Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6678 del 06/04/2016


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 6678 Anno 2016
Presidente: CHINDEMI DOMENICO
Relatore: STALLA GIACOMO MARIA

SENTENZA
sul ricorso 3496-2011 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DAEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –

2016
647

contro

ARENA GIOVANNI, elettivamente domiciliato in ROMA VIA
NIZZA 11, presso lo studio dell’avvocato MATTEO SERVA,
rappresentato e difeso dall’avvocato IVAN ANTONIO
ANDREA CHIARAMONTE giusta delega a margine;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 06/04/2016

avverso

la

sentenza

n.

570/2009

della

COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di CATANIA, depositata il
14/12/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 23/02/2016 dal Consigliere Dott. GIACOMO

udito per il ricorrente l’Avvocato MARCHINI che si
riporta agli atti;
udito per il controricorrente l’Avvocato CARUSO per
delega dell’Avvocato CHIARAMONTE che ha chiesto il
rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. UMBERTO DE AUGUSTINIS che ha concluso
per raccoglimento del ricorso.

MARIA STALLA;

Svolgimento del giudizio.
L’agenzia delle entrate propone due motivi di ricorso per la cassazione della
sentenza n. 570/34 del 14 dicembre 2009 con la quale la commissione tributaria
regionale della Sicilia ha annullato l’avviso di rettifica e liquidazione n.
98/03388/00030 notificato a Giovanni Arena per imposta di successione 2001. Ciò
per la ritenuta non configurabilità, nella specie, di un avviamento commerciale
imponibile: sia perché si trattava di cessione aziendale

mortis causa a favore di

svolta in regime di concessione monopolistica, e dunque non liberamente cedibile.
Resiste con controricorso l’Arena.
Motivi della decisione.
§ 1.

Con il primo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate deduce – ex art.360, 1^ co.

n. 3 cod.proc.civ. – violazione o falsa applicazione gli articoli 15 e 16 d.lgs. 346/1990;
per avere la commissione tributaria regionale ritenuto nella specie non imponibile
l’avviamento commerciale, nonostante che tale non imponibilità – sancita dalle
modificazioni apportate agli articoli in questione dalla legge 342/00 – non potesse
retroattivamente riguardare anche le successioni che si erano aperte (come nella
specie: 13 dicembre ’97) prima della modifica normativa.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce – ex art.360, 1^ co. n. 5 cod.proc.civ. motivazione insufficiente e contraddittoria; per avere la commissione tributaria
regionale escluso da tassazione l’avviamento (ric.pag .5) “sulla scorta di affermazioni
generiche e di richiami non pertinenti a sentenze di codesta Corte ed a contratti tra il
contribuente odierno resistente e i monopoli di Stato (AAMS)”.
§ 2.

I due motivi di ricorso non possono trovare accoglimento, risultando finanche

inammissibili là dove non mostrano di aver colto la effettiva ratio decidendi sottesa
alla decisione impugnata; che non è stata affatto nel senso dell’esclusione
dell’avviamento in forza della ritenuta retroattività della modificazione apportata agli
articoli 15 e 16 d.lgs. 346/1990 dall’articolo 69 legge 342/2000, bensì nel senso della
insussistenza ‘in concreto’ di un avviamento tassabile.
E ciò non solo perché si verteva di cessione aziendale mortis causa a favore di
familiari, ma anche perché non poteva configurarsi un avviamento commerciale con
riguardo ad un’azienda che, come nel caso di specie,
svolgeva attività in regime di
_
concessione monopolistica (gestione di magazzino tabacchi per conto della AAMS) e
non risultava, conseguentemente, liberamente cedibile.
Orbene, era onere di parte ricorrente impugnare entrambe queste

rationes

decidendi, ciascuna delle quali in grado di autonomamente sostenere la decisione
censurata.
3
Ric.n.3496/11 rg. – Ud.del 23 febbraio 2016

71 7nsjEst.

familiari sia perché, in ogni caso, si trattava di attività (gestione magazzino tabacchi)

Si è in proposito stabilito (Cass. Sez. U. Sentenza n. 7931 del 29/03/2013) che il
ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far
valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come
un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito
della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti. Ne consegue che, qualora la
decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed

sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso
una di tali “rationes decidendi”, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione.
Ciò è quanto si verifica nel caso di specie, nel quale l’agenzia delle entrate ha – da
un lato – fondato la doglianza (primo motivo) sull’erronea applicazione di una regola
interpretativa (di retroattività o irretroattività delle modificazioni di cui alla citata
legge 342/00) in realtà estranea alla prima ratio decidendi accolta dalla commissione
tributaria regionale, viceversa riferita, proprio come vorrebbe l’agenzia delle entrate,
alla disciplina dell’imposta di successione anteriore alla modifica normativa; e dall’altro – genericamente lamentato una carenza motivazionale (secondo motivo)
senza enucleare l’effettivo portato decisorio della sentenza impugnata, individuabile
(in via autonoma ed autosufficiente rispetto alla prima ‘ratio’) nella peculiarità di una
fattispecie nella quale l’avviamento doveva ritenersi comunque

ex se inesistente,

vertendosi di attività economica di natura monopolistica e, come tale, non
valorizzabile economicamente nell’ambito di una libera cessione a valori di mercato.
Ragionamento, quest’ultimo, succintamente ma chiaramente esposto nella sentenza
in oggetto, e contro il quale nessuna specifica censura è stata mossa dalla ricorrente;
la cui doglianza si è esclusivamente incentrata su un’insufficienza motivazionale
asseritamente derivante da “generici richiami” e “rinvii non pertinenti”. Il che, come
detto, non dà però specificamente ed adeguatamente conto di quello che è stato il
ragionamento della CTR in rapporto ad una fattispecie puntualmente da essa
individuata.
Ne segue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, con condanna di parte
ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate
come in dispositivo.
Pq m
La Corte

dichiara inammissibile il ricorso;

4
Ric.n.3496/1 l rg. Ud.del 23 febbraio 2016

Il ‘ns st.

autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a

condanna l’agenzia delle entrate al pagamento delle spese del giudizio di
cassazione che liquida in euro 2.500,00 per compenso professionale; oltre rimborso
forfettario spese generali ed accessori di legge.
Così deciso nella camera di consiglio della quinta sezione civile in data 23

febbraio 2016.

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