Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6680 del 23/03/2011

Cassazione civile sez. III, 23/03/2011, (ud. 07/02/2011, dep. 23/03/2011), n.6680

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMATUCCI Alfonso – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. armano Uliana – Consigliere –

Dott. LEVI Giulio – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22857/2005 proposto da:

V.L. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, PIAZZA ADRIANA 20, presso lo studio dell’avvocato LO CONTE

ANTONELLA, rappresentata e difesa dagli avvocati TONIATTI Michele,

IZZI GIOVANNI giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.P.A. FIME FACTORING in liquidazione (OMISSIS), in persona del

liquidatore e legale rappresentante pro tempore Dr. V.S.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIETRO MASCAGNI 7, presso lo

studio dell’avvocato FERRI Ferdinando, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato CORVINO ALDO giusta procura speciale del

Dott. Notaio MARIA ROSARIA PERCUOCO in NAPOLI 5/10/2005, REP. n.

31100;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1055/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO –

Sezione Prima Civile, emessa l’8/2/2005, depositata il 21/04/2005,

R.G.N. 1979/2001;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

07/02/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato ANTONELLA LO CONTE (per delega dell’Avv. GIOVANNI

IZZI);

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La S.p.A. Fime Factoring propose impugnazione dinanzi alla Corte d’Appello di Milano avverso la sentenza del Tribunale di Varese, con la quale erano state rigettate sia la domanda di simulazione assoluta che la domanda di declaratoria di inefficacia ai sensi dell’art. 2901 cod. civ., dell’atto di compravendita per notaio Aiello di Milano del 19 ottobre 1995 rap. n. 39869, trascritto il 27 ottobre 1995 ai nn. 14280/9939 – col quale F.E. aveva venduto alla moglie, V.L., un appartamento di tre vani e servizi, con annessi cantina e posto macchina, sito in (OMISSIS) – proposte dalla stessa società nei confronti del F., e della V.. Dedusse l’appellante, in particolare, quanto alla revocatoria, che, poichè il credito derivante dalla fideiussione prestata dal F. era anteriore all’atto di compravendita, non era necessario, ai sensi dell’art. 2901 cod. civ., il consilium fraudis, ma era sufficiente la scientia damni, che sussisteva nella fattispecie perchè la V. era ben a conoscenza della grave situazione patrimoniale della società Gemini Elettronica s.r.l. (che era stata garantita dal F. con la fideiussione che costituiva la fonte del suo debito verso la Fime Factoring S.p.A.) e, conseguentemente, del marito; che la stessa V. aveva dato atto del fatto che il F. non avesse adempiuto al pagamento, nel termine del 30 giugno 1995, del credito di L. 1.200.000.000, che ella vantava nei suoi confronti per la cessione della sua quota in Gemini Elettronica s.r.l.; che nell’ordinanza dell’8 gennaio 1997, in sede di procedimento di modifica dei patti della separazione tra coniugi, il Tribunale di Varese aveva osservato che le condizioni del F., dalla data di separazione dalla moglie, erano notoriamente mutate in peggio.

La V., costituitasi in appello, ripropose le argomentazioni svolte in primo grado, ed in particolare, con riferimento alla domanda ex art. 2901 cod. civ., dedusse; che:

– la revoca della compravendita era esclusa ai sensi dell’art. 2901 cod. civ., comma 3, poichè costituiva l’adempimento di un debito scaduto: il trasferimento dell’immobile era stato infatti effettuato dal F. come pagamento di parte della somma di L. 1.200.000.000, che le avrebbe dovuto versare entro il 30 giugno 1995, quale corrispettivo della cessione della quota di Gemini Elettronica s.r.l.; non era onere di essa appellata dare la prova che il debito scaduto non poteva essere adempiuto con soluzioni alternative non pregiudizievoli ai creditori;

– mancava la prova della sussistenza del credito della Fime Factoring S.p.A., dato che aveva prodotto soltanto una fotocopia, non autenticata, di un decreto ingiuntivo emesso nei confronti del F.; in ogni caso si trattava di credito non anteriore all’atto di disposizione di cui era stata chiesta la revoca e quindi era necessario il requisito del consilium fraudis;

– la Fime Factoring S.p.A. non era riuscita a provare la consapevolezza di essa appellata del pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori.

La Corte d’Appello di Milano, confermato il rigetto della domanda di simulazione, ha invece accolto la domanda di revocatoria, ritenendo:

– che la V., la quale aveva l’onere di provare l’esistenza dei requisiti per la non assoggettabilità a revoca dell’atto ai sensi dell’art. 2901 cod. civ., comma 3, non aveva dimostrato che il trasferimento era stato effettuato dal F. per adempiere parzialmente al debito di L. 1.200.000.000 che aveva nei suoi confronti per il pagamento del prezzo della quota della Gemini Elettronica s.r.l., in quanto nell’atto di compravendita di cui era stata chiesta la revoca non si faceva alcun riferimento a debiti precedenti e ad una datio in solutum dell’immobile e si dava invece atto del fatto che la V. aveva già versato la somma di L. 117.420.000 a titolo di pagamento del prezzo pattuito per il pagamento dell’immobile; in ogni caso, come già osservato dal Tribunale, la V. non aveva nemmeno provato che la cessione dell’immobile rappresentasse il solo mezzo che il F. aveva per adempiere il proprio debito;

– che non rilevava, per l’insorgere della qualità di creditore in capo a Fime Factoring S.p.A. nei confronti di F.E., che fosse contestato dalla V. l’accertamento giudiziale relativo, essendo sufficiente la sussistenza della ragione di credito, che risultava provata dalla fideiussione rilasciata dal F. a garanzia delle obbligazioni di Gemini Elettronica s.r.l. e dalle cessioni effettuate, a favore della Fime Factoring S.p.A., da parte della Telecontrolli S.p.A. dei crediti da questa vantati nei confronti della Gemini Elettronica s.r.l.; che, infatti, una parte di tali fatture erano precedenti la data di rilascio della fideiussione e quindi l’insorgenza del credito della Fime Factoring S.p.A. nei confronti del F. era da determinarsi alla data del 12 gennaio 1995, in cui era stata rilasciata la fideiussione, quindi anteriormente all’atto dispositivo, posto in essere il 19 ottobre 1995;

– che quindi era sufficiente il solo requisito della scientia damni, cioè della consapevolezza della V. del pregiudizio arrecato ai creditori, che, nel caso di specie, sussisteva.

La Corte d’Appello di Milano ha quindi dichiarato l’inefficacia dell’atto di compravendita, stipulato tra F.E. e V. L. in data 19 ottobre 1995, nei confronti della Fime Factoring S.p.A. ed ha condannato l’appellata al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano propone ricorso per cassazione V.L., a mezzo di tre motivi. Resiste con controricorso la Fime Factoring S.p.A., in liquidazione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Col primo motivo del ricorso è dedotta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c. e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per non avere la corte di merito considerato che uno dei requisiti richiesti dalla prima norma per la revoca dell’atto dispositivo a titolo oneroso compiuto in pregiudizio delle ragioni dei creditori, quando sia successivo al sorgere del credito, è la c.d. scientia damni, vale a dire la consapevolezza del debitore e del terzo dell’idoneità dell’atto a recare tale pregiudizio.

Il motivo è infondato.

1.2. Giova evidenziare che la ricorrente non censura l’affermazione, contenuta nella sentenza di merito, per la quale il credito rivendicato dalla Fime Factoring S.p.A. fosse sorto in epoca anteriore all’atto di compravendita oggetto dell’azione revocatoria, nè censura la sentenza impugnata laddove ha ritenuto provata la sussistenza del credito, a prescindere dal relativo accertamento giudiziale, malgrado l’una e l’altra circostanza fossero state oggetto di contestazioni svolte dalla medesima parte sia in primo che in secondo grado. Piuttosto, dando per scontato che nel caso di specie debbano trovare applicazione le norme di cui all’art. 2901 c.c., comma 1, n. 1, prima parte, e n. 2, prima parte, sostiene che la Corte d’Appello le avrebbe violate laddove richiedono non il ed.

consilium fraudis, bensì soltanto la scientia damni, valutata tuttavia con riferimento al momento in cui l’atto revocando è stato posto in essere e provata, pur con presunzioni, purchè però gravi precise e concordanti ex art. 2729 c.c..

1.3. La censura non coglie nel segno perchè la premessa in diritto dalla quale la Corte d’Appello ha preso le mosse è proprio quella della verifica della sussistenza nel caso di specie della scientia damni, “ossia della consapevolezza dello stesso F. e, trattandosi di atto a titolo oneroso, anche della terza V., di arrecare pregiudizio alle ragioni dei creditori” ed ha riferito tale sua verifica proprio al momento in cui l’atto dispositivo venne compiuto.

La Corte d’Appello ha inoltre interpretato la norma conformemente alla giurisprudenza di questa Corte, pure richiamata dalla ricorrente, per la quale la consapevolezza del pregiudizio delle ragioni del creditore non va intesa come vera e propria intenzione di ledere tali ragioni (cfr. Cass. n. 11518/1995) o come specifica conoscenza del credito per la cui tutela viene esperita l’azione (cfr. già Cass. n. 2303/1996, nonchè Cass. n. 5741/2004, n. 22365/2007, n. 10623/2010), quanto piuttosto come consapevolezza della riduzione del patrimonio del debitore e quindi della sopravvenienza pure soltanto di un pericolo di danno per i creditori (cfr. Cass. n. 19234/2009, n. 16464/2009), che consiste anche nella maggiore difficoltà della soddisfazione coattiva del credito (cfr.

Cass. n. 7262/2000).

Risulta così correttamente individuata la norma regolatrice della controversia nell’art. 2901 c.c., comma 1, n. 1, parte prima, e n. 2, parte prima; questa norma risulta correttamente interpretata ed essa è validamente applicata al caso di specie, che consiste proprio nel compimento da parte del debitore, ed in favore di un terzo, di un atto dispositivo a titolo oneroso, che si assume pregiudizievole delle ragioni dei creditori.

1.4. Le ulteriori argomentazioni che la ricorrente svolge per dimostrare l’errore di diritto della sentenza impugnata non attengono certo al denunciato vizio di violazione di legge quanto piuttosto alla valutazione della prova della conoscenza o della conoscibilità da parte della V., compiuta, dalla corte di merito ed alla relativa motivazione. Esse quindi denunciano il vizio tipicamente riconducibile alla norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, cui peraltro è riferito il secondo motivo del ricorso.

2.1. Col secondo motivo di ricorso viene denunciato, infatti, il vizio di motivazione perchè la sentenza impugnata si sarebbe limitata a motivare sulla sussistenza della scientia damni con la seguente argomentazione: “Nella fattispecie non può dubitarsi che il F. e la V. fossero a conoscenza del fatto che il trasferimento dell’immobile avrebbe comunque reso più difficile, incerta o dispendiosa l’esecuzione nei confronti del F., essendo il denaro un bene meno agevolmente aggredibile in sede esecutiva rispetto ad un bene immobile (cfr. Cass. n. 1262 del 2000)”. Secondo la ricorrente, l’argomentazione risulterebbe:

– incompleta, perchè si soffermerebbe ad analizzare solo il presupposto dell’eventus damni piuttosto che quello richiesto della scientia damni;

– illogica, perchè farebbe discendere automaticamente dalla presenza del presupposto dell’eventus damni quello ulteriore e diverso della scientia damni, tanto che seguendo l’iter logico della Corte d’Appello si arriverebbe al paradosso che qualsiasi soggetto che acquistasse un bene immobile potrebbe vedersi revocato il suo acquisto da qualunque creditore del venditore, a prescindere dal fatto che sia consapevole o meno che attraverso detta operazione venga diminuita la consistenza delle garanzie spettanti ai creditori del suo dante causa, e quindi dell’esistenza o meno di creditori del suo dante causa;

– contraddittoria, per il mancato esame di documenti di causa, che, secondo la ricorrente, avrebbero fornito la prova di fatti che, se valutati, avrebbero condotto ad una decisione diversa da quella pronunciata.

2.2. Il motivo è infondato.

La motivazione della sentenza impugnata non può essere reputata incompleta nè illogica se, anzichè considerare il passaggio motivazionale estrapolato dalla ricorrente, si connette tale passaggio alla parte di motivazione che, nel precederlo, lo completa e rende palese la coerenza del ragionamento seguito dal giudice del merito.

Ed invero, la Corte d’Appello ha detto in motivazione sia della scientia damni che dell’eventus damni, entrambi elementi indispensabili alla revocatoria ex art. 2901, comma 1, quando è impugnato un atto a titolo oneroso compiuto dopo l’insorgenza del credito. Correttamente, ha ritenuto, in primo luogo, sussistente la consapevolezza “dello stesso F. e, trattandosi di atto a titolo oneroso, anche della terza V., di arrecare pregiudizio alle ragioni dei creditori” ed ha definito tale consapevolezza nei termini giuridici desumibili dalla corrente interpretazione giurisprudenziale, come riportata al precedente punto 1. In secondo luogo, data per sussistente detta consapevolezza in capo ad entrambe le parti dell’atto dispositivo, ha detto dell’eventus damni, senza che risulti dalla motivazione che abbia fatto discendere dalla sussistenza di questo presupposto anche la sussistenza dell’altro.

Piuttosto, si desume dal tenore della sentenza impugnata che il giudice di secondo grado, avvalendosi delle risultanze già emerse nel precedente grado di giudizio, ha inteso riformare le conclusioni del primo giudice perchè ha ritenuto che i rapporti tra le parti fossero tali da lasciare presumere che la V. fosse consapevole della consistenza del patrimonio del F. e dell’incidenza su questo dell’atto dispositivo; perchè ha altresì ritenuto che tale consapevolezza sia sufficiente ad integrare la scientia damni senza che fosse necessario che l’acquirente del bene a titolo oneroso avesse contezza dello specifico credito nascente dalla fideiussione a favore della Gemini Elettronica s.r.l., della consistenza patrimoniale di questa società e della sussistenza di pretese creditorie ulteriori sia nei confronti della società che del suo garante.

2.3. Il riscontro della correttezza della conclusione raggiunta dalla Corte d’Appello si ottiene esaminando la censura di contraddittorietà mossa, dalla ricorrente alla motivazione adottata dal giudice di secondo grado.

Infatti, pur non avendo, quest’ultimo, dato conto nel dettaglio dei documenti di cui si è avvalso per ritenere sussistente la scientia damni, si deve escludere che abbia omesso l’esame di documenti che l’avrebbero condotto a decidere in senso favorevole alla V..

Secondo la ricorrente, i documenti in parola sarebbero i seguenti:

– doc. 5) l’atto di cessione di quota del 20 giugno 1994, con il quale la V. cedeva al F. la propria quota di partecipazione in Gemini Elettronica s.r.l., rinunciando nel contempo all’esercizio del diritto di voto, derivante dalla costituzione in pegno a suo favore di una quota sociale a garanzia dell’obbligazione di pagamento del prezzo assunta dal marito; inoltre, con lo stesso atto le veniva accordata la facoltà di revoca di tutte le fideiussioni da lei rilasciate in favore della stessa società;

– (doc. 3) la sentenza del Tribunale di Varese del 18 giugno 1993, da cui risulta che il riconoscimento della titolarità della quota di cui al menzionato atto di cessione era intervenuto soltanto a seguito di pronuncia giurisdizionale;

– (doc. 6) l’ordinanza del 27 novembre 1995 del Tribunale di Varese, da cui risulta che le condizioni economiche del F., a far data dalla separazione giudiziale del 6 giugno 1994 e fino alla data del provvedimento in oggetto, non erano mutate in peggio ed erano tali da consentire l’adempimento dell’obbligo del F. di corrispondere mensilmente alla moglie separata un assegno di L. 8.000.000 al mese per il suo mantenimento ed altro assegno di L. 4.000.000 al mese per il mantenimento del figlio minore;

– (doc. 15) il provvedimento del Tribunale di Varese del 9 gennaio 1997, da cui si evince che il peggioramento delle condizioni economiche del F. avveniva soltanto nel 1997;

– la visura ipocatastale, da cui si risulta che le ipoteche giudiziali che resero incapiente il patrimonio immobiliare del F. furono iscritte tra il 12 febbraio e l’8 marzo 1996, quindi successivamente all’atto di disposizione per cui è causa.

2.4. Orbene, occorre premettere che, ai fini della configurabilità del vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario che “il mancato esame di elementi probatori contrastanti con quelli posti a fondamento della pronuncia sia tale da invalidare, con giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle risultanze sulle quali il convincimento del giudice è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base, ovvero che si tratti di un documento idoneo a fornire la prova di un fatto costitutivo, modificativo o estintivo del rapporto giuridico in contestazione, e perciò tale che, se tenuto presente dal giudice, avrebbe potuto determinare una decisione diversa da quella adottata” (cfr. così Cass. n. 14304/2005, ma nello stesso senso, tra molte, anche Cass. n. 10156/2004, n. 5473/2006, n. 21249/2006, n. 9245/2007).

2.5. Nessuno dei documenti richiamati dalla ricorrente fornisce la prova di una o più circostanze che, se espressamente considerate, avrebbero condotto con certezza ad una diversa soluzione della controversia.

Trattasi, infatti, di documenti da cui si potrebbero tutt’al più desumere fatti secondari, a valore presuntivo ed indiziario, inidonei, sia se considerati singolarmente ma anche se considerati nei loro reciproci rapporti, a modificare la decisione della Corte d’Appello; nè rileva che, sulla base dei medesimi documenti, fosse stata invece diversa la decisione del Tribunale di Varese, poichè il primo giudice, a sua volta, aveva trascurato di considerare degli altri documenti, idonei a fornire elementi di segno contrario, sui quali si è evidentemente fondata la decisione del giudice d’appello.

Infatti, non costituisce argomento decisivo la circostanza che la V. fosse o meno a conoscenza della situazione patrimoniale della Gemini Elettronica s.r.l. (doc. 5 e 3) poichè, pur trattandosi del soggetto garantito, per la revoca dell’atto dispositivo del fideiussore rileva la scientia damni riguardante il patrimonio di questi soltanto; nemmeno decisive sono le risultanze dei giudizi relativi alla separazione personale dei coniugi F. – V. (doc. 6 e 15), poichè contrastanti con le affermazioni della V. – che invece dimostrerebbero che le era noto un peggioramento delle condizioni patrimoniali del coniuge separato – contenute in atti del presente e di altri giudizi, relative alla sussistenza del suo ingente credito per la cessione della quota, rispetto al quale il F. era stato a lungo inadempiente, pur essendo il credito scadute già il 30 giugno 1995, data antecedente 0,1 contratto impugnato (tanto che, secondo la stessa tesi difensiva della ricorrente, anche questo sarebbe: stato stipulato quale datio in solutum per l’adempimento del debito scaduto); infine, non è decisivo l’esame delle visure ipocatastali poichè, come affermato dalla prevalente giurisprudenza e ribadito dalla Corte d’Appello, la scientia damni prescinde dalla consapevolezza di uno stato di insolvenza del debitore (alienante) ovvero dalla conoscenza di vincoli su altri beni del debitore (alienante) a garanzia dei creditori, in quanto, pur potendo questi costituire elementi utili di valutazione, in loro mancanza la conoscenza della consistenza patrimoniale del debitore da parte del terzo acquirente ben può essere desunta da altri elementi, anche presuntivi.

2.6. Poichè la prova dell’atteggiamento soggettivo del terzo ben può essere indiziaria (cfr. Cass. n. 13404/2008) e fornita tramite presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito, ed è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato ed immune da vizi logici e giuridici (Cass. n. 7452/2000), dato quanto sopra, va rigettato anche il motivo concernente il vizio di motivazione in punto di scientia damni.

3.1. Sebbene col terzo motivo di ricorso, la ricorrente denunci violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., comma 3, nonchè vizio di motivazione sul fatto controverso costituito dalla destinazione dell’atto impugnato ad adempiere un debito scadute, in effetti svolge le proprie censure soltanto con riferimento a tale ultimo vizio. Infatti, per un verso, censura la sentenza impugnata perchè non avrebbe preso in considerazione dei documenti che sarebbero stati idonei a comprovare come ella fosse effettivamente creditrice nei confronti del F.: tale omessa considerazione avrebbe portato alla erronea conclusione per cui l’appellata non avrebbe fornito la prova dell’esistenza del credito, del quale aveva assunto l’adempimento con la datio in solutum del bene oggetto di revocatoria; per altro verso, lamenta che, se i giudici milanesi avessero esaminato i documenti specificati in ricorso, avrebbero ritenuto provato l’altro presupposto per l’applicabilità dell’art. 2901 c.c., comma 3, ossia il fatto che il trasferimento de quo fosse l’unico mezzo al quale il F. poteva far ricorso per procurarsi il denaro.

La censura della ricorrente è infondata quanto al primo profilo ed inammissibile quanto al secondo.

3.2. La principale ratio decidendi della sentenza d’appello non è affatto quella esposta ed impugnata dalla ricorrente.

La Corte d’Appello di Milano non ha ritenuto che mancasse la prova dell’esistenza di un credito della V. nei confronti del F., quanto piuttosto che la prima non avesse fornito la prova che “il trasferimento immobiliare sia stato effettuato dal F. per adempiere parzialmente al debito di L. 1.200.000.000 che aveva nei suoi confronti per il pagamento del prezzo della quota della Gemini Elettronica s.r.l., che essa aveva ceduto allo stesso F. con atto autenticato dal notaio Umberto Ajello in data 20.6.1994”.

Questa conclusione, che evidentemente non nega che tale debito esistesse, è stata raggiunta tenendo conto del contenuto e del tenore dell’atto oggetto di revocatoria: questo, come nota la Corte di merito, risulta stipulato come compravendita e non come datio in solutum; non da affatto conto dell’esistenza del debito scaduto in luogo del cui adempimento avverrebbe il trasferimento dell’immobile;

anzi, per contro, da atto dell’avvenuto pagamento del prezzo da parte dell’acquirente V. e lo quantifica nell’importo di L. 117.420.000.

Nessuna specifica censura è stata mossa a tale motivazione, che risulta congrua e logica.

Quanto ai documenti dei quali la ricorrente lamenta la mancata considerazione da parte del giudice d’appello, è sufficiente richiamare i principi sui quali si giudica della decisività ex art. 360 c.p.c., n. 5, per escludere che questa sussista nel caso di specie, poichè, in parte, per stessa ammissione della ricorrente, si tratta di documenti idonei a comprovare soltanto che essa vantasse un credito nei confronti del F. per la cessione delle quote sociali e che questo non fosse stato adempiuto; in parte, detti documenti non sono sufficienti a superare quanto risulta dall’atto di compravendita impugnato, poichè vi si fa menzione di un accordo per l’adempimento del debito con la cessione del fabbricato, affermato da parte F. ma contestate dalla controparte, e comunque, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, i documenti riprodotti in ricorso non provano affatto che tale accordo abbia trovate attuazione nella compravendita per cui è revocatoria.

3.3. Inammissibile per difetto d’interesse è la critica della motivazione con la quale la Corte d’Appello ha ritenuto non provato “che la cessione dell’immobile rappresentasse il solo mezzo che il F. aveva per adempiere al proprio debito”; si tratta, infatti, di prova che sarebbe stata necessaria se si fosse ritenuto applicabile all’atto de quo il disposto dell’art. 2901 c.c., comma 3, ma, una volta escluso che si sia in presenza dell’adempimento di un debito scaduto, anche detta prova è divenuta superflua, così come l’ulteriore ratio decidendi della sentenza impugnata. Un eventuale accoglimento del motivo lascerebbe infatti ferma la ratio decidendi principale, sicchè, non essendo venuta meno quest’ultima, la ricorrente non ha più interesse all’accoglimento della censura concernente l’altra.

4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente V.L. al pagamento delle spese processuali che liquida in favore della resistente S.p.A. Fime Factoring, in liquidazione, nella somma di Euro 5.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2011

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