Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6689 del 06/04/2016


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 6689 Anno 2016
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: MARULLI MARCO

SENTENZA

sul ricorso 6029-2010 proposto da:
SIMONE VITO titolare dell’omonima Ditta, elettivamente
domiciliato in ROMA C/0 MARTUCCELLI CARLO PIAZZALE DON
G. MINZONI 9, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO
GIORGINO, che lo rappresenta e difende giusta delega a
margine;
– ricorrente –

2016
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contro
AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI ROMA in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

Data pubblicazione: 06/04/2016

controricorrente –

nonchè contro

MINISTERO ECONOMIA E FINANZE, AGENZIA DELLE ENTRATE
UFFICIO LOCALE DT BARLETTA;
– intimati –

BARI, depositata il 13/01/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 02/03/2016 dal Consigliere Dott. MARCO
MARULLI;
udito per il ricorrente l’Avvocato NICOLA GIORGINO per
delega dell’Avvocato ANTONIO GIORGINO che si riporta e
chiede l’accoglimento;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANNA MARIA SOLDI che ha concluso per
l’inammissibilità in subordine rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n. 4/2009 della COMM.TRIB.REG. di

RITENUTO IN FATTO
1. Simone Vito, titolare dell’omonimo caseificio in agro di Andria, impugna
per cassazione l’epigrafata sentenza della CTR Puglia che, rigettandone
l’appello, ha confermato la legittimità delle riprese a tassazione con cui
le dichiarazioni fiscali della parte per l’anno 1998 in relazione alla resa
casearia del latte e alla mancata corrispondenza delle rimanenze iniziali a
quelle finali dell’anno precedente.
La CTR, previamente disattesa la doglianza in punto di motivazione
dell’atto impugnato (la motivazione per relationem adotta nella specie
“poggia su elementi oggettivi accertati”), ha osservato a conforto del
proprio deliberato che le determinazioni, cui è pervenuta la difesa del
ricorrente in punto di resa casearia, “risultano sostanzialmente vicinissime a
quelle dei verbalizzanti”, onde i vizi e le altre irregolarità contabili
riscontrate in quella sede “legittimano il suddetto lieve scostamento … e
convincono della bontà del risultato che viene pienamente condiviso”.
Parimenti, anche il rilievo in punto di rimanenze di magazzino merita
adesione, posto che la mancata registrazione nelle scritture contabili delle
rimanenze finali dell’amo precedente a quello di contestazione non ha
consentito “di verificare compiutamente gli elementi esposti in bilancio, né
la effettiva veridicità e congruenza delle rimanenze stesse”.
Il mezzo azionato dalla parte si vale di cinque motivi di ricorso, ai quali
replica con controricorso l’erario.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Va preliminarmente dichiarata ex officio l’inammissibilità del ricorso
proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, per
difetto di legittimazione passiva della parte resistente, non avendo assunto
l’amministrazione statale la posizione di parte processuale nel giudizio di
appello svoltosi avanti la Commissione tributaria della regione Puglia,

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l’ufficio di Barletta dell’Agenzia delle Entrate aveva provveduto a rettificare

(SS.UU. 3118/06; 3116/06).
In difetto di difese svolte dal MEF non occorre dispone sulle spese di lite
3.1. Con il primo motivo di ricorso, il De Simone eccepisce violazione ed
errata applicazione di legge in relazione agli 42 D.P.R. 600/73 e 7, comma
relationem dell’atto impositivo oggetto di impugnazione riproduttivo nella
specie delle risultanze di verifica, sebbene nella specie fosse stata omessa
ogni “indicazione specifica dei presupposti materiali e giuridici cui è
correlata la pretesa tributaria” e circa “i fatti e le circostanze che
giustificano il ricorso a metodi induttivi o sintetici e delle ragioni del
mancato riconoscimento di deduzioni e detrazioni”.
3.2. 11 motivo è infondato.
Previamente ricordato, alla stregua del positivo disposto recato dall’art. 42,
comma 2, ultima parte, D.P.R. 600/73, a seguito della sua novellazione
operata dell’art. I, comma 1, lett. c), n. 1, D.1g. 32/01 sul filo dei principi
accolti nell’art. 7 1. 212/00 — che, com’è noto, disciplina più estesamente il
contenuto motivazionale dell’avviso di accertamento —, che ove la
motivazione faccia “riferimento ad altro atto non conosciuto né ricevuto dal
contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che
quest’ultimo ne riproduca il contenuto essenziale”, va qui ribadito, come
questa Corte ha avuto più volte occasione di affermare, che nel regime
introdotto dall’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, la motivazione degli
atti tributari per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi
di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all’atto
notificato, risulta legittima “quando lo stesso ne riproduca il contenuto
essenziale, cioè l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari)
dell’atto o del documento necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto
del provvedimento adottato, la cui indicazione consente al contribuente ed
al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale di individuare i

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1, 1. 212/00, in quanto la CTR ha ritenuto legittima la motivazione per

luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso
che formano gli elementi della motivazione del provvedimento” (4339/16;
3089/16; 9032/13).
Orbene, posto che nella specie, come la resistente Agenzia ha avuto modo
impugnazione aveva inteso recepire positivamente i risultati di verifica
riportati nel relativo processo verbale di constatazione, facendo
segnatamente rilevare l’irregolarità riscontrata in relazione alle rimanenze —
indicate nell’anno in contestazione in un valore iniziale che non trovava
corrispondenza in quello finale dell’anno precedente — nonché l’esistenza di
attività non dichiarate — determinate induttivamente mediante l’applicazione
dell’indice medio di resa casearia del latte — la prima lagnanza, che con il
motivo di ricorso in esame il ricorrente esterna eccependo che l’atto
impugnato non recherebbe “indicazione specifica dei presupposti materiali
e giuridici cui è correlata la pretesa tributaria”, si rivela totalmente priva di
fondamento, dal momento che i trascritti riscontri di verifica, in uno con la
loro proiezione giuridica costituita dalla constatazione che l’irregolarità del
magazzino contrasta con il principio dell’art. 59 Tuir nel testo in allora
vigente, mentre la determinazione induttiva dei ricavi trova presidio nella
disciplina dell’art. 39 D.P.R. 600/73, soddisfano puntualmente il dettato
normativo asseritamente violato, in quanto enunciano sia i fatti costitutivi
della pretesa che le norme giuridiche concretamente applicate ed anche, in
replica di quanto ancora lamentato dal ricorrente, la prescrizione, nella
specie rilevante in relazione ai ricavi, concernente i fatti e le circostanze
che hanno giustificato la loro determinazione induttiva.
4.1. Con il secondo e terzo motivo di ricorso, il De Simone censura
l’impugnata sentenza per violazione e/o errata applicazione di legge in
relazione, rispettivamente, all’art. 39 D.P.R. 600/73, poiché la CTR ha
ritenuto legittimo l’accertamento esperito nella specie ancorché “non

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di rappresentare nel controricorso, l’atto impositivo oggetto di

fossero provate omissioni gravi, ripetute e numerose delle scritture contabili
e non vi fossero presunzioni semplici, precise e concordanti da invalidare le
risultanze contabili aziendali” (secondo motivo); e all’art. 2697 c.c. in
quanto la CTR ha disatteso le regole probatorie correnti in materia
le argomentazioni del PVC, senza esplicitarne le motivazioni e le
argomentazioni di tale condivisione e senza soprattutto provare secondo
quanto imposto dall’articolo in esame i fatti che costituiscono fondamento
della pretesa” (terzo motivo).
4.2. Entrambi i motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in
quanto afferiscono al medesimo tema di giudizio, sono infondati.
Questa Corte ha da tempo chiarito — pur se nella specie l’allegato
presupposto risulta deficitario, segnatamente in relazione a quanto emerso
in sede di verifica in punto di rimanenze — che “in tema d’imposte sui
redditi, è legittimo il ricorso all’accertamento analitico-induttivo del reddito
d’impresa ex art. 39, primo comma, lett. d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n.
600, anche in presenza di una contabilità formalmente corretta ma
complessivamente inattendibile …” (22937/15; 18992/15; 23550/14).
Parimenti non si dubita che, se il giudice tributario ha il potere di controllare
l’operato della P.A. e di verificare se gli effetti che l’ufficio ha ritenuto di
desumere dai fatti utilizzati come indizi siano o meno compatibili con il
criterio della normalità, nondimeno gli elementi assunti a fonte di
presunzione che legittimano l’accertamento analitico-induttivo della
condizione reddituale del contribuente “non debbono essere
necessariamente plurimi potendosi il convincimento del giudice fondare
anche su un elemento unico, preciso e grave, la valutazione della cui
rilevanza, peraltro, nell’ambito del processo logico applicato in concreto,
non è sindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione
adeguata e logicamente non contraddittoria” (403/16; 25706/15; 656/14).

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ritenendo legittimo l’atto impugnato sebbene questo “si limiti a condividere

Così come del resto è convinzione corrente che la confezione dell’atto
impositivo mediante il rinvio alle conclusioni contenute in atti redatti
nell’esercizio dei poteri di polizia tributari, già noti al contribuente, “non è
illegittima, indicando semplicemente che l’Ufficio procedente ha inteso
perciò risulti violato l’onere probatorio incombente sull’ufficio, che invero
trova ragione di adempimento proprio nell’acquisizione e nella condivisione
degli elementi di riscontro fattuale emersi in corso di verifica e dai
verificatori trasfusi nel processo verbale di constatazione.
E dunque eccepire che nella specie l’accertamento operato dall’ufficio è
illegittimo perché la contabilità è regolare ovvero perché non si basa su una
pluralità di presunzioni o, àncora, perché l’ufficio si è limitato a recepire le
risultanza di verifica si rivela opera di dubbia utilità a fronte del ricordato
quadro di riferimento che priva le contestazioni che il ricorrente ha inteso
muovere alla sentenza in parte qua di ogni giuridica consistenza.
5.1. Il quarto motivo del ricorso di parte lamenta la violazione del divieto di
doppia imposizione.,in urto al principio della capacità contributiva, dal
momento della CTR, confermando la legittimità del prelievo in punto di
rimanenze, legittima altresì la soggezione del contribuente a doppia
imposizione “perché le rimanenze finali indicate nell’anno 1997 hanno
generato un reddito dichiarato sotto forma di minor perdita”, sicché
disconoscendo il costo nel 1998 derivante dall’inesistenza delle rimanenze
iniziali emergerebbe un reddito doppiamente tassato”.
5.2. Il motivo è inammissibile.
Osservato infatti che il carattere vincolato che assume nel nostro ordinamento
il giudizio di legittimità impone che il ricorso sia veicolato attraverso uno dei
motivi tassitativamente previsti dall’art. 360 c.p.c. e che nell’esposizione del
motivo trovino espressione le ragioni del dissenso, formulate in termini tali da
soddisfare esigenze di specificità, di completezza e di riferibilità alla decisione

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realizzare un’economia di scrittura” (932/16; 22248/15; 4523/12), senza che

impugnata proprie del mezzo azionato e, insieme, da costituire una critica
precisa e puntuale e, dunque, pertinente delle ragioni che ne hanno indotto
l’adozione, nella specie la sollevata censura è del tutto estranea al perimetro
della decisione, dal momento che oggetto di essa non è una diretta statuizione
dal ricorrente non soddisfacente, una concreta questione di fatto portata al suo
giudizio e suscettibile, nella veste giuridica conferitale dal decidente. di essere
devoluta in guisa si specifico motivo di ricorso al vaglio di questa Corte; ma è
semmai, in disparte dalla genericità dell’allegazione, l’indiretto riflesso di
ordine pratico che si vorrebbe inferire dal fatto che la CTR abbia deciso la
vicenda in un certo qual modo, nel rappresentare il quale, tuttavia, non si
evidenzia un’anomalia nell’iter formativo della decisione tale che se ne possa
fare materia, in veste — come qui si ha ragione di credere pure mancando
nell’illustrazione del motivo ogni indicazione al riguardo — di errore di diritto,
del richiesto scrutinio di legittimità.
6.1. Vizio di omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione si
deduce con il quinto motivo di ricorso “poiché nel provvedimento del
giudice vi sono delle argomentazioni del tutto inidonee a rivelare le ragioni
della decisione, che non consentono l’identificazione dell’iter logico seguito
dalla Commissione per giungere alla conclusione fatta propria nel
dispositivo”.
6.2. Il motivo è inammissibile.
Esso, ove lamenta la lacunosità dell’impugnato pronunciamento d’appello
poiché “non si articolano i punti analiticamente indicati nell’atto di appello
dal Sig. Simone, né si forniscono idonee risposte agli stessi” ovvero perché
“la CTR avrebbe dovuto verificare Piter logico seguito dai funzionari nella
redazione del p.v.c., dall’Agenzia delle Entrate e dalla commissione di
primo grado, nonché la corretta rilevazione dell’oggetto dell’accertamento,
valutando la conseguenzialità tra le premesse dell’indagine, le conclusioni

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adottata dal giudice territoriale, che interloquisca e risolva, in senso ritenuto

assunte, correggendo gli errori di impostazione logica e le incongruenze
argomentative e giuridiche” sollecita, ad onta, ancora della genericità della
contestazione, non già un esame sulla coerenza, congruenza e con ludenza
del percorso motivazionale seguito dal giudice d’appello — peraltro
possibili angolazioni dell’art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c. — ma una
rivisitazione del giudizio di fatto espresso da questi, rappresentando un
tema della decisione che non appartiene all’area del giudizio di cassazione
in quanto è di esclusivo appannaggio del giudice del merito.
7. Il ricorso va dunque respinto.
Le spese si adeguano alla soccombenza.
PQM
La Corte Suprema di Cassazione
Dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del MEF; respinge il ricorso nei
confronti dell’Agenzia delle Entrate e condanna parte ricorrente al pagamento
delle spese del presente giudizio che liquida in euro 3500,00= oltre alle
somme eventualmente prenotate a debito e ad eventuali accessori.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della V sezione civile il giorno
2.3.2016

promiscuamente e, perciò, inammissibilmente qui censurato sotto tutte le

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