricorso incidentale per un motivo. La Presidenza del Consiglio dei Ministri non ha spigato difese. Le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. I ricorsi vanno anzitutto riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., perchè proposti contro la medesima sentenza.

Con il ricorso incidentale, dall’evidente carattere pregiudiziale, che si articola in diversi profili, il Consorzio Ascosa, deducendo violazione della L. n. 219 del 1981, degli artt. 112, 115 e 116, 132, 276 c.p.c., nonchè di tutti i principi su appalto e concessioni, censura la sentenza impugnata per aver acriticamente aderito all’orientamento giurisprudenziale del tutto consolidato nella giurisprudenza di questa Corte resa anche a sezioni unite, secondo la quale nelle espropriazioni svolte in attuazione della menzionata Legge Speciale del 1981 il soggetto titolare del potere espropriativo e passivamente legittimato nel giudizio di determinazione delle indennità ablatorie è il concessionario dell’opera pubblica e non l’amministrazione concedente; e del quale si chiede quindi una profonda revisione, in quanto: a) detta ricostruzione sarebbe fondata su un mero equivoco: quello cioè di ritenere che i concessionari di detto programma ricostruttivo agiscano in nome e per conto proprio:

così trascurando che per determinare la legittimazione passiva occorre individuare l’ente effettivamente titolare del potere espropriativo, che nella specie è soltanto l’amministrazione concedente; mentre il concessionario svolge il più modesto compito di compiere la procedura e le pratiche espropriative in nome e per conto del concedente; b) essa inoltre avrebbe completamente travisato la normativa di detta L. n. 219, non avvedendosi che la stessa non attribuisce affatto al concessionario i poteri pubblicistici inerenti all’espropriazione, ma gli affida le sole “operazioni” materiali necessarie per l’acquisizione delle aree espropriate, in perfetta sintonia con la disposizione della L. n. 2248 del 1865, art. 324, all. F, che le medesime operazioni devolve all’appaltatore, perciò equiparando le due fattispecie; che per trasferire i poteri al concessionario sarebbe occorso comunque un provvedimento amministrativo, nella fattispecie inesistente; e che dunque l’art. 81 della legge non può essere interpretato in base ad un significato diverso da quello letterale suo proprio. Quello, invece, attribuitogli dalla giurisprudenza viola anche il criterio ermeneutico c.d. teleologico, perchè gli artt. 80 ed 82 dimostrano che tutti i poteri pubblicistici vengono invece conservati al Commissario straordinario del Governo: dalla individuazione delle aree utilizzabili, alla loro occupazione con la conseguenza che i poteri espropriativi proprio dalla L. n. 219, vengono attribuiti all’amministrazione concedente e non esercitati dal concessionario;

c) oltre a confondere pertanto “poteri espropriativi in senso proprio” e “mere incombenze tecnico-materiali” detta interpretazione recepita dalla sentenza impugnata non si sarebbe avveduta nemmeno che tutti gli interventi del concessionario, come espressamente dichiarato dalle convenzioni, dovevano essere attuati in nome e per conto del concedente, e non in nome proprio; e consistevano in mere operazioni materiali quale la presa di possesso degli immobili ed il calcolo aritmetico delle indennità, senza alcun potere pubblicistico, quale quelli di redigere lo stato di consistenza degli immobili o adottarne il decreto di espropriazione; o ancora di provvedere al rimborso degli indennizzi semplicemente anticipati dal concessionario, che dunque le stesse convenzioni pongono a carico del concedente, questo considerandone l’unico effettivo debitore; d) non si avvede che nessuno degli incombenti indicati da dette convenzioni escludono l’esercizio di pubblici poteri e ne palesano la vera natura di meri contratti di appalto, al lume proprio di alcune pronunce di questa Corte le quali individuano l’esercizio di pubblica funzione nella approvazione dei progetti in funzione di dichiarazione di p.u.

nonchè nella successiva pronuncia dei provvedimenti ablatori.

Censure sostanzialmente analoghe sono contenute nei primi due motivi del ricorso principale, con cui la V. insiste nell’escludere il carattere traslativo della concessione che affidava al Consorzio il compito di eseguire il programma ricostruttivo in questione in nome e per conto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, perciò traendone la conclusione che entrambi gli enti erano solidalmente responsabile dell’occupazione illegittima dei suoi terreni; e perciò titolari passivi dell’obbligazione risarcitoria accertata dai giudici di merito.

Al riguardo il Collegio deve rilevare, anzitutto, che è inammissibile la censura con cui la ricorrente principale prospetta per la prima volta l’avvenuto annullamento da parte del giudice amministrativo (sentenza 26 aprile 1991 del TAR Campania) del provvedimento di occupazione temporanea, nonchè di quello di individuazione dell’area perchè il Funzionario delegato dalla P.C.M. avrebbe agito con i poteri conferitigli dal D.L. 3 dicembre 1987, n. 429, non è stato convertito in legge perchè trattasi di circostanze e fatti del tutto nuovi, non prospettati ai giudici di merito e da costoro non esaminati; laddove i motivi del ricorso per Cassazione devono investire a pena di inammissibilità questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, non potendo prospettarsi per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuove contestazioni non trattate nella precedente fase di merito e non rilevabili d’ufficio (Cass. 9 maggio 2000 n. 5845; 12 giugno 1999 n. 5809 19 maggio 1999 n. 4852). E perchè in contrasto con le proprie tesi difensive sostenute nel giudizio di merito, fondate tutte sulla legittimità del decreto di occupazione temporanea sulla quale peraltro la V. ha insistito nell’ultimo motivo del ricorso per richiedere la liquidazione dell’indennnità di occupazione temporanea.

3. Le altre censure della V. e del Consorzio, peraltro rivolte a denunciare più che i vizi della sentenza impugnata, l’interpretazione da anni, non favorevole al Consorzio, offerta da questa Corte anche a sezioni unite, del sistema introdotto dalla legge 219 del 1981, sono prive di consistenza: in quanto, da un lato, si traducono ancora una volta nella mera riproposizione di una diversa ricostruzione della normativa, che parifica e confonde istituti e situazioni nettamente distinti sul piano della fenomenologia giuridica; e dall’altro non tiene in alcun conto le contrarie considerazioni esposte dalla giurisprudenza di legittimità sulle medesime questioni numerose volte esaminate in controversie derivanti dalla medesima concessione di opere affidata allo stesso Consorzio Ascosa; cui dunque il Collegio intende dare continuità.

Il Consorzio muove invero dalla regola dettata dall’art. 12 preleggi, per cui l’interprete “nell’applicare la legge non può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore” (art. 12 preleggi). Ma poi la disattende, non prendendo neppure in esame il diverso significato testuale tra la disposizione della L. n. 2248 del 1865, art. 326, ancorata all’ipotesi in cui, in presenza di appalto di opere pubbliche (oggetto della legge suddetta), le espropriazioni invece di restare a carico diretto dell’amministrazione committente vengano da questa “accollate all’appaltatore”; e quella della L. n. 219 del 1981, art. 81, che disciplina le modalità degli speciali interventi ricostruttivi previsti dal precedente art. 80, disponendo che le relative opere sono “affidate in concessione” – a mezzo di apposite convenzioni in deroga alle norme vigenti – a società ed imprese di costruzione idonee sotto il profilo tecnico ed imprenditoriale; e ribadisce nel comma 3 che “Formano oggetto della concessione tutte le operazioni…”.

L’appalto, infatti, è un contratto, perciò di natura privatistica, che intercorre tra stazione appaltante ed appaltatore -e tra questi soggetti soltanto- per il compimento da parte di un’opera o di un servizio da parte di quest’ultimo; che dunque agisce quale nudus minister del committente anche in relazione ai procedimenti espropriativi affidatigli, deve limitarsi ad eseguire l’incarico affidatogli tramite atti privi di rilevanza esterna, e perciò risponde non già degli atti della procedura compiuti necessariamente in nome e per conto del committente, nè delle obbligazioni indennitarie gravanti esclusivamente su quest’ultimo, ma soltanto dei danni che abbia arrecato a terzi nell’esecuzione dell’opera, in violazione del precetto del neminem laedere posto dall’art. 2043 cod. civ..

Del tutto diverso è invece, l’istituto della concessione, peculiare del diritto pubblico, con il quale la P.A. conferisce, mediante provvedimento amministrativo o atto equipollente (quale è appunto la convenzione prevista dal menzionato art. 81) l’esercizio di determinati poteri e facoltà che le sono propri (ivi compresi quelli concernenti il compimento degli atti delle procedure ablative) al privato. Il quale acquistandoli, sia pure temporaneamente e precariamente, si sostituisce al concedente nello svolgimento dell’attività organizzativa e direttiva necessaria per realizzare l’opera pubblica; e, pur non essendone nè potendone essere destinatario e pur restando sottoposto ai poteri di supremazia, di ingerenza e di controllo dell’amministrazione concedente, agisce in nome proprio ed in tale qualità compie materialmente il procedimento espropriativo (ed è quindi, il solo responsabile delle obbligazioni assunte in dipendenza di essa).

D’altra parte, non vi è alcun elemento che consenta di presumere o di ipotizzare che il legislatore del 1981 non conoscesse o confondesse la diversa, natura, funzione e finalità dei due istituti; e che abbia indicato quello pubblicistico con l’intendimento di riferirsi invece all’appalto, nonchè alla sua peculiare disciplina tanche perchè rientrava nella sua piena discrezionalità di devolvere al Commissario di Governo la facoltà di avvalersi anche dell’istituto privatistico, ovvero di strumenti con effetti analoghi, quali quello della delega prevista dalla L. n. 865 del 1971, artt. 35 e 60, in cui l’ente affidatario dell’opera e delle espropriazioni agisce in nome e per conto di quello espropriante: invece esclusi dal tenore di entrambe le disposizioni (“Le opere sono affidate in concessione”.. .”Formano oggetto di concessione…”), le quali confermano che il legislatore ha fatto riferimento per ben due volte -senza possibilità di deroga per il Commissario straordinario allo speciale strumento, espressamente individuato e nominato, della concessione.

Per cui il solo elemento prospettato dal Consorzio, a sostegno della propria interpretazione, che la concessione configura, in realtà, un mero contratto di appalto (pag. 30), resta affidato al termine “operazioni” utilizzato dall’art. 81 per individuarne l’oggetto, e per di più associato ad una arbitraria limitazione del suo effettivo significato, per la quale le stesse si identificherebbero esclusivamente in attività materiali e meramente esecutive; il quale, oltre ad essere indimostrato ed a tradursi perciò in un’affermazione tautologica priva di qualsiasi valenza probatoria, è smentito anzitutto dal fatto che nella materia espropriativa tale termine è utilizzato indistintamente dalle leggi del settore nonchè da dottrina e giurisprudenza per indicare qualsiasi atto di natura giuridica o materiale, provvedimentale o comportamentale che sì inserisca nell’ambito del relativo procedimento ed al quale la legge medesima assegni uno specifico effetto. Ed è smentito ancor più specificamente, proprio dal comma 3 dell’art. 81 che comprende nelle operazioni suddette tutte indistintamente le attività necessarie per l’acquisizione delle aree occupate, ivi comprese -e per intero- le procedure di espropriazione ed il pagamento delle indennità ai sensi della presente legge”, nonchè “la formulazione del programma costruttivo sulla base delle indicazioni del sindaco di Napoli per quanto concerne il numero degli alloggi da realizzare, le tipologie degli stessi, le prescrizioni urbanistico-edilizie da osservare e i termini per la realizzazione dell’intervento, la progettazione J esecutiva delle opere, la realizzazione delle stesse..”.

Si tratta di una formula talmente ampia, esplicita ed onnicomprensiva (essa contempla, tra l’altro anche le procedure di espropriazione interamente considerate e il pagamento delle indennità), da non lasciar dubbi che “l’intenzione del legislatore” non soltanto era quella di avvalersi dell’istituto della concessione nella sua funzione propria, ma si riferiva inequivocabilmente, attesa l’articolata e complessa attività devoluta al concessionario – perciò per il Commissario straordinario-allo speciale strumento della concessione ed, traslativa: caratterizzata secondo la più qualificata dottrina e la giurisprudenza, anche lontana nel tempo (Cass. 3087/1982; 6474/1983; 6017/1984), dal trasferimento, in tutto o in parte, al concessionario dell’esercizio delle funzioni oggettivamente pubbliche proprie del concedente e necessarie per la realizzazione delle opere. Il quale non può, quindi, essere revocato in dubbio da inappropriate espressioni utilizzate nelle singole convenzioni attuative della L. n. 219, come è avvenuto nell’art. 8 di quella 11/1981 stipulata con il Consorzio Ascosa nel quale l’ente si impegnava a svolgere specifici adempimenti della procedura espropriativa “in nome e per conto del concedente con tempestività ed urgenza”; e che si riferiva all’evidenza alla circostanza che tutti gli interventi venivano svolti nell’interesse dell’amministrazione concedente, come del al resto è comprovato dalla previsione sub b), immediatamente successiva, comprendente “l’espletamento delle procedure di espropriazione in conformità delle disposizioni del titolo Vili della citata L. n. 219 del 1981..”; che per quanto detto prevedevano l’obbligo per il Commissario straordinario, senza possibilità di deroga, di affidarne l’esecuzione tramite concessione traslativa.

4. In realtà la costruzione del Consorzio e della V. è incentrata su di un equivoco ancor più palese e determinante, che cioè funzioni pubbliche e poteri espropriativi non siano stati trasferiti dalla L. n. 219 del 1981 al concessionario dell’opera o del programma edilizio, ma sono rimasti assegnati al Commissario straordinario: come dimostrerebbe il fatto che soltanto a quest’ultimo la normativa attribuisce il potere di adottare il decreto di occupazione temporanea e quello di espropriazione; e che l’art. 80 gli demanda altresì quello “di individuare, nell’ambito del territorio comunale, le aree disponibili ed immediatamente utilizzabili, anche se comprendenti edifici da demolire, nonchè le zone di recupero del patrimonio edilizio”.

Sennonchè questa Corte, anche a sezioni unite, ha ripetutamente avvertito che non deve confondersi il trasferimento delle funzioni proprie del concedente in materia espropriativa, con lo specifico potere autoritativo conferito dalla legge a determinate autorità amministrative – quali il Prefetto, il Presidente della Giunta regionale, il Commissario straordinario o Funzionario delegato CIPE o il Sindaco- di emettere sia il decreto di occupazione temporanea, che quello di esproprio (ed a maggior ragione di adottare provvedimenti a monte del procedimento ablativo, in materia urbanistica che lo rendano possibile); le quali sono assegnatarie in via esclusiva di tale competenza funzionale, non sono identificabili con l’espropriante e non è possibile riferirne l’attività all’amministrazione di appartenenza in base al rapporto di immedesimazione organica. Ed anzi, per costante giurisprudenza di questa Corte devono restare estranee tanto al giudizio di opposizione alla stima dei relativi indennizzi, che a quello per ottenere il risarcimento del danno da occupazione acquisitiva (Cass. 26261/2007;

10354/2005; 15687/2001 cit.; 1991/2000; 6957/1996).

Opinando il contrario, si perverrebbe alla paradossale conclusione che in tutte le espropriazioni, da chiunque intraprese e per qualsivoglia finalità, la titolarità dei conseguenti rapporti obbligatori più non spetterebbe agli enti esproprianti, ma soltanto alle autorità suddette, le sole deputate dalla legge ad emettere i provvedimenti ablatori, ma nel contempo, nell’esercizio di tale funzione, del tutto estranee al procedimento espropriativo, anche quando esse casualmente cumulino la qualifica ora indicata con quella di organo rappresentante dell’amministrazione concedente o espropriante.

Il trasferimento, invece, deve riguardare i poteri e le funzioni assegnati dalla legge al concedente, a cominciare dalla progettazione delle opere nonchè dalla loro approvazione (comportante il più delle volte dichiarazione di p.u. delle stesse); che non possono consistere soltanto in compiti comuni ad un contratto di appalto o alla concessione di soli lavori, quali la redazione del progetto e l’attività materiale di esecuzione fino al completo compimento dell’opera (cfr. L. n. 109 del 1994, art. 19), ma si estendono necessariamente all’intero servizio di pertinenza dell’amministrazione concedente. Con la conseguenza che a quest’ultima viene sostituito il concessionario nel potere-dovere di porre in essere le attività giuridiche e tecniche che precedono e, poi, rendono possibile l’esecuzione dell’opera: a cominciare dalle attività di scelta dei contraenti privati con le procedure di affidamento dei lavori che devono avvenire nei modi dell’evidenza pubblica, all’emissione dei provvedimenti amministrativi di aggiudicazione ed agli strumenti di attuazione riservati agli enti pubblici, ai poteri di sorveglianza e di controllo attribuiti dalle vigenti disposizioni legislative nei pubblici appalti (cfr. R.D. n. 350 del 1895 e succ. modif., anche con riferimento alle funzioni attinenti alla direzione, assistenza e contabilizzazione dei lavori).

Ai quali d’altra parte si riferisce proprio l’ampia elencazione contenuta nel menzionato art. 81, che ha inizio dalla “formulazione del programma costruttivo” e si conclude con l’attività necessaria per rendere le opere compiute.

Detti poteri, in conclusione, necessariamente comprendono il compimento di tutte le operazioni materiali, tecniche e giuridiche occorrenti per la loro realizzazione, fra cui in particolare qui rilevano quelle dirette all’acquisizione delle relative aree anche mediante le procedure di espropriazione. In relazione alle quali, dunque, il concessionario è facultato a svolgere in nome proprio – nella sequenza, con le modalità e nei tempi previsti dalle leggi sulle espropriazioni per p.u.- quella medesima serie di compiti, adempimenti ed attività procedimentali devoluti dal legislatore all’espropriante, quale mezzo necessario per il conseguimento di un risultato (non ottenibile tramite gli strumenti privatistici), rappresentato dalla pronuncia dei decreti ablatori o dalla stipula del contratto di cessione volontaria; con conseguente potere-dovere, per quanto qui interessaci determinare, offrire e depositare le relative indennità.

Il che d’altra parte questa Corte ha affermato proprio nelle decisioni invocate dal Consorzio a sostegno del ricorso, ove è messo in evidenza che in ordine ai procedimenti ablativi, titolare del potere espropriativo è il soggetto cui sia stato conferito il potere ed il compito di procedere all’acquisizione delle aree occorrenti l e di promuovere e curare direttamente, agendo in nome proprio, le necessarie procedure espropriative ed a cui sia addossato il relativo onere; sicchè ricorre la concessione traslativa non già quando al concessionario siano attribuite le funzioni di cui si è detto avanti, riservate ad autorità del tutto estranee al procedimento di espropriazione, bensì quando per legge o per atto amministrativo gli siano trasferiti i poteri ed i compiti propri del concedente ed attribuiti dalla L. n. 2359 del 1865 nonchè L. n. 865 del 1971, all’espropriante onde procedere all’acquisizione dei terreni occorrenti. E siffatta distinzione è ancor più evidente nel nuovo T.U. sulle espropriazioni per p.u. che definisce “autorità espropriante” (art. 3) “l’autorità amministrativa titolare del potere di espropriare e che cura il relativo procedimento, ovvero il soggetto privato, al quale sia stato attribuito tale potere, in base ad una norma”. Mentre attribuisce quello di emettere i provvedimenti ablatori all’Ufficio per le espropriazioni ubicato presso l’autorità competente alla realizzazione dell’opera pubblica ovvero presso gli enti locali di cui al successivo art. 6.

5. in tale situazione resta del tutto ininfluente che la titolarità dell’opera realizzata unitamente a quella degli immobili acquisiti non possa che appartenere alla concedente medesima: in quanto ciò che rileva è che il concessionario agisce in nome proprio, sia pure come organo indiretto dell’Amministrazione concedente ed in tale qualità compie materialmente l’attività esecutiva dell’opera e quella espropriativa. Da qui la conseguenza comune alla delegazione amministrativa intersoggettiva, che la sua azione produce, nei confronti dei terzi, gli stessi effetti che produrrebbe l’azione diretta dell’Amministrazione, alla quale il concessionario viene sostituito per effetto della concessione; e che, correlativamente egli risponde direttamente delle obbligazioni strumentalmente preordinate alla sua esecuzione: determinando una scissione non tra la responsabilità e l’attività (che darebbe luogo a responsabilità oggettiva), bensì tra quest’ultima e la titolarità della posizione:

e cioè una situazione in cui un’attività sia compiuta nell’ambito di una competenza altrui, senza che il soggetto che la compia assuma la titolarità della posizione corrispondente.

Nel caso concreto la sentenza impugnata ha accertato (pag. 11-12) che il Consorzio Ascosa si è avvalso di tutti i poteri e le facoltà riservati dalla legge all’amministrazione concedente: dalla progettazione delle opere, e dal conseguimento del decreto di occupazione nonchè dall’immissione autoritativa in possesso dei terreni della ricorrente alla loro irreversibile trasformazione che ha dato origine all’occupazione acquisitiva (per la cui ricorrenza risultano irrilevanti i vizi del decreto di occupazione denunciati dall’espropriata essendo decisiva la sussistenza a monte della procedura, di una valida dichiarazione di p.u., qui neppure posta in discussione dalle parti, ed a valle la radicale trasformazione dell’immobile nell’opera programmata dalla dichiarazione suddetta);

nonchè ancora alla determinazione dell’indennizzo dovuto al proprietaria possa essere illegittimo; ed infine a quello di provvedere direttamente ed autonomamente all’offerta ed al deposito dell’indennità. Per cui la Corte di appello ha correttamente concluso che a nulla rilevava al riguardo che le relative somme possano essergli “rimborsate” dall’Amministrazione statale in un forza di una clausola apposta nell’art. 20 della convenzione, cui è rimasta del tutto estranea l’espropriata, poichè proprio l’assunzione di siffatto obbligo da parte della concedente conferma che la titolarità delle obbligazioni indennitarie e risarcitorie nei confronti di quest’ ultima è posta dalla legge direttamente in capo al concessionario.

6. Con il terzo motivo del ricorso, la V., deducendo violazione dell’art. 184 cod. proc. civ., censura la sentenza impugnata per avere dichiarato inammissibile la propria domanda di liquidazione dell’indennità di occupazione perchè proposta per la prima volta nell’udienza di precisazione delle conclusioni in primo grado; e perchè su di essa il Consorzio non aveva accettato il contraddittorio: senza considerare che la stessa Corte di appello aveva riferito che nella citazione introduttiva ne erano stati dedotti i fatti costitutivi “pur nella prospettiva di un’occupazione illegittima ab origine”: che all’udienza di precisazione delle conclusioni il Consorzio non aveva formulato alcuna eccezione in ordine alla domanda di determinazione di detta indennità da essa avanzata; e che il Tribunale per tale ragione l’aveva regolarmente liquidata.

Questo motivo è fondato.

Dalla sentenza del Tribunale (che questa Corte può esaminare per la natura processuale del vizio dedotto) risulta che il primo giudice (qui non importa se incorrendo o meno in ultrapetizione) determinò l’indennità dovuta dal Consorzio alla V. anche per l’occupazione temporanea del fondo di quest’ultima fino all’epoca in cui ne ritenne avvenuta l’irreversibile trasformazione in complessive L. 610.152.174.

Questa statuizione venne impugnata dal Consorzio AS.CO.SA.; mentre la proprietaria nella comparsa di costituzione in appello ribadì l’avvenuta occupazione temporanea dell’immobile e chiese la conferma della sentenza impugnata, perciò pur nella parte in cui il Tribunale le aveva liquidato la relativa indennità: reiterando dunque la relativa domanda (o proponendola per la prima volta, secondo l’assunto del Consorzio) alla Corte di appello.

Pertanto, a fronte di tale espressa richiesta della V., a nulla più rilevava stabilire se la stessa fosse stata avanzata nella citazione introduttiva del giudizio, oppure tardivamente e se su di essa il Consorzio avesse accettato o meno il contraddittorio, – ed infine che la Corte di appello dovesse provvedere quale giudice di secondo grado sull’impugnazione proposta dal Consorzio su tale profilo tessendo decisiva esclusivamente la circostanza che la proprietaria avesse espressamente richiesto alla Corte Territoriale di procedere alla stima dell’indennità di occupazione temporanea e che la competenza a liquidarla appartenesse della L. n. 865 del 1971, ex art. 20, proprio alla Corte adita, seppure in unico grado. La quale dunque doveva provvedere in tale qualità sulla richiesta (Cass. 25013/2006; 11322/2005; 18067/2004; 11864/2001) anche perchè nessuna contestazione al riguardo era stata sollevata dal Consorzio che aveva invece censurato le statuizioni del primo giudice su detta indennità.

Attesa, infatti, la competenza funzionale della Corte d’appello in unico grado, posto che nessuna delle parti ha mai dedotto che il procedimento di stima si fosse discostato da quello stabilito nel menzionato art. 20 e che gli immobili si trovavano nel comune di Casaluce (perciò escludendosi la competenza della Giunta speciale per le espropriazioni presso la Corte di appello), si trattava di domanda proposta al giudice competente, e non già dell’impugnazione delle statuizioni suddette, che abbisognava dell’appello incidentale:

domanda che, per ragioni di economia processuale, può ben essere proposta alla Corte come giudice di unico grado, nel contesto di giudizio che la vede anche come giudice di secondo grado investito dell’impugnazione riguardo ad altre questioni (Cass. 10617/1998;

11864/2001).

Ragion per cui, in accoglimento non certamente dell’appello, ma di detta domanda che, d’altra parte non abbisognava di formule sacramentali nè doveva essere avanzata necessariamente con separata citazione – non richiedendo nè la L. n. 865, art. 20, ora menzionato nè il precedente art. 19 concernente l’indennità di espropriazione, tale ulteriore formalità, ma soltanto che le relative domande siano rivolte alla Corte di appello – la sentenza impugnata doveva provvedere a liquidare l’indennità in esame posto che neppure il Consorzio ha mostrato di dubitare pur nelle difese spiegate in questa sede di legittimità che la relativa richiesta sia stata effettivamente e ritualmente formulata dalla proprietaria nella ricordata comparsa di costituzione: in conformità del resto al principio più volte enunciato da questa Corte anche in controversie aventi il medesimo oggetto (Cass. 14687/2007) che proposte contestualmente, davanti al Tribunale, domande di risarcimento del danno da occupazione appropriativa e di determinazione dell’indennità d’occupazione legittima, siccome riguardo a quest’ultima è configurabile la competenza della Corte d’appello (in unico grado), ben può, davanti a detto giudice, resistendo all’appello da altri proposto avverso la statuizione concernente il risarcimento, contestualmente riproporsi domanda per la determinazione dell’indennità; per la quale, non essendo richiesta la forma dell’appello incidentale, è sufficiente il generico richiamo alle conclusioni in primo grado o alle statuizioni contenute nella sentenza del primo giudice: senza che dette statuizioni assumano carattere preclusivo al riguardo attesa la già rilevata autonomia della domanda proposta (o riproposta) davanti alla Corte d’appello.

Cassata, pertanto la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, il Collegio deve rinviare alla stessa Corte di appello di Napoli, che in diversa composizione, provvedere a determinare l’indennità di occupazione temporanea spettante alla V., nonchè alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte, riunisce i ricorsi, rigetta i primi due motivi del principale, nonchè l’incidentale raccoglie il terzo motivo del principale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2010

 

 

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