Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6686 del 15/03/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 15/03/2017, (ud. 09/01/2017, dep.15/03/2017),  n. 6686

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 11/2013 R.G. proposto da:

Bauhaus srl, rappresentata e difesa dall’avv. Manlio Ingrosso, con

domicilio eletto in Roma, via Monte Oppio 5, presso lo studio

dell’avv. Francesco Pascucci;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso 12, l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania, depositata il 6 febbraio 2013.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 9 gennaio 2017

dal Consigliere Giuseppe Tedesco;

udito l’avv. Marcella Ferrante;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Del Core Sergio, che ha concluso chiedendo il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Bauhaus s.r.l. ha impugnato, avanti alla Commissione tributaria provinciale di Napoli la cartella di pagamento per il pagamento di un debito Iva, maggiorato di sanzioni e interessi. In particolare, la cartella, riportando gli esiti del controllo automatizzato, riduceva il credito Iva rispetto a quello indicato dalla contribuente nella dichiarazione relativa all’anno 2005.

A sostegno del ricorso la contribuente deduceva che, nel Modello Unico 2006, vi era stato un errore nella indicazione del credito Iva risultante dalla dichiarazione per il 2004, in quanto non era stato indicato il credito compensato nel modello F24, tuttavia la contribuente, avvedutasi dell’errore, nella dichiarazione relativa all’anno successivo aveva operato in modo da correggere l’errore commesso nell’anno precedente; il che, tenuto conto che non fu richiesto il rimborso del credito erroneamente indicato e del regolare adempimento dei versamenti periodici, confermava sia l’insussistenza del debito di imposta, sia del danno erariale.

Ciò posto deduceva: a) la nullità del ruolo e della cartella di pagamento in quanto non preceduti dalla notificazione della comunicazione dell’esito del controllo automatico della dichiarazione; b) l’insussistenza di qualsiasi proprio debito verso l’Erario per il titolo indicato nella cartella, essendo l’Iva detraibile superiore a quello dell’imposta dovuta sulle operazioni imponibili e, conseguentemente, che l’errore non aveva comportato alcun omesso versamento, nè aveva determinato una posizione creditoria dell’erario; c) la nullità della cartella per difetto di motivazione, poichè la dizione usata “omesso o carente versamento” non era idonea a rendere il contribuente edotto della fondatezza della pretesa, pregiudicandogli la possibilità della compiuta tutela dei propri diritti in sede giurisdizionale.

Eccepiva ancora la compensazione legale o giudiziale dei rapporti di debito/credito con l’amministrazione.

Instauratosi il contraddittorio, il ricorso fu accolto dalla Commissione tributaria provinciale, che condivise le censure della contribuente, sia quelle formali, rilevando che l’Agenzia delle Entrate non aveva dato prova che la comunicazione di irregolarità fu ricevuta dalla contribuente, sia quelle di merito, valorizzando il fatto che l’errore commesso nella dichiarazione presentata per l’anno 2005 fu emendato nella dichiarazione successiva, rispetto alla quale l’Erario aveva comunicato di non avere ritrovato esattezze e irregolarità.

Sull’appello dell’Agenzia dell’Entrate la sentenza di primo grado è stata interamente riformata dalla Commissione tributaria regionale della Campania, la quale, dopo aver rilevato che la comunicazione dell’avviso di irregolarità non era nel caso in esame dovuta, non essendoci incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, negava che l’errore incorso nella dichiarazione dell’anno 2005 fosse stato emendato dalla contribuente nell’anno successivo, come invece sostenuto dalla società.

La Commissione tributaria regionale negò infine che la cartella fosse priva di motivazione; ritenne legittime le sanzioni irrogate; ritenne ancora anche che la contribuente non aveva fornita la prova dei crediti da opporre in compensazione.

Contro la sentenza la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, illustrati con memoria.

L’Agenzia delle Entrare resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivi di ricorso, si deduce violazione e falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, comma 5, (“Statuto del contribuente”), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54 bis, comma 3 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). La sentenza è censurata per non avere ritenuto che, nella specie, l’amministrazione non era tenuta all’invio della comunicazione di irregolarità, che era invece dovuta, tenuto conto della natura sostanziale del controllo espletato nel caso di specie.

Il motivo è infondato. In ordine ai limiti del controllo effettuato dall’ufficio sulla base dei “dati indicati nella dichiarazione ovvero in possesso dell’anagrafe tributaria”, D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 54 bis le Sezioni Unite della Suprema corte, con la sentenza n. 17758 del 2916, hanno affermato il seguente principio: “In fattispecie di omessa presentazione della dichiarazione annuale IVA, è consentita l’iscrizione a ruolo dell’imposta detratta e la consequenziale emissione di cartella di pagamento, ben potendo il fisco operare, con procedure automatizzate, un controllo formale che non tocchi la posizione sostanziale della parte contribuente e sia scevro da profili valutativi e/o estimativi e da atti d’indagine diversi da mero raffronto con dati ed elementi in possesso dell’anagrafe tributaria, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 54-bis e 60”.

In applicazione di tale principio ne discende la legittimità dell’iscrizione operata nel caso di specie, in quanto avvenuta, come pacificamente riconosciuto anche dalla contribuente, sulla base del raffronto fra la dichiarazione relativa anno 2005 con altri dati relativi a quello stesso anno (i modelli F24 delle liquidazioni periodiche), in assenza di una diversa ricostruzione sostanziale dei dati da parte dell’amministrazione finanziaria.

Con secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36. Si rimprovera alla Commissione tributaria regionale di avere deciso la controversia sulla base di tale norma, mentre invece avrebbe dovuto decidere sulla base del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis vertendosi in tema di Iva.

Il motivo è infondato. L’errore incorso nella indicazione del richiamato normativo non ha minimamente inciso sulla decisione. Del resto, nel diverso ambito, le due norme disciplinano il controllo automatizzato in termini perfettamente sovrapponibili.

Con il terzo motivo, articolato su due censure, si deduce, in primo luogo, motivazione insufficiente e contraddittoria sul fatto, decisivo della controversia, ch’è identificato nella insussistenza di “incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione (art. 360, comma 1, n. 5); in secondo luogo nullità della sentenza, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e dell’art. 111 Cost., per difetto di motivazione adeguata sul fatto decisivo della esistenza di “incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione” (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).

Il motivo è inteso, in ambedue le sue articolazione, a rimproverare alla Commissione tributaria regionale di avere ritenuto che, nella specie, l’iscrizione a ruolo non dovesse essere necessariamente preceduta dall’avviso di rettifica, senza aver dato di ciò adeguata motivazione. Appare chiaro che il motivo nel suo complesso ha riguardo, sotto un diverso aspetto, alla medesima questione oggetto del primo motivo, rimanendo quindi assorbito.

Il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 23 ottobre 1972, n. 633, artt. 19 e 30, nonchè del D.P.R. 23 marzo 1998, n. 100, art. 1 e del D.P.R. 14 ottobre 1999, n. 542, art. 6 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

La ricorrente, dopo avere, ricostruito il sistema di funzionamento dell’Iva, imputa alla Commissione tributaria regionale di non aver fatto buon governo delle relative norme, in particolare perchè, “al fine di determinare l’obbligazione tributaria per Iva 2005, ascrive rilevanza all’eccedenza a credito Iva utilizzata nel corso dell’anno solare precedente e risultante dai modelli F24 pagati nel 2004, mentre non ascrive alcuna rilevanza alla misura dell’eccedenza Iva risultante dalla dichiarazione 2005 sia stata utilizzata nel corso dell’anno di imposta successivo”.

Il punto della sentenza investito della censura è il seguente: “vero che è nella dichiarazione relativa all’anno 2006, allegata al ricorso in primo grado, è riportato al rivo VL 22 del quadro VL “Credito Iva risultante dalla dichiarazione 2005, compensato nel modello F24 l’importo di Euro 24.506, ma dai mod. F24 anch’essi allegati al ricorso introduttivo si rileva che il credito Iva per l’anno 2005 fu portato in compensazione di imposte e contributi dovuti per lo stesso anno per e 19.226,08. E’ evidente quindi che il credito utilizzato in compensazione non può comprendere il credito utilizzato nel 2004, pari a Euro 17.729,00 e quello 2005, pari a Euro 19.226,08”.

Il motivo è inammissibile, perchè sotto il profilo della violazione di legge è denunciato in effetti un errore del giudice nella ricostruzione dei fatti rilevanti. In aggiunta a ciò si deve rilevare che non è stato indicato il contenuto essenziale dei documenti su cui la censura si fonda, in particolare dei modelli F24 oggetto dell’errata valutazione imputata ai giudici d’appello; il che impedisce alla corte di comprende il significato dalla censura mossa contro la sentenza.

Col quinto motivo si deduce motivazione insufficiente e contraddittoria sulla circostanza dell’assenza di motivazione della cartella di pagamento (art. 360 c.p.c., comma 1, 5). Il motivo è inammissibile. E’ stato rilevato che nell’ipotesi in cui il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria sotto il profilo della congruità della motivazione di un avviso di accertamento, che non è atto processuale ma amministrativo (Cass. 3 dicembre 2001, n. 15234), è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio in proposito esclusivamente in base al ricorso medesimo (Cass. 13 febbraio 2014, n. 3289).

Mutatis mutandis le considerazioni che precedono sono del tutto pertinenti anche al caso, quale quello in esame, in cui il problema della motivazione è sollevato con riferimento a una cartella di pagamento.

Si ritiene di aggiungere, per completezza di trattazione, che, secondo quanto precisato da questa Corte, “in tema di riscossione delle imposte, allorchè l’Amministrazione finanziaria riscontri nella dichiarazione dei redditi un mero errore materiale o di calcolo e provveda di conseguenza a notificare al contribuente una cartella di pagamento in esito alla procedura di o ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis deve escludersi un particolare onere di motivazione di tale provvedimento qualora la rettifica dei risultati della dichiarazione non comporti una pretesa ulteriore da parte dell’Amministrazione finanziaria, poichè il contribuente si trova già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, con l’effetto che l’onere di motivazioni può considerarsi assolto dall’Ufficio mediante un mero richiamo alla dichiarazione medesima” (Cass. 22 ottobre 2014, n. 22402; Cass. 27 luglio 2016, n. 15564).

Con l’ultimo motivo si deduce violazione dell’art. 112 e dell’art. 116 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4). Secondo la ricorrente il principio del quale si assume la violazione è il seguente: “Il processo tributario è annoverabile tra quelli di “impugnazione-merito”, in quanto diretto ad una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell’accertamento dell’Ufficio, sicchè il giudice, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi al suo annullamento, ma deve esaminare nel merito la pretesa e ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte, restando, peraltro, esclusa dall’art. 35, comma 3, ultimo periodo, del D.Lgs. n. 546 del 1992, la pronuncia di una sentenza parziale solo sull'”an” o di una condanna generica (di recente Cass. 28 giugno 2016, n. 13294).

Il motivo in esame è pur sempre incentrato sulla tesi che la contribuente aveva rimediato all’errore nei modi già richiamati, e cioè esponendo, nel corrispondente rigo del modello Unico 2007, una somma aumentata di un importo esattamente equivalente a quello erroneamente non indicato nel medesimo rigo della dichiarazione dell’anno precedente (quella oggetto del controllo). Infatti, è proprio in questa fase del ragionamento che si inserisce la presente censura, Si sostiene, infatti, che una volta riconosciuto che la contribuente aveva posto in essere un’attività per rimediare all’errore, la Commissione tributaria regionale avrebbe dovuto trarne le debite conseguenze e statuire sulla misura esatta della pretesa, posto che la contribuente, aveva proposto nell’atto introduttivo e riproposto nelle controdeduzioni in appello, l’eccezione di compensazione.

Per contro l’ufficio aveva sostenuto che i comportamenti tenuto dalla contribuente successivamente alla presentazione della dichiarazione fossero del tutto irrilevanti e avrebbero potuto condurre semmai a una domanda di rimborso.

Ebbene, sotto questo profilo, la omissione denunciata con il motivo non sussiste, perchè la Commissione tributaria regionale ha esaminato nel merito le giustificazioni addotte dal contribuente, intese e negare Van e il quantum della pretesa, ritenendole inidonee a tal fine. La contribuente aveva sostenuto di avere corretto l’errore incorso nella dichiarazione del 2005 aumentando l’importo del credito compensato con F24 nella dichiarazione dell’anno successivo. I giudici d’appello hanno considerato tale rilievo e hanno ritenuto che i conti non tornassero. Si legge nella sentenza “vero è che nella dichiarazione relativa all’anno 2006, allegata al ricorso di primo grado, è riportata al rigo VL22 del quadro VL, un “credito Iva” risultante dalla dichiarazione 2005, compensato con mod. F24 – l’importo di Euro 25.056,00, ma dai modelli F24 anch’essi allegati al ricorso introduttivo, si rileva che il credito Iva per l’anno 2005 fu portato in compensazione di imposte e contributi dovuti per lo stesso anno per Euro 19.226,08. E’ evidente, quindi, che il credito utilizzato in compensazione di 24.560,00 non può comprendere il credito utilizzato nel 2004 pari a Euro 17.729,00 e quello 2005 pari a 19.226,08″. Fatta questa premessa, la Commissione tributaria regionale rilevò ulteriormente che la contribuente “non fornisce chiarimenti in proposito, prospetti di calcolo, documentazione comprovante quanto affermato”. In altra parte della sentenza i giudici rilevano: “non sono dimostrati i rapporti di debito e credito da comprovare” (…); “la società non fornisce elementi affinchè la Commissione tributaria regionale potesse dichiarare, eventualmente, “la compensazione per la parte di debito che riconosce esistente”.

Tali considerazioni escludono che la sentenza sia incorsa nella violazione denunciata con il motivo, non essendo ravvisabile l’ipotesi di omessa pronuncia.

Il ricorso, pertanto, va interamente rigettato.

PQM

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2017

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