Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6687 del 09/03/2020

Cassazione civile sez. un., 09/03/2020, (ud. 28/01/2020, dep. 09/03/2020), n.6687

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Primo Presidente f.f. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sez. –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 30800/2018 proposto da:

A.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO

CESI 44, presso lo studio dell’avvocato SILVIA PACIELLO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTO NICOLINI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DEL DEMANIO, in persona del Direttore Generale pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, Ente pubblico economico

subentrante a titolo universale nei rapporti giuridici attivi e

passivi, anche processuali, di Equitalia Servizi di Riscossione

s.p.a. incorporante Equitalia Nord s.p.a., Equitalia Centro s.p.a.

ed Equitalia Sud s.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 135, presso

lo STUDIO LEGALITAX, rappresentata e difesa dall’avvocato MAURIZIO

CIMETTI;

COMUNE DI PESCHIERA DEL GARDA, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI PAISIELLO 29, presso

lo studio dell’avvocato ANNALISA GIANNETTI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato SERGIO SEGNA;

– controricorrenti –

e contro

REGIONE VENETO;

– intimata –

avverso la sentenza n. 103/2018 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE

PUBBLICHE, depositata il 22/06/2018.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/01/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine rigetto del ricorso;

uditi gli avvocati Roberto Nicolini, Silvia Paciello, Pio Marrone per

l’Avvocatura Generale dello Stato, Giuseppe Parente per delega

dell’avvocato Maurizio Cimetti ed Annalisa Giannetti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

A.F., con ricorso innanzi al Tribunale regionale delle acque pubbliche presso la Corte di Appello di Venezia svolto nei confronti dell’Agenzia del Demanio, del Comune di Peschiera del Garda, della Regione Veneto e dell’agente della riscossione, proponeva opposizione alla comunicazione di iscrizione di ipoteca legale D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 77, comma 2 bis, per la pretesa di canoni di concessione su beni occupati del demanio lacustre per gli anni 2001 e 2007.

La pretesa dei canoni azionata con cartelle esattoriali era relativa alla occupata particella n. (OMISSIS) del foglio (OMISSIS) del Comune di Peschiera, la quale era stata oggetto di domanda di concessione di occupazione e confinava con altro terreno su cui insisteva immobile acquistato dal medesimo ricorrente con atto di acquisto in data 26 marzo 1996.

Nel contraddittorio con tutte le parti evocate in giudizio, ad eccezione della sola contumace Regione Veneto, l’adito Tribunale con sentenza n. 777/2017, qualificata l’opposizione come ordinaria azione di accertamento negativo rigettava la domanda dell’ A..

Tanto, in particolare, rilevando la pacifica carenza di concessione, la natura di indennità sostitutiva di quanto richiesto dall’Agenzia in carenza di titolo legittimante l’occupazione della particella, l’insussistenza della pur eccepita prescrizione e la ritualità della notifica delle cartelle esattoriali.

L’originario ricorrente interponeva, quindi, appello – fondato su cinque motivi – avverso la suddetta sentenza e resistito dalle parti già costituite in primo grado.

La sola Agenzia del Demanio – contumace, ancora, la Regione Veneto- interponeva appello incidentale.

Con sentenza n. 103/2018 il Tribunale Superiore della Acque Pubbliche rigettava l’appello principale ritenendo assorbito quello incidentale ed affermando la natura demaniale della proprietà del bene controverso.

Avverso la suddetta decisione del Tribunale Superiore ricorre l’ A. con atto affidato a tre articolati ordini di motivi e resistito con controricorsi dell’Agenzia del Demanio, del Comune di Peschiera del Garda e dell’agenzia delle Entrate – Riscossione quale subentrante a titolo universale ex L. n. 225 del 2016, nei rapporti anche processuali, di Equitalia Servizi Riscossione incorporante Equitalia Nord.

L’agenzia delle Entrate ha, col proprio controricorso, eccepito in via preliminare l’improcedibilità e l’inammissibilità del ricorso ex art. 361 bis c.p.c., n. 1, nonchè per violazione del R.D. n. 1775 del 1933, art. 200, comma 1, lett. B).

Il Comune di Peschiera del Garda ha, anch’esso, eccepito analogamente in via preliminare l’inammssibilità del proposto ricorso. Nell’approssimarsi dell’udienza hanno depositato memoria parte ricorrente ed il suddetto Comune.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Il primo motivo del ricorso è così testualmente rubricato “violazione o falsa applicazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3): (i) con riferimento all’art. 345 c.p.c. (divieto di nova in appello: erronea applicazione della norma da parte del TSAP); (ii) con riferimento all’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 115 c.p.c., comma 1 e art. 116 c.p.c., comma 1 (omessa valutazione da parte del TSAP di cui la parte A. deduceva la decisività ovvero di circostanze non contestate; erroneo uso della discrezionalità nella valutazione delle prove da parte del TSAP – Cass., civ. sez. lav. n. 30857/2017); (iii) con riferimento all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 111 Cost., comma 6 (cattivo esercizio del potere di apprezzamento di prove non legali da arte del TSAP, con conseguente anomalia motivazionale costituzionalmente rilevante; motivazione inesistente o comunque meramente apparente – Cass. civ. sez. II, n. 6268/2017).

2.- Con il secondo motivo del ricorso si deducono i vizi di “violazione e falsa applicazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3):

(i) con riferimento all’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 214 c.p.c., comma 1 e artt. 221 c.p.c. e segg., così come all’art. 2700 c.c. e all’art. 2335 c.c., ed anche in relazione all’art. 115 c.p.c., comma 1 e art. 116 c.p.c., comma 1 e, conseguentemente, all’art. 2948 c.c. (omessa valutazione da parte del TSAP di risultanze di cui la parte A. deduceva la decisività; erroneo uso della discrezionalità nella valutazione delle prove da parte del TSAP -Cass. civ., sez. lav., n. 30857/2017); (ii) con riferimento all’art. 112 c.p.c., in relazione al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 6 e al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 commi 4 e 5 (omessa valutazione da parte del TSAP di risultanze di cui la parte A. deduceva la decisività; erroneo uso della discrezionalità nella valutazione delle prove da parte del TSAP – Cass. civ., sez. lav., n. 30857/2017; (iii) con riferimento all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e all’art. 111 Cost., comma 6 (cattivo esercizio di potere di appezzamento di prove non legali da parte del TSAP, con conseguente anomalia motivazionale costituzionalmente rilevante; motivazione inesistente o comunque meramente apparente – Cass. civ. sez. II, n. 6268/2017).

3.- Il terzo motivo del ricorso è così rubricato:

” violazione e falsa applicazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

con riferimento alla L. n. 2248 del 1865, allegato F, art. 1, comma 1, lett. f) e al R.D. n. 726 del 1895 e al D.M. n. 1170 del 1948 e agli artt. 822 e 943 c.c., in relazione all’art. 115 c.p.c., comma 1 e art. 116 c.p.c., comma 1, così come in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e all’art. 111 Cost., comma 6 (omessa valutazione da parte del TSAP di risultanze di cui la parte A. deduceva la decisività – Cass. civ., sez. lav., n. 30857/2017); erroneo uso della discrezionalità nella valutazione delle prove da parte del TSAP – Cass. civ., sez. lav., n. 30857/2017; cattivo esercizio del potere di apprezzamento di prove non legali da parte del TSAP, con conseguente anomalia motivazionale costituzionalmente rilevante; motivazione inesistente o comunque meramente apparente – Cass. civ. sez. II, n. 6268/2017).

4.- I tre articolati motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente.

In via preliminare deve affrontarsi, anche alla luce delle anzidette sollevate eccezioni, la questione della ammissibilità o meno delle svolte censure.

Va, al riguardo, osservato immediatamente che la congerie di censure e doglianze di varia natura (e di non semplice intellegibilità) osta di per sè – alla stregua del noto principio di chiarezza e specificità che dovrebbe pur sempre improntare il ricorso per cassazione – all’ammissibilità, nel loro complesso, degli esposti articolati motivi.

Più in particolare deve poi sottolinearsi come le svolte censure e le mosse doglianze di varia natura finiscono per rendere il ricorso, come inteso, nel suo complesso, ad una inammissibile rivalutazione, in punto di fatto, di quanto deciso dal Giudice del merito.

E ciò in violazione dell’art. 200 cit., che contempla la possibilità di ricorrere a queste Sezioni Unite contro le decisioni pronunciate dal Tribunale Superiore delle Acque pubbliche solo ed esclusivamente per violazione o falsa applicazione di norme di diritto.

Peraltro, ancora, va evidenziato che le questioni di diritto esaminate dai Giudici del merito risultano decise conformemente ai precedenti di questa Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per mutare orientamento giurisprudenziale.

Al riguardo non può non evidenziarsi che nulla viene decisivamente addotto dalla parte ricorrente al fine di confutare, in punto di diritto, esattezza della decisione gravata.

Al riguardo va ribadito il principio per cui “in materia di procedimento civile, nel ricorso per cassazione, il vizio di violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, giusto il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena di inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni di diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse” (Cass. n. 1317/2004).

Tanto con la conseguenza che spetta alla parte ricorrente l’onere (nella fattispecie non adempiuto) di svolgere “specifiche argomentazioni intese a dimostrare come e perchè determinate affermazioni contenute nella sentenza gravata siano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità” (Cass., Sez. Sesta, Ord. 15 gennaio 2015, n. 635/2015, nonchè Cass. n. 828/2007).

Deve, poi, rimarcarsi il carattere del tutto improprio dei precedenti di questa Corte (Cass. civ., Sez. Seconda, Sent. 10 marzo 2017, n. 6268 e Sez. Lav., Sent. 22 dicembre 2017, n. 30857) citati ed invocati dalla parte ricorrente.

Difatti, a ben vedere e leggere, con le anzidette decisioni si affermano principi che vanno in senso direttamente opposto rispetto a quanto invocato e postulato col ricorso per la pretesa eventuale cattiva valutazione delle prove.

E ciò perchè nelle sentenze erroneamente invocate si statuisce che “tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove da parte del Giudice del merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4), disposizione, quest’ultima, che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente alla anomalia mtivazionae che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. n. 6268/2017).

Ed, ancora, che “a fronte di una puntuale ed approfondita motivazione da parte del Giudice di appello”, così come nella fattispecie in esame, una serie di motivi tesi tutti a far riesaminare il merito della controversia, come in ipotesi, “si risolvono in una non consentita istanza di diversa valutazione delle risultanze” (Cass. n. 30857/2017).

Il controllo di legittimità sulla motivazione della sentenza non è, difatti, possibile oggi nei termini in cui esso era possibile prima della modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito nella L. n. 134 del 2012, essendo viceversa denunciabile soltanto l’omesso esame di uno specifico fatto decisivo che sia stato oggetto di discussione tra le parti, rimanendo – alla stregua della detta novella legislativa – esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. civ., SS.UU., Sent. 7 aprile 2014, n. 8053).

Il tutto con l’ulteriore conseguenza che, in definitiva, parte ricorrente poteva denunciare innanzi a questa Corte “solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè”, anomalia sostanziantesi solo nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Pertanto (e con la sola eccezione di cui si dirà di seguito) il complesso delle plurime, promiscue e inconferenti congerie di doglianze mosse con suesposti motivi del ricorso sono del tutto inammissibili.

L’unico motivo di doglianza oggi scrutinabile da questa Corte risulta essere quello relativo alla denunciata violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 345 c.p.c., per erronea applicazione di quest’ultima norma da parte del T.S.A.P. in tema di divieto di nova in appello con conseguente violazione delle norme ex art. 2697 c.c. in relazione agli art. 115 e 116 c.p.c..

La questione sottesa alla svolta doglianza è quella della considerazione, ai fini della valutazione della correttezza della notifica degli atti al ricorrente, della conoscenza del suo indirizzo estero da parte dell’Amministrazione procedente.

Senonchè detta questione è stata esaminata dal Giudice di Appello non solo (e non tanto) sotto il profilo della novità della questione, ma della sua stessa rilevanza.

Infatti, sempre a ben vedere e leggere, l’impugnata sentenza ha sì notato che la questione della conoscenza del detto indirizzo estero “non è addotta come allegata fin dal primo grado (sicchè non si supera il dubbio di novità dell’argomentazione, in quanto tale preclusa dall’art. 345 c.p.c.)”, ma ha anche affermato altro.

E cioè che la detta sollevata questione “comunque non era sorretta da argomentazione espresso della data di attribuzione (del codice fiscale con comunicazine di indirizzo estero) e soprattutto della sua anteriorità rispetto al tempo di ciascuna delle notifiche o almeno di quelle indispensabili ai fini dell’interruzione” di guise da ritenere in ogni caso “l’argomento irrilevante ai fini della decisione in senso favorevole all’appellante”.

D’altra parte, ancora e concicusivamente, la notifica degli atti impositivi per affissione di deposito non poteva assolutamente ritenersi invalida stante quanto previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. E), tanto più in assenza di dovuta (ma non data) allegazione in sede giudiziale della pretesa comunicazione di indirizzo estero in sede di attribuzione di codice fiscale e della precisa e rilevante data in cui detta comunicazione e la conseguente conoscenza da parte dell’Autorità procedente si erano verificate.

In definitiva il suddetto specifico e scrutinato motive, ferma l’inammissibilità delle rimanente svolte censure, deve essere respinto.

5.- Il ricorso va, pertanto, rigettato.

6.- Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono specificamente e soggettivamente determinate così come in dispositivo.

7.- Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, se dovuto.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore delle parti controricorrenti delle spese del giudizio, determinate rispettivamente – in Euro 5.200,00, oltre S.P.A.D., per l’Agenzia delle Entrate ed in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge, per ciascuna delle altre rimanenti due parti controricorrenti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 28 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2020

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