Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6682 del 15/03/2017

Cassazione civile, sez. trib., 15/03/2017, (ud. 09/01/2017, dep.15/03/2017),  n. 6682

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 11/2013 R.G. proposto da:

LARIPLASTIK S.p.A. in liquidazione, rappresentata e difesa dall’avv.

Gregorio Leone, con domicilio eletto in Roma, piazza di Priscilla 4,

presso lo studio dell’avv. Lorenza Roberta Leone, (studio Salustri e

associati);

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso 12, l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia depositata l’11 maggio 2012.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 9 gennaio 2017

dal Consigliere Giuseppe Tedesco;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale DEL CORE Sergio, che ha concluso chiedendo l’accoglimento

del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Nei confronti della Lariplastik S.p.A. fu emesso avviso di accertamento per l’anno di imposta 2005, con cui fu recuperata a tassazione l’Iva relativa a una pluralità di fatture emesse nei confronti della società (OMISSIS) Eva Porubska e della società Rutiplast s.r.l..

Secondo l’assunto dell’Agenzia delle Entrate, le predette società destinatarie delle fatture avevano operato quali soggetti interposti, adoperandosi nell’estrazione della merce dal deposito fiscale e nella fatturazione, con addebito dell’Iva, al cliente finale.

Contro l’avviso la contribuente ha proposto ricorso davanti alla Commissione tributaria provinciale di Milano, deducendo, a sostegno dello stesso, la nullità dell’atto impositivo per difetto di motivazione; l’illegittimità dell’avviso nella parte in cui recuperava a tassazione anche la somma di Euro 4.323,00, trattandosi di importo riguardante l’Iva della dichiarazione periodica del maggio 2005, che la Lariplastik non aveva versato perchè l’aveva detratta dalla dichiarazione annuale, anzichè compensarla con F24; l’illegittimità e infondatezza della pretesa impositiva, in assenza di elementi idonei a dimostrare tanto l’interposizione fittizia, quanto il carattere fittizio dell’introduzione dei beni nel deposito fiscale; l’effettività delle operazioni di vendita poste in essere dalla contribuente in regime di deposito fiscale, come risultava dalla annotazione apposta su ciascuna delle fatture oggetto di contestazione.

Instauratosi il contraddittorio con l’Agenzia dell’Entrate, il ricorso era rigettato dalla Commissione tributaria provinciale, con sentenza poi confermata da quella regionale, dinanzi alla quale la società aveva riproposto le medesime censure, preliminari e di merito, fatte valere con l’iniziale ricorso.

Contro la sentenza la società ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, illustrati con memoria, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Col primo motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: i giudici di appello avevano omesso di pronunciarsi sull’eccepito difetto di motivazione dell’avviso di accertamento.

Il motivo è infondato. Costituisce principio acquisito che per “integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. 4 ottobre 2011, n. 20311; Cass. 11 settembre 2015, n. 17956).

Il principio è perfettamente applicabile nel caso in esame, tenuto conto che il supposto vizio di omessa pronuncia riguarda la carenza di motivazione dell’avviso di accertamento L. n. 212 del 2000, ex art. 7. Ed invero tale vizio, ove riscontrato, è causa di nullità insanabile dell’atto con il consequenziale dovere del giudice tributario, davanti al quale sia impugnato, di dichiararne l’invalidità, astenendosi dall’esame sul merito del rapporto. Ebbene, chiarita in questi termini la relazione esistente fra difetto di motivazione dell’avviso e verifica della pretesa impositiva, è chiaro che, sulla relativa eccezione, il vizio di omessa pronuncia non è configurabile per definizione, qualora, come è avvenuto nel caso in esame, il giudice tributario, pure in assenza di una specifica argomentazione, abbia pronunciato sul merito di quella stessa pretesa. La decisione sul merito implica il rigetto dell’eccezione.

Col secondo motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver i giudici d’appello omesso di pronunciarsi sulla censura con cui fu contestata la legittimità dell’ulteriore ragione di recupero Iva operata con l’avviso, riguardante l’importo di Euro 4.323,00, che la società aveva detratto dalla dichiarazione annuale anzichè compensarlo con F24.

Il motivo è inammissibile. La ricorrente, infatti, si è limitata a trascrivere le deduzioni difensive operate in proposito nell’atto di appello, mentre il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione avrebbe richiesto che fosse preventivamente trascritto il contenuto dell’avviso di accertamento, in modo che risultasse che la pretesa impositiva era effettivamente fondata su una ragione di recupero ulteriore oltre a quella che ha costituito esclusivo oggetto di esame e di pronuncia da parte della Commissione tributaria regionale.

E’ vero che nella parte narrativa del ricorso vi sono una pluralità di riferimenti anche all’ulteriore ragione di recupero oggetto del motivo in esame, ma le relative deduzioni, pure in questa parte introduttiva del ricorso, sono immediatamente formulate in termini di denuncia della ingiustizia della pretesa dell’ufficio, che però non è preventivamente identificata mediante testuale trascrizione della parte di avviso che la conteneva. Da qui il difetto di autosufficienza che rende il motivo inammissibile.

Il terzo motivo di ricorso deduce violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e art. 132 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Si sostiene che la motivazione della sentenza è apparente, in quanto riferita a fatti e vicende riguardanti un soggetto diverso dalla ricorrente.

Il motivo è infondato. In proposito deve tenersi conto degli insegnamenti di questa Corte in ordine alla “mancanza della motivazione”, con riferimento al requisito della sentenza di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4: tale “mancanza” si configura quando la motivazione manchi del tutto, nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione, ovvero quando, seppure essa formalmente esista come parte del documento, le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (Cass. n. 20112 del 2009; Cass., SU, 7 aprile 2014, n. 8053).

Ciò posto la sentenza non incorre in alcune di queste carenze. Invero i giudici d’appello, dopo avere identificato il meccanismo utilizzato per la frode e le società che l’avevano posto in essere, fra le quali non rientrava effettivamente l’attuale contribuente, precisa che “nell’anno qui trattato” una delle società partecipi della frode, cioè la Albatros Polimeri S.p.A., “viene sostituita dalla Lariplastik, S.p.A., e sempre mediante il ricorso all’evasione di imposta, estraendo i materiali dal deposito fiscale per la successiva commercializzazione nel territorio dello Stato e assolvendo l’imposta in auto fatturazione ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7, comma 3, per poi fatturare l’operazione alla Rustiplast s.r.l., dovendola assoggettare all’imposta che però non avviene”. Segue la illustrazione dei passaggi fra le varie società coinvolte.

La motivazione, quindi, nel caso in esame esiste non solo come parte del documento, ma non è per nulla apparente, perchè, attraverso quella precisazione, poi implicitamente ribadita nella parte finale della sentenza, dove espressamente si assume che la raggiunta prova della interposizioni riguardava tutte le società, “includendo ovviamente la società Lariplastik qui appellante” l’insieme delle considerazioni proposte con riferimento alla società “sostituita” sono riferibili, con riferimento all’anno di imposta in questione e alle fatture in contestazione, alla società “sostituente” (cioè all’attuale ricorrente), che il giudice d’appello ha ritenuto, con riferimento al diverso periodo, partecipe della frode secondo le medesime modalità. E’ appena il caso di porre in luce che la constatazione che la motivazione esiste e non è illogica non implica, sotto nessun profilo, una valutazione positiva della correttezza del giudizio espresso dal giudice del merito, che esula dall’ambito del controllo demandato al giudice di legittimità in forza del motivo in esame.

Con il quarto motivo la ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa motivazione della sentenza in ordine ad un fatto controverso. Si rimprovera ai giudici d’appello di avere ritenuto che le operazioni di vendita realizzate dalla Lariplastik fossero fittizie, nonostante che le vendite esaminate fossero quelle realizzate da altra società (Albatros Polimeri). Il motivo è infondato. E’ stato già chiarito quale fu l’iter logico seguito dalla Commissione tributaria regionale nella decisione. La Commissione tributaria regionale ritenne che, nell’anno di imposta 2005, la sola cosa che mutò, rispetto al meccanismo descritto nella motivazione con riferimento ad altri soggetti, fu l’identità di una delle società che ha emesso le fatture senza applicazione di imposta. La ricorrente censura la sentenza perchè il giudice di merito non avrebbe indicato gli elementi di fatto idonei a estendere alla Lariplastik l’ipotesi della frode riscontrata con riferimento alla diversa società, mentre tali elementi, seppure per sintesi, sono stati indicati. Ad esempio, nel momento in cui la Commissione tributaria regionale precisa che, grazie a una indagine internazionale, era stato appurato che la società estera Eva Poruska, destinataria del dieci delle fatture oggetto di contestazione, non aveva realizzato transazioni con soggetti intracomunitari, e non aveva contattato nessun soggetto in Italia, fa riferimento a un fatto che coinvolge direttamente anche la società ricorrente, così come la coinvolgono le considerazioni sulla quantità complessiva della merce che risultava ceduta alla società estera e la costante specularità fra prezzo di vendita e prezzo di acquisto. Così identificato l’iter argomentativo seguito dalla sentenza, che non ha niente di illogico e di non plausibile, è con esso che avrebbe dovuto misurarsi la ricorrente nel dedurre il vizio di motivazione su fatto controverso e decisivo. La ricorrente, cioè, avrebbe dovuto indicare fatti o mezzi di prova riferiti a fatti che, se valutati, avrebbero potuto determinare una valutazione diversa da quella su cui essenzialmente è fondata la decisione sfavorevole per la ricorrerete: ad esempio, che furono trascurati elementi idonei a suffragare l’effettività del rapporto con la società estera ovvero che la specularità fra prezzo di acquisto e di vendita non fosse riscontrabile rispetto alle fatture emesse dalla ricorrente oppure che la quantità complessiva delle vendita riscontrate dall’ufficio come fittizie non comprendeva pure la quantità oggetto delle fatture contestate ecc. Al contrario una indicazione del genere manca del tutto, per cui, sotto il profilo del vizio motivazionale, la ricorrente censura in realtà la valutazione della Commissione tributaria regionale sugli elementi di prova addotti dall’ufficio erariale, solo che tale tipo di censura è inammissibile in questa sede (Cass. n. 14953 del 2000).

Con il quinto e ultimo motivo del ricorso la ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 112 cod. proc. civ, lamentando che i giudici di secondo grado avevano omesso di pronunciarsi sulla deduzione, introdotta in primo grado e reiterata in appello, secondo cui “quando viene venduta merce custodita in deposito fiscale, è il fatto oggettivo che la cessione riguarda merce ivi depositata che rileva ai fini della non imponibilità Iva, e non già il soggetto al quale si vende la merce giacente in deposito: se Lariplastik avesse venduto questa merce custodita in deposito direttamente a un soggetto nazionale, anzichè comunitario, avrebbe avuto diritto, comunque, ad avvalersi della non imponibilità Iva D.L. n. 331 del 1993, ex art. 50 bis”.

Il motivo, dedotto quale error in procedendo, è infondato. E’ ovvio che, nel momento in cui la sentenza ha riconosciuto la legittimità del recupero a tassazione dell’Iva sulle fatture oggetto di contestazione, ha inevitabilmente ritenuto infondata anche la tesi difensiva esposta con il motivo d’appello, per cui la sentenza è inattaccabile sotto il profilo della omessa pronuncia, ma avrebbe dovuto essere semmai denunciata per violazione di legge.

In conclusione il ricorso va interamente rigettato.

PQM

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.500,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2017

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