Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6682 del 19/03/2010

Cassazione civile sez. I, 19/03/2010, (ud. 27/10/2009, dep. 19/03/2010), n.6682

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 12330/2008 proposto da:

P.C. (c.f. (OMISSIS)), C.M.

A. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliate in

ROMA, VIA ANDREA DORIA 48, presso l’avvocato ABBATE Ferdinando

Emilio, che le rappresenta e difende, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

09/03/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

27/10/2009 dal Consigliere Dott. UGO RICCARDO PANEBIANCO;

udito, per le ricorrenti, l’Avvocato RODA RANIERI, per delega, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LECCISI Giampaolo, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto depositato in data 9.3.2007 la Corte d’Appello di Roma – pronunciando sulle domande di equa riparazione ex L. n. 89 del 2001, proposte da P.C. e C.M.A. nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri in relazione al giudizio dalle medesime promosso con ricorso depositato nel mese di maggio del 1997 avanti al TAR del Lazio, al fine di ottenere l’inquadramento nell’ottava qualifica a funzionale e deciso, dopo tre istanze di prelievo, con sentenza depositata in data 5.10.2004 – riteneva che la durata del procedimento protrattosi per sette anni non fosse ragionevole nella misura di anni quattro e liquidava a favore di ciascuna delle ricorrenti la somma di Euro 4.000,00 a titolo di danno non patrimoniale con gli interessi dalla data del decreto.

Avverso detto decreto propongono ricorso per cassazione P.C. e C.M.A. che deducono tre motivi di censura illustrati anche con memoria.

La Presidenza del Consiglio non ha svolto alcuna attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso P.C. e C. M.A. denunciano violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, nonchè difetto di motivazione. Lamentano che la Corte d’Appello, dopo aver determinato in anni tre la durata ragionevole del procedimento presupposto, abbia ritenuto irragionevoli anni quattro nonostante il procedimento si fosse protratto per anni sette e mesi cinque (maggio 1997-ottobre 2004).

La censura è fondata.

Determinata da parte del giudice di merito la durata ragionevole del procedimento, tutto il restante periodo, ivi compresa anche la porzione dell’anno, va considerato non ragionevole e valutato ai fini del computo della relativa indennità prevista dalla L. n. 89 del 2001. Erroneamente pertanto la Corte d’Appello, pur in presenza di un periodo di anni quattro e mesi cinque successivo a quello considerato ragionevole (anni tre), ha riconosciuto ai fini della determinazione dell’indennizzo solo anni quattro, tralasciando di considerare la porzione di mesi cinque di cui va invece tenuto conto.

Sul punto il decreto va pertanto cassato.

Con il secondo motivo le ricorrenti denunciano ancora violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, nonchè dell’art. 1173 c.c..

Lamentano altresì che la Corte d’Appello abbia liquidato gli interessi con decorrenza dalla data del decreto anzichè, come avrebbe dovuto, dalla domanda.

Anche tale censura è fondata.

Gli interessi sulla somma riconosciuta all’esito del giudizio non possono che decorrere dalla domanda la quale costituisce anche un atto di messa in mora ai sensi dell’art. 1295 c.c.. Conseguentemente anche sotto tale profilo il decreto deve essere cassato.

Con il terzo motivo le ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione degli artt. 90 e 91 c.p.c., nonchè del D.M. n. 127 del 2004, artt. 4 e 5. Sostengono che la Corte d’Appello, nel liquidare le spese in complessivi Euro 900,00, sì sia tenuta al di sotto dei minimi tariffari.

La censura deve ritenersi assorbita in quanto, a seguito della disposta cassazione del decreto impugnato, questa Corte deve provvedere ad una nuova liquidazione delle spese del giudizio di merito, spese che si distraggono a favore del difensore e che si liquidano come in dispositivo unitamente a quelle relative al presente giudizio di legittimità.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto e ricorrendo quindi le condizioni per una decisione nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, l’indennizzo va determinato, tenuto conto dell’ulteriore durata di mesi cinque non considerata dalla Corte d’Appello, in complessivi Euro 4.500,00 per ciascuno delle due ricorrenti, con gli interessi dalla domanda.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione. Cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore di ciascuna delle ricorrenti della somma di Euro 4.500,00 con gli interessi dalla domanda. Condanna inoltre la stessa Amministrazione al pagamento delle spese processuali che distrae a favore del difensore e che liquida, quanto al giudizio di merito, in Euro 456,00 per diritti, in Euro 500,00 per onorario ed in Euro 100,00 per esborsi oltre accessori e, quanto al giudizio di legittimità, in Euro 600,00 per onorario ed Euro 100,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2010

 

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