Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6677 del 06/04/2016


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 6677 Anno 2016
Presidente: CHINDEMI DOMENICO
Relatore: STALLA GIACOMO MARIA

SENTENZA
sul ricorso 14525-2010 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DAEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente contro

AMANTEA CARMELA, elettivamente domiciliata in ROMA
CIRCONVALLAZIONE CLODIA 86 PIANO l INT. 5, presso ld
studio dell’avvocato ROBERTO MARTIRE, che la
rappresenta e difende unitamente agli avvocati
SALVATORE MATTA, CALOGERO LEONE giusta delega in

Data pubblicazione: 06/04/2016

calce;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 59/2009 della COMM.TRIB.REC. di
PALERMO, depositata il 23/04/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

MARIA STALLA;
udito per il ricorrente l’Avvocato MARCHINI che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato MARTIRE che
ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. UMBERTO DE AUGUSTINIS che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

udienza del 23/02/2016 dal Consigliere Dott. GIACOMO

Svolgimento del giudizio.
L’agenzia delle entrate propone due motivi di ricorso per la cassazione della
sentenza n. 59/24 del 23 aprile 2009 con la quale la commissione tributaria regionale
della Sicilia, a conferma della prima decisione, ha ravvisato la nullità dell’avviso di
rettifica e liquidazione n. 00/04959/000001 notificato nel febbraio 2005 a Carmela
Amantea per maggiore imposta di successione; ciò perché tale avviso, diversamente
da quanto prescritto dall’articolo 42 dpr 600/73, non era stato sottoscritto dal capo

delega nominativa, quanto soltanto di ordine di servizio genericamente rivolto al
‘capo area controllo’.
Resiste con controricorso la Amantea.
Motivi della decisione.
§ I- Con il primo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate deduce – ex art.360, 1^ co.
n. 4 cod.proc.civ. – violazione dell’articolo 58.2 d.lgs. 546/92, per avere la
commissione tributaria regionale ritenuto tardiva la produzione in appello dell’ordine
di servizio n. 44 del 20 ottobre 2004, dal quale doveva dedursi il rituale
conferimento della delega di firma dell’avviso di accertamento in questione; tale
produzione doveva, al contrario, ritenersi ammissibile sia in forza del secondo comma
dell’articolo 58 citato sia perché, in ogni caso, indispensabile ai fini della decisione.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta – ex art.360, 1^ co. n. 5 cod.proc.civ. insufficiente motivazione; poiché la commissione tributaria regionale, pur dopo
averne rilevato la tardività, aveva ciò nondimeno preso in esame l’ordine di servizio
in oggetto, senza però esplicitare le ragioni per cui esso non poteva considerarsi
conforme alla delega di cui all’articolo 42, primo comma, d.p.r. 600/73.
§ 2. Va affrontato – con effetto assorbente della seconda censura – il primo motivo di
ricorso, concernente error in procedendo.
La doglianza è inammissibile.
In linea di principio, va in effetti qui ribadito il consolidato orientamento di questa
corte di legittimità (ex multis, Cass. 18907/11) secondo cui, in materia di produzione
documentale in grado di appello nel processo tributario, alla luce del principio di
specialità di cui all’articolo 1, secondo comma, d.lvo 546/92 (in forza del quale, nel
rapporto tra norma processuale civile ordinaria e norma processuale tributaria,
prevale quest’ultima) non trova applicazione la preclusione di cui all’articolo 345,
terzo comma, c.p.c.; trovando la materia disciplina nell’articolo 58, secondo comma,
d.lvo cit., che consente alle parti di produrre liberamente i documenti anche in sede
di gravame, sebbene preesistenti al giudizio di primo grado. Con la conseguenza che,
con riferimento alla prova documentale, non si determina alcuna preclusi ne
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Ric.n.14525/10 rg. – Ud.del 23 febbraio 2016

Il

dell’ufficio ma, a nome di questi, da un impiegato di carriera direttiva non munito di

istruttoria in appello, quand’anche il documento fosse di formazione anteriore al
giudizio di gravame e fosse quindi, in astratto, suscettibile di produzione fin dal primo
grado di giudizio (Cass. 7714/13).
Tale principio deve tuttavia essere applicato congiuntamente al sistema delle
preclusioni previsto proprio per la produzione documentale in appello, come
autonomamente desumibile dal combinato disposto degli articoli 32 e 61 divo
546/92, in virtù del quale “tale attività processuale va esercitata, stante il richiamo

entro il termine previsto dall’articolo 32, primo comma, dello stesso divo, ossia fino
a 20 giorni liberi prima dell’udienza e con l’osservanza delle formalità di cui
all’articolo 24, primo comma; dovendo, peraltro, tale termine ritenersi, anche in
assenza di espressa previsione legislativa, di natura perentoria e quindi sanzionato
con la decadenza, per lo scopo che persegue e la funzione (rispetto del diritto di
difesa e del principio del contraddittorio) che adempie”

(Cass. 655/14; Cass.

3661/15).
Alla luce di ciò, parte ricorrente avrebbe dovuto – a pena di inammissibilità ex
articolo 366 n.6 cpc – specificare la fase processuale del giudizio di appello nel corso
della quale il documento è stato prodotto, atteso che solo in tal modo questa corte
avrebbe potuto verificare la tempestività della produzione.
Anche su questo aspetto va richiamata la consolidata giurisprudenza, secondo cui
“al fine di ritenere integrato il requisito della c. d. autosufficienza del motivo di ricorso
per cassazione, quando esso concerna la valutazione da parte del giudice di merito di
atti processuali o di documenti, è necessario specificare la sede in cui nel fascicolo
d’ufficio o in quelli di parte essi siano rinvenibili; sicché, in mancanza, il ricorso è
inammissibile per l’omessa osservanza del disposto di cui all’articolo 366, primo
comma, n.6) cpc” (Cass. 22607/14; 8569/13).
Si ritiene pertanto insufficiente la mera riproduzione del documento nel corpo del
ricorso per cassazione, in quanto parte ricorrente avrebbe dovuto innanzitutto
indicare la sede processuale del giudizio di merito in cui la produzione in questione
era avvenuta, e la sede in cui, nel fascicolo d’ufficio o in quelli di parte,
rispettivamente acquisito e prodotti in sede di giudizio di legittimità, essa è
rinvenibile (Cass.12239/07).
Tali considerazioni impongono di pervenire alla declaratoria di inammissibilità del
motivo in oggetto, essendo insufficiente la mera indicazione dell’avvenuta produzione
del documento in fase di appello; nulla dicendo tale indicazione in ordine all’aspetto
essenziale, se tale produzione sia avvenuta, oppure no, entro il termine previsto dal
combinato disposto degli articoli 32 e 61 citt..
4
Ric.n.14525/10 rg. – Ucl.del 23 febbraio 2016

operato dall’articolo 61 del citato d.lvo alle norme relative al giudizio di primo grado,

Senonchè, una volta affermata l’inammissibilità del primo motivo di ricorso
concernente la tempestività della produzione documentale in oggetto, il secondo
motivo – concernente la valutazione ‘nel merito’ del documento – non può che
ritenersi assorbito.
Ne segue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, con condanna di parte
ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate
come in dispositivo.

La Corte

dichiara inammissibile il ricorso;

condanna l’agenzia delle entrate al pagamento delle spese del giudizio di

cassazione che liquida in euro 6.000,00 per compenso professionale; oltre rimborso
forfettario spese generali ed accessori di legge.
Così deciso nella camera di consiglio della quinta sezione civile in data 23
febbraio 2016.

Pq m

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